Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14586 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14586 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10297-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 534/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 08/11/2018 R.G.N. 82/2018;
Oggetto
Assegno sociale
Redditi di qualsiasi natura
Onere prova
R.G.N. 10297/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 19/12/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. La Corte d’appello di Torino, confermando la sentenza di primo grado, ha respinto la domanda originariamente proposta nel 2015 da COGNOME NOME volta a conseguire il riconoscimento del diritto all’assegno sociale in quanto ultrasessantacinquenne in stato di bisogno, negatole in via amministrativa per ritenuta disponibilità, propria e del coniuge, di redditi occulti.
In primo grado erano state respinte le deduzioni della richiedente in ordine alla mancata ripresa della convivenza con il marito, dal quale era consensualmente separata, ed alla mancata percezione di redditi ed aiuti economici, a nulla rilevando la titolarità di un unico immobile edificato in economia e mantenuto con l’apporto di coniuge e figli, nonché confiscato per i precedenti penali del coniuge, detenuto, al quale pure era stato revocato l’assegno sociale nel maggio 2013; per contro, il Tribunale aveva respinto nel merito rilevando la fittizietà della separazione coniugale avvenuta nel giugno 2005, per avere il marito stabilito nel giugno 2009 la sua residenza al medesimo indirizzo della ricorrente ove peraltro era stato sorpreso durante le operazioni che condussero al suo arresto nella notte dell’1/6/2011, e la disponibilità di beni immobili di rilevante valore economico da parte del marito, i cui redditi vanno computati ai fini della verifica dei requisiti per fruire dell’assegno sociale, non giustificabili in base ai redditi lecitamente conseguiti, non potendo escludersi la perdurante esistenza di fonti occulte di guadagno illecito di cui la ricorrente continuava a trarre giovamento.
La Corte territoriale, premesso che spetta all’interessato dimostrare la concreta situazione di bisogno, che l’art. 3 co. 6 della L.335/95 contempla una nozione ampia di ‘redditi di qualsiasi natura’ distinta da quella fiscale, e che a tal fine si considera il cumulo dei redditi del coniuge non legalmente ed effettivamente separato, ha evidenziato che la separazione consensuale del 2005 risultava superata dalla successiva riconciliazione a partire dal giugno 2009, che nella situazione reddituale del coniuge, condannato per reati di criminalità organizzata già in custodia cautelare dal 2011, emergeva la disponibilità di un compendio immobiliare di 5 unità immobiliari la cui confisca di prevenzione costituiva un indice dell’esistenza di fonti reddituali illecite, e che la sproporzione fra redditi dichiarati e l’incremento patrimoniale documentato (incluso il possesso di autovetture), la mancanza di un conto corrente e di finanziamenti attivi, la dichiarazione di autosufficienza economica resa in sede di separazione personale fra i coniugi, e la risoluzione di un contratto preliminare di vendita di un fabbricato nel luglio 2011 costituissero tutti indici dimostrativi del carattere stabile e permanente della disponibilità di entrate illecite non dichiarate, incompatibile con lo stato di bisogno.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione la parte privata, articolando due motivi, illustrate con memorie difensive, a cui INPS resiste con controricorso.
La causa è stata discussa e decisa all’adunanza camerale del 19 dicembre 2024.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 co.1 n. 3 c.p.c, la violazione dell’art. 3 comma 6 L.335/1995
e dell’art. 2697 c.c. e dei principi generali in tema di onere della prova, nonché dell’art. 2729 c.c., per avere la Corte d’appello, sulla base di elementi indimostrati, ritenuto chela situazione economico-patrimoniale della richiedente antecedente alla sua domanda amministrativa possa costituire indice univoco di perdurante disponibilità di entrate illecite non dichiarate, incompatibile con lo stato di bisogno cui è subordinata la concessione dell’assegno sociale; ed infatti nell’impugnata sentenza non è individuata alcuna prova valida dedotta da INPS che supporti l’affermazione dell’en te, e si ribalta sulla ricorrente l’onere di fornire la prova di non godere di redditi occulti; non considerando l’assoluta estraneità della Lobono alle condotte del coniuge, la Corte d’appello era giunta a sostenere che i redditi occulti che avrebbe percepito il marito nel passato potessero ancora nell’attualità essere a beneficio della moglie, sen za alcuna prova in merito del loro carattere stabile e permanente nel tempo, escludendone il venir meno anche dopo l’arresto e condanna del marito, mentre la nor ma di cui all’art. 3 comma 6 L. cit. non prevede affatto che debbano essere provati né conteggiati anche i redditi occulti. Ed ancora, le presunzioni su cui si fonda la pronuncia non sono gravi, precise e concordanti.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360 co.1 n.5 c.p.c. per omesso esame di due fatti decisivi oggetto di discussione fra le parti: la confisca in data 21/2/2014 dell’immobile di proprietà della richiedente per un procedimento penale promosso contro il marito, bene poi trasferito al Demanio dello Stato con trascrizione del 29/3/2017, a dimostrazione della totale incapienza patrimoniale della ricorrente, e la risoluzione del contratto preliminare di vendita (per un definitivo a stipularsi entro il 31/12/2011) di una delle unità immobiliari in data 28/7/2011 a cagione del sequestro
penale dell’8/6/2011, a dimostrazione della necessità di conseguire denaro liquido in mancanza di altre fonti di reddito, tenuto conto altresì che l’immobile in questione era stato costruito su un terreno di proprietà della ricorrente in un periodo anteced ente all’epoca dei reati ascritti al coniuge.
