Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3563 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 3563 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 1747-2023 proposto da:
COGNOME RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 524/2022 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 07/11/2022 R.G.N. 248/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 1747/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 18/12/2024
CC
Fatti di causa
La Corte appello di Torino, con la sentenza impugnata, in accoglimento dell’appello ed in riforma della sentenza del Tribunale di Aosta, ha dichiarato la legittimità del licenziamento disciplinare intimato da RAGIONE_SOCIALE a Gontier Egizia il 7/7/2021 per assenza ingiustificata.
La Corte d’appello, sulla scorta delle prove assunte nel giudizio, ha accertato che, a seguito del ricovero in ospedale della madre, la lavoratrice era pienamente consapevole dell’intervenuta decadenza dal diritto al congedo straordinario per assistenza del familiare disabile; era errata pertanto l’affermazione del tribunale secondo cui vi sarebbe stato un fraintendimento in relazione a chi, tra l’Inps e la lavoratrice, avrebbe dovuto comunicare al datore di lavoro l’interruzione; invero risultava dalle deposizioni testimoniali delle due funzionarie Inps (COGNOME e COGNOME) che la lavoratrice era consapevole di essere decaduta dal congedo straordinario sin dal 19/5/2021, data del ricovero in ospedale della madre, e non aveva ripreso servizio né aveva comunicato nulla al datore di lavoro per oltre 40 giorni, nemmeno per informarsi su quello che avrebbe dovuto fare; neppure quando ha ricevuto la busta paga di maggio 2021, nella quale le era stata corrisposta la retribuzione per l’intero mese, si era curata di informare il datore di lavoro della intervenuta cessazione del congedo straordinario, nonostante avesse perfettamente compreso di non avere diritto alla retribuzione per l’intero mese, come dimostrava la mail inviata dalla sorella dell’appellata all’Inps il 18/6/2021; inoltre la lavoratrice non aveva ripreso servizio neppure dopo aver ricevuto la contestazione disciplinare del 28/6/2021 e lungi dall’offrire la propria prestazione lavorativa, come avrebbe fatto una lavoratrice in buona fede, si era limitata ad affermare la sua buona fede ed a riferire di avere prontamente comunicato
all’Inps l’avvenuto ricovero della madre e di reputare che l’Inps avrebbe avvertito il datore di lavoro; parimenti errato era riconoscere efficacia scusante ad un eventuale fraintendimento verificatosi nello scambio di notizie tra le due sorelle, dato che questo non potrebbe avere rilevanza nei rapporti tra la lavoratrice e l’incolpevole datore di lavoro.
Secondo la Corte territoriale non poteva essere neppure condivisa l’affermazione del tribunale secondo cui la lavoratrice non avrebbe ripreso il servizio perché aveva ragionevolmente creduto di trovarsi in ferie.
La Corte ha altresì giudicato irrilevante l’ulteriore giustificazione, pure tardivamente dedotta per la prima volta in appello, secondo cui fino al 28/6/2021 la Valle d’Aosta era l’unica regione italiana in zona gialla anti-COVID, con impossibilità di raggiungere la regione e soggiornare in strutture alberghiere per finalità turistiche, sicché presso l’albergo gestito dalla RAGIONE_SOCIALE Sas il personale era stato collocato in cassa integrazione, con impiego di un contingente assolutamente minimo sino al 28/6/2021 e di conseguenza non vi sarebbe stato bisogno delle prestazioni lavorative della signora COGNOME nel periodo dal 19/5/2021 al 28/6/2021; la giustificazione era irrilevante perché le valutazioni sul fabbisogno di personale competevano al datore di lavoro, non certo al lavoratore che non può decidere autonomamente se la propria prestazione lavorativa sia necessaria o meno all’organizzazione aziendale e comportarsi di conseguenza, restando inerte ad attendere una convocazione del datore di lavoro (Cass. n. 2988 del 2011 e conforme Cass. n .16597 del 2018).
La Corte di appello ha quindi ritenuto che l’inadempimento dell’obbligazione principale per un così lungo tempo di 40 giorni e oltre, costituisse giusta causa di licenziamento ai sensi dell’art.
2119 c.c. e ancor più alla luce dell’art. 192 del CCNL Turismo applicabile al rapporto che individuava la giusta causa di licenziamento nella assenza ingiustificata protratta per oltre cinque giorni.
Né infine si poteva opporre la scarsa importanza dell’inadempimento sulla base del rilievo, peraltro indimostrato, che il datore non avesse subito un danno rilevante dall’assenza dell’appellata posto che il danno non è elemento costitutivo della fattispecie di inadempimento che legittima il licenziamento (Cassazione 6974 del 2002); mentre era rilevante l’idoneità dei comportamenti del lavoratore ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME con cinque motivi ai quali ha resistito RAGIONE_SOCIALE Le parti hanno depositato memorie. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secon do comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc. ex art. 360 n. 3 cpc sotto vari profili: per aver la Corte di appello ignorato il fatto notorio che la Valle d’Aosta era rimasta l’unica regione in zona gialla per pandemia sino al 28.6.2021; per aver negato che la relativa allegazione costituisse fatto non contestato dalla parte resistente e per aver giudicato la relativa allegazione tardiva perché dedotta per la prima volta in appello; per aver violato la risultanza documentale circa il periodo di ferie assegnato alla lavoratrice; per aver ignorato la deposizione testimoniale di NOME COGNOME
1.1. Il motivo è inammissibile perché tende al riesame degli accertamenti ed inoltre alla rivalutazione delle prove, compito attribuito al prudente apprezzamento del giudice del merito che
non è tenuto nemmeno a richiamare tutte le emergenze istruttorie. Nel caso di specie tali adempimenti sono stati svolti dalla Corte di appello in modo più che motivato e conforme a legge. La Corte si è occupata pure delle ferie della lavoratrice, della deposizione di NOME COGNOME ed anche del fatto che la Valle d’Aosta fosse inserita in zona gialla , fatto di cui ha pure posto in evidenza l’irrilevanza ai fini della decisione.
