Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4038 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 4038  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9966/2022 R.G. proposto da :
FALL ABDOULAYE, con diritto di ricevere le notificazioni  presso la PEC dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende
-ricorrente- contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE,  in  persona del  legale  rappresentante  pro  tempore,  elettivamente  domiciliato presso  l’avvocatura  centrale  dell’istituto, in  INDIRIZZO,  rappresentato  e  difeso  da ll’avvocato  COGNOME NOME unitamente all’avvocato COGNOME NOME -controricorrente- avverso  SENTENZA  di  CORTE  D’APPELLO  BOLOGNA  n.  45/2022 pubblicata il 08/02/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
 La  Corte  d’appello  di  Bologna,  con  la  sentenza  n.45/2022 pubblicata lo 08/02/2022 ha rigettato il gravame proposto da NOME nella controversia con l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE.
La controversia ha per oggetto il pagamento dell’assegno per il nucleo  familiare  richiesto  da  cittadino  di  paese  non  appartenente alla  Unione  europea  (Senegal),  residente  in  Italia  e  titolare  di permesso  di  soggiorno  per  soggiornanti  di  lungo  periodo,  con riferimento ai familiari residenti in stato extra UE (Senegal).
 Il  Tribunale  di  Ravenna  rigettava  la  domanda,  ritenendo  che  il ricorrente non avesse mai depositato -né in sede amministrativa, né in sede contenziosa -la documentazione reddituale.
La Corte territoriale ha in primo luogo disatteso le contrapposte istanze di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della Unione europea, richiamando Cass. 03/03/2021 n. 9379. Nel merito ha ritenuto che l’appellante non avesse fornito «sotto il profilo di allegazione e di produzione documentale elementi utili alla determinazione del requisito reddituale» (pag.5). In particolare, ha ritenuto che tale prova non fosse desumibile dall’«attestato di stato di famiglia» rilasciato dal Consolato del Senegal.
 Per  la  cassazione  della  sentenza  ricorre  NOME  NOME  con ricorso affidato ad un unico motivo, illustrato da memoria . L’Istituto previdenziale resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
 In  via  preliminare  e  pregiudiziale  il  ricorrente  chiede  il  rinvio della  causa  alla  Corte  di  Giustizia  della  Unione  europea,  per  il quesito  di  seguito  riportato:  «se  una  prestazione  come  quella prevista dall’art. 2 della legge 153/1988, denominata ‘RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE‘ costituisca una  prestazione assistenziale ed
essenziale ai sensi dell’art. 11, paragrafo 4 e 13° considerando della direttiva n. 2003/109/CE così come interpretato e stabilito dalla CGUE nella sentenza resa in data 25.11.2020 nella causa ‘RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE‘ n. C -3030/19’; ‘In caso di risposta positiva, se il principio della parità di trattamento sancito dall’art. 11, paragrafo 1, lett. d), della direttiva n. 2003/109/CE, come interpretato dalla CGUE nella sentenza resa in data 25.11.2020 nella causa ‘RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE‘ n. C -3030/19, risulti violato dalla giurisprudenza, come quella dettata dal Tribunale di Ravenna, recepito ex art. 118 c.p.c., dal Tribunale di Forlì, sezione Lavoro, e confermato dalla Corte d’Appello, di Bologna, sezione Lavoro. Differentemente da quanto consentito al cittadino italiano, e come disposto dall’art. 2, comma 9 D.L. n. 69/1988, recepito in sede di conversione dalla L. n. 153/1988 (in materia di ANF), la citata pronuncia di merito preclude, di fatto, al lavoratore di paese terzo e titolare di permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti, residente sul territorio Nazionale, di poter dimostrare la sussistenza del requisito reddituale (peraltro ritenuto erroneamente essenziale ai fini del riconoscimento del diritto e non, come dispone la norma, quale base di calcolo per la liquidazione dell’importo spettante) del proprio nucleo familiare, mediante la produzione della dichiarazione fiscale italiana NUMERO_DOCUMENTO non ritenuta idonea e valida al fine di poter determinare la fascia di provvidenza spettante al richiedente».
Indi, con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione o errata applicazione dell’art.2 della legge n. 153/1988 e art. 12 preleggi nell’aver erroneamente interpretato la normativa italiana in merito ai requisiti richiesti dal legislatore per poter accedere alla provvidenza ANF (RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE), con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.; la violazione o falsa applicazione dei principi di diritto disposti dalla Direttiva comunitaria (direttamente applicabile e self executing ) n.
2003/109/CE ed enunciati nella sentenza della CGUE resa in data 25.11.2020 nella causa ‘RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE vs V.R.’ n. C -303/2019/CE nell’aver richiesto al ricorrente, titolare di permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti, la produzione di una autocertificazione dei redditi prodotti dal nucleo familiare, non prevista dalla norma in materia di ANF (RAGIONE_SOCIALE per il nucleo familiare) legge n.153/1998, sempre con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ. 3. Il ricorrente deduce che la Corte territoriale ha errato nel ritenere il reddito del nucleo familiare un requisito necessario al fine del riconoscimento della prestazione previdenziale, e non una mera base di calcolo per la determinazione dell’importo dell’assegno.
Lamenta che il giudice di appello non ha debitamente valutato la produzione documentale afferente al reddito familiare, dimessa dal ricorrente nel giudizio di primo grado.
