Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4027 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 4027  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10989/2022 R.G. proposto da :
COGNOME,  con  diritto  di  ricevere  le  notificazioni  presso  la PEC dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE,  in  persona del  legale  rappresentante  pro  tempore,  elettivamente  domiciliato presso  l’avvocatura  centrale  dell’istituto,  in  INDIRIZZO, rappresentato e difeso  dall’avvocato COGNOME NOME unitamente agli avvocati COGNOME NOME  NOME COGNOME NOME
-controricorrente-
avverso  SENTENZA  di  CORTE  D’APPELLO  BOLOGNA  n.  118/2022 pubblicata il 22/02/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
 La  Corte  d’appello  di  Bologna,  con  la  sentenza  n.118/2022 pubblicata  il  22/02/2022 ha rigettato  il  gravame  proposto da NOME COGNOME nella controversia con l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE.
La controversia ha per oggetto il pagamento dell’assegno per il nucleo  familiare  richiesto  da  cittadino  di  paese  non  appartenente alla  Unione  europea  (Senegal),  residente  in  Italia  e  titolare  di permesso  di  soggiorno  per  soggiornanti  di  lungo  periodo,  con riferimento ai familiari residenti in stato extra UE (Senegal).
 Il  Tribunale  di  Ravenna  rigettava  la  domanda,  ritenendo  che mancasse la prova del requisito reddituale.
La Corte territoriale ha confermato la decisione di primo grado richiamando un suo precedente conforme ed ha ritenuto mancasse l’ allegazione  degli  eventuali  redditi  dei  componenti  del  nucleo familiare.
Per la cassazione della sentenza ricorre COGNOME con ricorso affidato  ad  un  unico  motivo,  illustrato  da  memoria . L’Istituto previdenziale resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare e pregiudiziale il ricorrente chiede il rinvio della causa alla Corte di Giustizia della Unione europea, per il quesito di seguito riportato: «se una prestazione come quella prevista dall’art. 2 della legge 153/1988, denominata ‘Assegno RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE Familiare’ costituisca una prestazione assistenziale ed essenziale ai sensi dell’art. 11, paragrafo 4 e 13° considerando della direttiva n. 2003/109/CE così come interpretato e stabilito dalla CGUE nella sentenza resa in data 25.11.2020 nella causa
‘RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE vs. V.R.’ n. C -3030/19′; ‘In caso di risposta positiva, se il principio della parità di trattamento sancito dall’art. 11, paragrafo 1, lett. d), della direttiva n. 2003/109/CE, come interpretato dalla CGUE nella sentenza resa in data 25.11.2020 nella causa ‘RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE vs. RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE.R.’ n. C -3030/19, risulti violato dalla giurisprudenza, come quella dettata dal Tribunale di Ravenna, recepito ex art. 118 c.p.c., dal Tribunale di Forlì, sezione Lavoro, e confermato dalla Corte d’Appello, di Bologna, sezione Lavoro. Differentemente da quanto consentito al cittadino italiano, e come disposto dall’art. 2, comma 9 D.L. n. 69/1988, recepito in sede di conversione dalla L. n. 153/1988 (in materia di ANF), la citata pronuncia di merito preclude, di fatto, al lavoratore di paese terzo e titolare di permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti, residente sul territorio Nazionale, di poter dimostrare la sussistenza del requisito reddituale (peraltro ritenuto erroneamente essenziale ai fini del riconoscimento del diritto e non, come dispone la norma, quale base di calcolo per la liquidazione dell’importo spettante) del proprio nucleo familiare, mediante la produzione della dichiarazione fiscale italiana NUMERO_DOCUMENTO non ritenuta idonea e valida al fine di poter determinare la fascia di provvidenza spettante al richiedente».
2. Indi, con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione o errata applicazione dell’art.2 della legge n. 153/1988 e art. 12 preleggi per aver erroneamente interpretato la normativa italiana in merito ai requisiti richiesti dal legislatore per poter accedere alla provvidenza ANF (Assegno per il RAGIONE_SOCIALE Familiare), con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.; la violazione o falsa applicazione dei principi di diritto disposti dalla Direttiva comunitaria (direttamente applicabile e self executing ) n. 2003/109/CE ed enunciati nella sentenza della CGUE resa in data 25.11.2020 nella causa ‘RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE vs V.R.’ n. C -303/2019/CE per aver preteso dal ricorrente, titolare di permesso di soggiorno CE per
lungo soggiornanti, la produzione di una autocertificazione dei redditi prodotti dal nucleo familiare, non prevista dalla norma in materia di ANF (Assegno per il nucleo familiare) legge n.153/1998, sempre con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ. 3. Per quanto concerne il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce che la Corte territoriale ha errato nel ritenere il reddito del nucleo familiare un requisito necessario al fine del riconoscimento della prestazione previdenziale, e non una mera base di calcolo per la determinazione dell’importo dell’assegno. Lamenta che la Corte territoriale non ha debitamente valutato la produzione documentale afferente al reddito familiare, dimessa dal ricorrente nel giudizio di primo grado.