1.2. Come è noto, costituisce ius receptum in materia che sia devoluta al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, e pertanto anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato; conseguentemente, ai fini di una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, ne’ a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata.
1.3 . Deve pure rilevarsi, in consonanza con l’orientamento di questa Corte (v. Cass., S.U. n. 20867 del 2020; Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), che la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità soltanto qualora il giudice, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia
esplicitamente dedotto la decisività (salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza) o non ammetta le prove ed affermi che la domanda non sia provata ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale.
1.4 . In modo parallelo, la violazione dell’art. 116 c.p.c. presuppone che il giudice abbia valutato una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale.
1.5. Nessuna di queste situazioni è rappresentata nei motivi di ricorso in esame, ove è unicamente dedotto che il giudice ha male esercitato il suo prudente apprezzamento delle prove, censura consentita solo nei limiti dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (omessa valutazione di un fatto storico decisivo) nel caso di specie non integrato nei requisiti richiesti dal nuovo testo.
2.- Con il secondo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2 comma 2 L. 15.7.1966 n. 604 e 112 cpc ex art. 360 n.3 cpc perché il licenziamento risultava privo di effettiva motivazione, con confutazione delle giustificazioni rese e p er omessa pronuncia sull’eccezione della lavoratrice.
2.1. La censura è inammissibile per difetto di specificità, posto che nel ricorso non è trascritto neppure il tenore del licenziamento, né degli altri atti richiamati nel motivo.
In ogni caso la Corte d’appello non si è occupat a del profilo della motivazione del licenziamento, che nel licenziamento disciplinare va individuata pure in relazione agli addebiti che erano stati contestati al lavoratore. Andava perciò specificato, trascritto e documentato dove e come le stesse questioni fossero state ritualmente sollevate in primo ed in secondo grado, per sottrarsi all’inammissibilità del motivo per novità della censura.
Con il terzo motivo si sostiene la violazione o falsa applicazione degli artt. 5 L. 15.6.1966 n. 604 e 2697 c.c. ex art. 360 n.3 cpc per non essere stata fornita dalla società datrice di lavoro la prova della sussistenza di un’effettiva giusta causa che non consentisse la prosecuzione provvisoria del rapporto, per omessa prova circa i pregiudizi al ciclo aziendale; la Corte non aveva correttamente considerato la documentazione in atti da cui si evinceva la correttezza e la buona fede della lavoratrice.
4.- Con il quarto motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli art. 2119 c.c. ex art. 360 n. 3 c.p.c. per non aver la Corte di appello considerato l’insussistenza di una giusta causa che non consenta la prosecuzione provvisoria del rapporto e per essersi discostata dai relativi parametri soggettivi ed
oggettivi.
5.- Con il quinto motivo si prospetta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1455 e 2106 c.c. ex art. 360 n. 3 cpc atteso che la Corte di appello ha avvalorato una sanzione sproporzionata, tenuto conto che l’eventuale mancanza ascrivibile alla lavoratrice per difetto di comunicazione diretta è stata di nessuna o minima importanza per il datore, in un contesto storico di chiusura o di ridottissima operatività dell’albergo.
6.- Il terzo, il quarto ed il quinto motivo, concernenti l’esistenza della giusta causa di licenziamento, possono essere esaminati unitariamente per la connessione logica giuridica da cui sono correlati.
6.1. Essi sono inammissibili laddove tendono a mettere in discussione la prova dei fatti in forza dei quali la Corte, come riportato nella parte in fatto, ha motivatamente ritenuto esistente la giusta causa di licenziamento.
6.2. Sono invece infondati nella parte in cui contestano l’esistenza in diritto della giusta causa di licenziamento la cui
ricorrenza è stata messa in luce dalla Corte territoriale con chiara motivazione riferita sia al piano legale sia a quello della disciplina contrattuale.
6.3. La Corte ha altresì motivato la mancanza di buona fede della lavoratrice, escluso la sproporzione della sanzione ed ha congruamente spiegato la irrilevanza della valutazione del danno economico, alla luce della concezione fiduciaria del rapporto di lavoro.
6.4. Si tratta di valutazioni conformi a diritto ed alla giurisprudenza consolidata e che non possono essere riesaminati in questa sede di legittimità, posto che il giudizio circa la gravità delle infrazioni commesse da parte del lavoratore subordinato e la loro attitudine a costituire giusta causa implica un accertamento di fatto demandato al giudice di merito, la cui valutazione è incensurabile in cassazione se priva di errori logici o giuridici.
6.5. Non sussiste perciò violazione alcuna sotto il profilo della proporzionalità dell’illecito che costituisce valutazione riservata al giudice merito e che nel caso di specie risulta congruamente argomentata dalla Corte di appello in conformità all’orientamento di legittimità secondo cui ‘ in materia di sanzioni disciplinari, il giudizio di proporzionalità tra licenziamento e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, in quanto implica un apprezzamento dei fatti che hanno dato origine alla controversia, ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi o manifestamente ed obiettivamente incomprensibili, ovvero ancora sia viziata da omesso esame di un fatto avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto
con certezza ad un diverso esito della controversia’ (Cass. 107/24, Cass. 8293/12).
7.- Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato.
8.- Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 c omma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 18.12.2024
La Presidente dott.ssa NOME COGNOME