Sulle questioni sollevate dalla parte ricorrente, ivi compresa la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della Unione europea, si intende dare continuità all’orientamento di Cass. 04/09/2023 n.25663, nei termini che seguono: «Venendo ora ai lavoratori migranti in ambito europeo, la regola generale è che ad essi va esteso il trattamento in questione in base alla legge del luogo in cui si svolge la prestazione, anche se i familiari beneficiari risiedono altrove (art.73, reg. CE n.1408/1971). Essendo prevista in questi termini -esattamente per motivi egualitari – la loro partecipazione all’intervento di tutela della famiglia da parte dello Stato ove gli stessi soggiornano, priva di pregio è la prospettazione del ricorrente, secondo la quale l’individuazione del reddito familiare del lavoratore extracomunitario debba basarsi unicamente sull’allegazione del modello CUD il quale certifica il solo reddito del richiedente, per l’oggettiva difficoltà di dimostrare il reddito del nucleo familiare. Una siffatta conclusione snaturerebbe, di fatto, la funzione dell’assegno al nucleo familiare così come il nostro
legislatore ha inteso delinearla, nel senso cioè di rappresentare una misura rivolta non già all’integrazione economica della retribuzione del capofamiglia considerata insufficiente in via presuntiva, bensì all’introduzione di un beneficio in favore del nucleo familiare in relazione a un accertamento in concreto del reale fabbisogno della famiglia, riferito al rapporto tra il numero dei componenti il nucleo e l’ammontare del reddito complessivo dello stesso (cfr., per tutte, Cass., n.4419 del 2000). Quanto alla prova circa il possesso del requisito reddituale del nucleo familiare, a norma del comma 9 dell’art. 2 del d.l. n. 69 del 1988, essa deve essere fornita dal richiedente (Cass. n. 16710 del 2022; Cass. n. 8973 del 2014) attraverso un’attestazione la quale, pur se non sottoponibile ad autenticazione, è sanzionabile, anche penalmente, a norma dell’art. 76 del d.P.R. n. 445 del 2000. La parte invoca il vizio di violazione di legge, là dove la questione attiene alla mancata dimostrazione del reddito percepito dal nucleo familiare e, pur se dal motivo di censura si evince che la parte ritenga di avere ottemperato all’onere della prova allegando il solo modello CUD, ciò non è sufficiente a giustificare l’adempimento dell’onere probatorio gravante su di essa, poiché, come si è appena rilevato, tale certificazione non attesta il reddito del nucleo familiare, bensì quello del solo richiedente. Da ciò consegue che il possesso del requisito reddituale in capo all’intero nucleo familiare costituisce un elemento costitutivo del diritto preteso. Sotto tale profilo, quindi, deve ritenersi che l’onere di provarne la sussistenza ridondi a carico tanto del cittadino italiano e/o europeo quanto del cittadino extraeuropeo soggiornante che ne abbia fatto richiesta. In tal modo va letto l’art. 2 co. 9 del d.l. n. 69, ove si omette qual si voglia distinguo fra le due tipologie di lavoratori: deve infatti ritenersi che il mancato riferimento alla loro provenienza territoriale sia stata consapevolmente adottata dal legislatore proprio in quanto il principio che introduce -questo sì egualitario – appare il più
coerente  con  la struttura stessa (oltre che  con  la funzione) dell’assegno  al  nucleo  familiare.  Pertanto,  non  essendo  possibile muovere nessuna censura di violazione del diritto antidiscriminatorio nei confronti della disposizione in esame, neppure  trova  fondamento  la  richiesta  di  rinvio  pregiudiziale  alla Corte  europea  di  Giustizia  avanzata  dal  ricorrente  per  asserita violazione  del  principio  di  parità  di  trattamento»  (v.  anche  Cass. 13/02/2023, n.4377).
6.  Si  è  già  rilevato  che  la  Corte  territoriale -in  conformità  di quanto  già  ritenuto  dal  giudice  di  prime  cure -ha  rigettato  la domanda ritenendo  che    l’appellante  non  avesse  fornito  «sotto  il profilo  di  allegazione  e  di  produzione  documentale  elementi  utili alla  determinazione  del  requisito  reddituale»  (pag.5).  Questa  la ratio decidendi .
Il motivo di ricorso si risolve nella richiesta di procedere ad una nuova e diversa valutazione della documentazione reddituale già prodotta dal ricorrente, della quale si postula la sufficienza. Valutazione in questa sede di legittimità non ammissibile in quanto il sindacato sull’apprezzamento dei fatti da parte del giudice del merito è limitato alle ipotesi di violazione delle regole stabilite in materia di valutazione delle prove c.d. legali ed al rispetto del minimo costituzionale di motivazione.
8. I documenti esaminati dalla Corte di appello non hanno la natura della prova legale documentale come prevista dagli artt.2700 e 2702 cod. civ., né tale natura viene postulata dalla parte ricorrente. La Corte ha inoltre congruamente motivato l’apprezzamento delle risultanze probatorie dei documenti prodotti, spiegando perché dagli «attestati di stato di famiglia» del consolato senegalese non fosse dato di individuare «in specifico l’ammontare dei redditi complessivamente facenti capo al nucleo familiare» (pag.9), e ciò in un contesto nel quale nemmeno il ricorso introduttivo del procedimento conteneva «un’affermazione
espressa della impossidenza di redditi o beni nel Paese di residenza dei figli per cui è richiesta la concessione del beneficio» (pag.9).
 Deve  per  l’effetto  ritenersi  che  non  sussistano  i  requisiti  per  il rinvio  pregiudiziale  alla  Corte  di  Giustizia  e  che  il  ricorso  debba essere rigettato.
Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 2.500,00 per compensi oltre  alle  spese  forfettarie  nella  misura  del  15  per  cento,  agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore  del  controricorrente,  delle  spese  del  giudizio  di  legittimità, che liquida in euro 2.500,00 per compensi  oltre alle spese forfettarie  nella  misura  del  15  per  cento,  agli  esborsi  liquidati  in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo unificato  pari  a  quello  previsto  per  il  ricorso  a  norma  dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma, il 31/01/2025.