4. Sulle questioni sollevate dalla parte ricorrente, ivi compresa la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della Unione europea, si intende dare continuità all’orientamento di Cass. Sez. Lav. 04/09/2023 n.25663, nei termini che seguono: «Venendo ora ai lavoratori migranti in ambito europeo, la regola generale è che ad essi va esteso il trattamento in questione in base alla legge del luogo in cui si svolge la prestazione, anche se i familiari beneficiari risiedono altrove (art.73, reg. CE n.1408/1971). Essendo prevista in questi termini -esattamente per motivi egualitari – la loro partecipazione all’intervento di tutela della famiglia da parte dello Stato ove gli stessi soggiornano, priva di pregio è la prospettazione del ricorrente, secondo la quale l’individuazione del reddito familiare del lavoratore extracomunitario debba basarsi unicamente sull’allegazione del modello CUD il quale certifica il solo reddito del richiedente, per l’oggettiva difficoltà di dimostrare il reddito del nucleo familiare. Una siffatta conclusione snaturerebbe, di fatto, la funzione dell’assegno al nucleo familiare così come il nostro legislatore ha inteso delinearla, nel senso cioè di rappresentare una misura rivolta non già all’integrazione economica della retribuzione del capofamiglia considerata insufficiente in via presuntiva, bensì
all’introduzione di un beneficio in favore del nucleo familiare in relazione a un accertamento in concreto del reale fabbisogno della famiglia, riferito al rapporto tra il numero dei componenti il nucleo e l’ammontare del reddito complessivo dello stesso (cfr., per tutte, Cass., n.4419 del 2000). Quanto alla prova circa il possesso del requisito reddituale del nucleo familiare, a norma del comma 9 dell’art. 2 del d.l. n. 69 del 1988, essa deve essere fornita dal richiedente (Cass. n. 16710 del 2022; Cass. n. NUMERO_DOCUMENTO del 2014) attraverso un’attestazione la quale, pur se non sottoponibile ad autenticazione, è sanzionabile, anche penalmente, a norma dell’art. 76 del d.P.R. n. 445 del 2000. La parte invoca il vizio di violazione di legge, là dove la questione attiene alla mancata dimostrazione del reddito percepito dal nucleo familiare e, pur se dal motivo di censura si evince che la parte ritenga di avere ottemperato all’onere della prova allegando il solo modello CUD, ciò non è sufficiente a giustificare l’adempimento dell’onere probatorio gravante su di essa, poiché, come si è appena rilevato, tale certificazione non attesta il reddito del nucleo familiare, bensì quello del solo richiedente. Da ciò consegue che il possesso del requisito reddituale in capo all’intero nucleo familiare costituisce un elemento costitutivo del diritto preteso. Sotto tale profilo, quindi, deve ritenersi che l’onere di provarne la sussistenza ridondi a carico tanto del cittadino italiano e/o europeo quanto del cittadino extraeuropeo soggiornante che ne abbia fatto richiesta. In tal modo va letto l’art. 2 co. 9 del d.l. n. 69, ove si omette qual si voglia distinguo fra le due tipologie di lavoratori: deve infatti ritenersi che il mancato riferimento alla loro provenienza territoriale sia stata consapevolmente adottata dal legislatore proprio in quanto il principio che introduce -questo sì egualitario – appare il più coerente con la struttura stessa (oltre che con la funzione) dell’assegno al nucleo familiare. Pertanto, non essendo possibile muovere nessuna censura di violazione del diritto
antidiscriminatorio nei confronti della disposizione in esame, neppure  trova  fondamento  la  richiesta  di  rinvio  pregiudiziale  alla Corte  europea  di  Giustizia  avanzata  dal  ricorrente  per  asserita violazione  del  principio  di  parità  di  trattamento»  (v.  anche  Cass. 13/02/2023, n.4377).
 Si  è  già  rilevato  che  la  Corte  di  appello -in  conformità  di quanto  già  ritenuto  dal  giudice  di  prime  cure -ha  rigettato  la domanda  per  difetto  di  allegazione  circa  i  redditi  eventualmente prodotti dal nucleo familiare.
Il motivo di ricorso si risolve nella richiesta di procedere ad una nuova e diversa valutazione della documentazione reddituale già prodotta dal ricorrente, della quale si postula la sufficienza. Valutazione in questa sede di legittimità non ammissibile in quanto il sindacato sull’apprezzamento dei fatti da parte del giudice del merito è limitato alle ipotesi di violazione delle regole stabilite in materia di valutazione delle prove c.d. legali ed al rispetto del minimo costituzionale di motivazione.
 I  documenti  esaminati  dalla  Corte  territoriale  non  hanno  la natura della prova legale documentale come prevista dagli artt.2700  e  2702  cod.  civ.,  né  tale  natura  viene  postulata  dalla parte ricorrente.
 Deve  per  l’effetto  ritenersi  che  non  sussistano  i  requisiti  per  il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia e che il motivo di ricorso debba essere rigettato.
Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 2.500,00 per compensi oltre  alle  spese  forfettarie  nella  misura  del  15  per  cento,  agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il  ricorrente al pagamento, in favore  del  controricorrente,  delle  spese  del  giudizio  di  legittimità, che liquida in euro 2.500,00 per compensi  oltre alle spese
forfettarie  nella  misura  del  15  per  cento,  agli  esborsi  liquidati  in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo unificato  pari  a  quello  previsto  per  il  ricorso  a  norma  dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma, il 31/01/2025.