Nel controricorso l’INPS segnala che entrambi i motivi si traducono in una denuncia di un vizio di motivazione e che il ricorso difetta del requisito di autosufficienza non essendo riportato e trascritto l’atto introduttivo del primo grado né il contenuto della documentazione inerente ai fatti costitutivi della domanda, fermo restando che la ricorrente poteva godere di entrate, prodotte dal marito, sufficienti per il sostentamento di entrambi i coniugi ancora conviventi e senza che la parte versasse in stato di bisogno.
4. Il ricorso è inammissibile.
La normativa sull’assegno sociale, disciplinata dall’art. 3 comma 6 della L.335/1995, prevede la sussistenza, oltre ai requisiti socio-anagrafico ed economico, anche di un requisito reddituale articolato sotto un duplice profilo, soggettivo (redditi con iugali conseguibili nell’anno solare di riferimento) ed oggettivo (alla formazione del reddito concorrono i redditi di qualsiasi natura); il diritto alla corresponsione dell’assegno sociale prevede, quindi, che il cittadino ultrasessantacinquenne versi in uno stato di bisogno effettivo, desunto dalla condizione oggettiva dell’assenza di redditi o dell’insufficienza di quelli percepiti in misura inferiore al limite massimo stabilito dalla legge (lo ricorda sent. n.24954/2021).
È innegabile che spetti all’interessato fornire i dati illustrativi dei requisiti che gli consentano di accedere al richiesto beneficio
e che in particolare, trattandosi di una prestazione espressiva di solidarietà sociale per sollevare dallo stato di bisogno effettivo, si richieda una prova rigorosa del possesso del requisito reddituale; da tempo è stato pacificamente osservato (cfr. sent. n.23477/2010) che in tema di assegno sociale, spetta all’interessato che ne abbia fatto istanza l’onere di dimostrare il possesso del requisito reddituale, determinato in base ai rigorosi criteri richiesti dalla legge speciale. E, ai fini dell’indicazion e del requisito reddituale vengono in rilievo aspetti fattuali oggettivi di concreta dimostrazione, anche indipendenti da rilievi formali: vi concorrono i redditi coniugali conseguibili nell’anno solare di riferimento ed i redditi di qualsiasi natura, tant ‘è che, ad esempio, non assume rilevanza la mancata richiesta da parte dell’assistito dell’importo dovuto dall’ex coniuge a titolo di assegno divorzile (sent. 24954/21), spettando l’assegno sociale anche a chi abbia rinunciato al diritto derivante dall’alt rui obbligo di mantenimento o di alimenti (ord. n.21573/23), e non essendo rinvenibile né dalla lettera della legge né dalla ratio dell’art. 3 comma 6 alcuna indicazione circa il fatto che lo stato di bisogno, per essere normativamente rilevante, debba essere anche incolpevole (sent.n.24955/21); al contrario, la condizione legittimante per l’accesso alla prestazione assistenziale ri leva nella sua mera oggettività (ord. 21699/2023).
Deve tuttavia osservarsi che, ove a seguito di eccepita infondatezza del diritto alla prestazione siano forniti elementi di segno contrario, volti a denegare l’esistenza della pretesa, non si verte in un’ipotesi di inversione di onere probatorio ma di corretta applicazione della dialettica processuale su oggetto e fine della prova gravante sulle parti contrapposte, ai sensi del primo e secondo comma dell’art. 2697 c.c., il cui malgoverno può essere denunciato allorché il ricorrente alleghi che il giudice
di merito : ‘ 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione; 3) abbia invertito gli oneri probatori ‘ (cfr. Cass. sent. 15827/23).
