Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26076 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 26076 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19595/2022 R.G. proposto da :
NOME COGNOME con diritto di ricevere le notificazioni presso la PEC dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato presso l’avvocatura centrale dell’istituto, in ROMA INDIRIZZO rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME unitamente agli avvocati COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 356/2022 pubblicata il 16/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Bologna ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME nella controversia con l’I.N.P.S.
La controversia ha per oggetto il riconoscimento dell’assegno per il nucleo familiare a cittadini extracomunitario titolare di permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti e nucleo familiare residente nel paese di provenienza.
Il Tribunale di Ravenna rigettava la domanda per la mancanza di prova del reddito del nucleo familiare.
Per la cassazione della sentenza ricorre NOME COGNOME con ricorso affidato a due motivi ai quali I.N.P.S. resiste con controricorso. Al termine della camera di consiglio il collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine previsto dall’art.380 bis.1 ultimo comma cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2 del d.l. n. 69/1988, convertito, con modificazioni, dalla legge n.153/1988, dell’art.12 delle preleggi e dei principi di diritto di cui alla direttiva 2003/109/CE, come enunciati ed interpretati nella sentenza della CGUE del 25.11.2020, nella causa C303/2019/CE. La sentenza impugnata meriterebbe censura per avere ritenuto necessaria l’autocertificazione, sprovvista, invece, d’ogni rilievo ai fini del riconoscimento del diritto, e nel qualificare il reddito del nucleo familiare come «elemento essenziale del diritto» e non quale mero «fattore di calcolo (unitamente al numero dei componenti del nucleo) della provvidenza» (pagina 16 del ricorso per cassazione). Nel richiedere oneri più gravosi ai cittadini extracomunitari, la Corte di merito avrebbe violato il principio di parità di trattamento tutelato dall’art. 11 della Direttiva 2003/109/CE.
Con il secondo motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art.2697 cod. civ. e degli artt.115 e 421 cod. proc. civ., perché la Corte territoriale nulla ha disposto sulla richiesta di deposito della certificazione reddituale prodotta dal ricorrente,
istanza rinnovata all’udienza di discussione e non considerata dalla Corte territoriale.
Il primo motivo è infondato.
4. Si intende dare continuità ai principi di diritto di Cass. 7/05/2025 n.11960, resa all’esito di pubblica udienza, nei termini di seguito riportati: «3. 1.2.Non può essere condivisa, in primo luogo, la premessa ermeneutica che sorregge la censura e che qualifica il reddito del nucleo familiare come mero fattore di graduazione dell’entità della prestazione richiesta. In virtù dell’art. 2 del d.l. n. 69 del 1988, l’assegno per il nucleo familiare non spetta, allorché la somma dei redditi da lavoro dipendente, da pensione o da altra prestazione previdenziale derivante da lavoro dipendente sia inferiore al settanta per cento del reddito complessivo del nucleo familiare. Tale reddito, dunque, inerisce agli elementi costitutivi del diritto di conseguire la prestazione (Cass., sez. lav., 13 febbraio 2023, n. 4377), prestazione commisurata al contributo che apportano tutti i componenti del nucleo familiare (Cass., sez. lav., 8 marzo 2023, n. 6953). 1.3. -La prova del requisito attinente al reddito del nucleo familiare incombe, dunque, su tutti coloro, cittadini italiani, europei o extraeuropei, che reclamino l’assegno per il nucleo familiare, e può essere fornita con ogni mezzo idoneo, come questa Corte ha già avuto occasione di puntualizzare (Cass., sez. lav., 9 marzo 2023, n. 7097) e come anche l’Istituto rammenta (pagina 9 del controricorso). Non sussiste, pertanto, la paventata disparità di trattamento, che il ricorrente espone a sostegno della richiesta di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del Tratta to sul funzionamento dell’Unione europea (sentenza n. 6953 del 2023, cit.). Né il ricorso e la memoria illustrativa prospettano argomenti persuasivi, che inducano a rimeditare i princìpi di diritto enunciati da questa Corte in altri giudizi, in larga parte affini. 1.4. -Al ricorrente non sono stati addossati, in definitiva, oneri probatori più gravosi di quelli che competono ai cittadini italiani (ordinanza n. 4377 del 2023, cit., in fattispecie sovrapponibile a quella odierna). La Corte di merito, nel confermare le statuizioni del Tribunale, ha incentrato il rigetto della domanda sulla carenza di allegazione, prima ancora che di prova, circa i requisiti costitutivi della pretesa e ha ponderato, a tal proposito, tutti gli elementi acquisiti
al processo, negandone la concludenza all’esito di un esame organico e coerente. Non si ravvisano, pertanto, le denunciate violazioni di legge».
Questi principi di diritto (confermati dalla giurisprudenza successiva, cfr. Cass. 24032/2025, Cass. 24029/2025, Cass. 24027/2025, Cass. 24025/2025, Cass. 24024/2025 e Cass. 24022/2025) sono immediatamente applicabili al caso in esame perché sia il Tribunale che la Corte territoriale hanno rigettato la domanda per mancanza di prova del requisito reddituale, e dunque facendo applicazione della regola di giudizio stabilita dall’art.2697 cod . civ., sul presupposto che il reddito del nucleo familiare rientri tra gli elementi costitutivi della prestazione assistenziale, e non sia un mero parametro di graduazione della stessa.
I principi di diritto di Cass. 11960/2025 trovano applicazione anche con riferimento al paventato contrasto con il diritto eurounitario, e in particolare con il principio di parità di trattamento tra il soggiornante di lungo periodo e i cittadini comuni tari previsto dall’art.11 della direttiva 2003/109/CE con riferimento alle «prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale» (lettera d).
La Corte territoriale, come già il Tribunale, non hanno imposto all’odierno ricorrente un onere probatorio diverso o più gravoso rispetto a quello imposto ai cittadini comunitari, ma si sono limitati a fare applicazione della regola generale prevista da ll’art.2697 cod. civ., onerando il ricorrente della prova di uno dei presupposti della prestazione assistenziale. Diversamente opinando, il cittadino extracomunitario lungo soggiornante godrebbe di un onere probatorio semplificato e più lieve rispetto a quello imposto a carico dei cittadini comunitari con riferimento alla necessità di provare la sussistenza del requisito reddituale.
Il secondo motivo è inammissibile, per una pluralità di ragioni concorrenti. In primo luogo, il motivo si risolve nella censura del ragionamento probatorio dei giudici del merito, in questa sede non consentita, con particolare riferimento alla asserita concludenza della documentazione già depositata in primo grado in relazione alla prova del requisito reddituale.
In secondo luogo deve rilevarsi che il ricorrente non ha trascritto l’asserita richiesta di produzione della «documentazione Mod. 730», in violazione dell’art.366 comma primo num. 6 cod. proc. civ.. Infine, come già ritenuto da
Cass. 11960/2025, «si deve rilevare che l’omessa pronuncia su un’istanza istruttoria non è riconducibile alla violazione o alla falsa applicazione dell’art. 421 cod. proc. civ. e delle altre disposizioni evocate nella rubrica (art. 2697 cod. civ. e art. 115 cod. proc. civ.) e può essere dedotta in sede di legittimità nei limiti oggi tracciati dall’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., avvalorando la decisività del fatto pretermesso e dimostrando di averlo sottoposto al contraddittorio tra le parti. Su tali presupposti, imprescindibili ai fini della ritualità della censura, il ricorso non allega elementi specifici, idonei a sostanziare una doglianza, comunque preclusa al cospetto di una pronuncia d’appello che conferma, per le medesime ragioni di fatt o, la decisione del Tribunale (sentenza n. 6954 del 2023, cit.). Né si può sottacere, infine, che l’acquisizione di documenti in appello postula pur sempre la rituale allegazione dei fatti nell’atto introduttivo e la sussistenza di significative piste probatorie alla luce del materiale istruttorio acquisito (ordinanza n. 7097 del 2023, cit.). Quanto al primo elemento, è stato escluso tanto dal giudice di prime cure quanto dai giudici d’appello, che hanno posto l’accento sulla carenza di allegazioni sull’elemento costitutivo del diritto, all’esito di una valutazione che no n è stata efficacemente scalfita. Sulla sussistenza di piste probatorie, negata ex professo dalla sentenza impugnata (pagine 11 e 12), la censura non offre ragguagli particolareggiati, che valgano a confutare i rilievi di segno antitetico espressi dai giud ici d’appello. Peraltro, le deduzioni del ricorso, nel richiamare genericamente il modello 730-CUD, non consentono di evincere in modo irrefutabile la decisività di tale documentazione, decisività che la Corte d’appello di Bologna ha comunque escluso (pagina 7), con affermazione ripresa e sviluppata anche nel controricorso (pagine 16 e seguenti) e non adeguatamente avversata» (Cass. 11960/2025). 10. Per questi motivi il ricorso deve essere rigettato. Ai sensi dell’art.91 cod. proc. civ. il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 2.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in liquidate in euro 2.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 18/09/2025.
Il Presidente COGNOME