8. Nessuna delle tre situazioni enunciate è rappresentata nel primo motivo di ricorso, posto che la decisione procede alla valutazione degli eventi che hanno preceduto la domanda amministrativa e che minano in radice la mancanza di mezzi di sostentamento per poter affermare che la richiedente nel giugno 2015 versasse in condizioni di stato di bisogno. E, sul punto, si osserva che la rico rrente non ha confutato l’inesistenza della convivenza con il coniuge, ripresa dopo la separazione consensuale; non ha riportato le motivazioni del decreto di sequestro, prima, e di confisca, poi, quale misura di prevenzione reale a carico del coniuge, che hanno tuttavia attinto un bene di sua proprietà; nulla ha riferito sulla disponibilità delle altre unità immobiliari (due villini, due autorimesse, un magazzino) edificate sul terreno di titolarità, né su beni mobili registrati posseduti (autovetture); non risulta che abbia negato l’incasso di un indennizzo assicurativo nel 2009 (pari a 15mila euro, come si legge in sentenza); non ha specificato le ragioni della risoluzione contrattuale nel luglio 2011 del preliminare di vendita di una delle unità immobiliari del fabbricato a fronte di una confisca del febbraio 2014 (con perdita del potere di disporre) e di un trasferimento definitivo in favore del Demanio nel marzo 2017 (con opponibilità a terzi).
9. Il primo motivo di ricorso è dunque inammissibile poiché, attraverso la doluta violazione di legge sulla disciplina dell’assegno sociale e sulla regola del riparto dell’onere probatorio, mira ad introdurre una rivisitazione degli elementi raccolti nel giudizio di merito, peraltro senza fornire neppure una chiave di lettura inequivocamente alternativa: considerato, come innanzi visto, che la Corte d’appello ha correttamente ritenuto che l’onere della prova della ricorrenza del requisito reddituale è a carico di colui che chiede la prestazione e che alla formazione del reddito rilevante ai fini della concessione della provvidenza invocata concorrono “…i redditi di qualsiasi natura…” come previsto dall’art. 3, sesto comma, della legge n. 335/1995 (comprensivo quindi anche di redditi non formalmente dichiarati, in quanto tali occulti), il motivo è inammissibile laddove, nonostante il formale richiamo alla violazione di legge contenuto nell’ intestazione, finisce con il sollecitare una nuova valutazione del merito non consentita in questa sede (in tal senso, per un caso simile, cfr. ord. 30580/2018).
10. Va anche osservato che l’ulteriore rilievo di violazione del criterio valutativo delle presunzioni semplici di cui all’art. 2729 c.c. non fornisce elementi indicativi della illogicità delle argomentazioni svolte nella impugnata sentenza né introduce una ricostruzione alternativa che faccia, in tal modo, emergere la non inequivocità della presunzione di redditi occulti; sul punto, si rammenti il seguente principio affermato da questa Corte, secondo il quale ” In tema di giudizio di cassazione, la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà
del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo ” (Cass. n. 5279 del 2020 e, nello stesso senso, ord. n.25924/2020).
Non migliore sorte spetta al secondo motivo di ricorso: premesso che entrambi i fatti storici di cui si lamenta l’omesso esame (confisca di un immobile e risoluzione del preliminare di vendita) sono stati puntualmente considerati dal giudice di merito, va evidenziato che il rilievo è insufficientemente dimostrativo della loro decisività ai fini del giudizio: la confisca dovuta alle vicende processual-penalistiche del coniuge ha costituito, nell’economia complessiva delle valutazioni giudiziali di merito compiute nella impugnata pronuncia, uno degli aspetti presuntivamente ricostruttivi dei redditi occulti idonei a concorrere alla formazione dei ‘redditi di qualsiasi natura’ di cui la ricorrente poteva disporre; ed il preliminare di vendita non univocamente dimostrerebbe la necessità di ottenere denaro per mancanza di altre fonti di reddito ma potrebbe prestarsi a diverse interpretazioni alternative, nell’eventuale tentato obiettivo di realizzare liquidità antecedente alla giuridica indisponibilità del bene non ancora confiscato. Ad ogni modo, il motivo è altresì inammissibile in presenza di una pronuncia di appello confermativa della decisione di primo grado.
Per tutte le suesposte ragioni, il ricorso va quindi dichiarato inammissibile. Seguono la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate come in dispositivo in ragione del valore indeterminato di lite, e la pronuncia in tema di versamento del doppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115/02, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 3.500,00, oltre accessori di rito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Roma, 19 dicembre 2024.