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Assegno mantenimento figlia maggiorenne: quando si riduce

La Corte d’Appello di Roma ha parzialmente riformato un decreto di primo grado, confermando la revoca dell’assegno divorzile per l’ex moglie, data la sua comprovata capacità lavorativa, ma modificando la decisione sull’assegno di mantenimento per la figlia maggiorenne. Pur lavorando, la figlia venticinquenne con un contratto part-time e precario non è stata ritenuta economicamente autonoma. Di conseguenza, la Corte ha disposto una riduzione dell’assegno paterno a 250,00 euro mensili, anziché la sua totale revoca, sottolineando che un’autonomia parziale o ‘in divenire’ non estingue l’obbligo di mantenimento.

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Pubblicato il 13 giugno 2025 in Diritto di Famiglia, Giurisprudenza Civile

Assegno di Mantenimento Figlia Maggiorenne: Quando si Riduce e Quando si Revoca?

La questione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni ma non ancora economicamente autosufficienti è un tema centrale nel diritto di famiglia. Una recente decisione della Corte d’Appello di Roma offre importanti chiarimenti su come valutare l’indipendenza economica di un giovane adulto nel precario mondo del lavoro odierno. Il caso analizzato riguarda la richiesta di un padre di revocare sia l’assegno divorzile all’ex moglie sia l’assegno di mantenimento per la figlia maggiorenne, portando a una decisione che distingue nettamente le due posizioni.

I fatti di causa: la richiesta di revoca

Un padre si rivolgeva al Tribunale per chiedere la revisione delle condizioni di divorzio, domandando la revoca dell’assegno di 100 euro mensili per l’ex coniuge e di quello di 400 euro per la figlia, ormai maggiorenne. Il Tribunale di primo grado accoglieva integralmente la richiesta, revocando entrambi i contributi. La motivazione si basava sulla presunta capacità lavorativa dell’ex moglie, che negli anni aveva avuto diverse opportunità lavorative, e sul presupposto che la figlia avesse raggiunto la propria autonomia economica. La madre, tuttavia, proponeva reclamo alla Corte d’Appello, contestando la valutazione del Tribunale.

La decisione della Corte d’Appello sull’assegno divorzile

La Corte d’Appello ha confermato la decisione di primo grado per quanto riguarda l’assegno divorzile. I giudici hanno ritenuto che la funzione assistenziale dell’assegno fosse ormai cessata. La Corte ha osservato che, a distanza di molti anni dalla fine del matrimonio (peraltro di breve durata), l’ex moglie aveva dimostrato una concreta capacità di lavoro, avendo svolto diverse attività nel tempo. La mancanza di un’occupazione stabile al momento della decisione non è stata ritenuta sufficiente per giustificare il mantenimento dell’assegno, poiché la sua situazione era imputabile a scelte personali e non a un’oggettiva impossibilità di trovare un impiego. Di conseguenza, il reclamo su questo punto è stato respinto.

La valutazione sull’assegno di mantenimento per la figlia maggiorenne

Il punto cruciale della sentenza riguarda la posizione della figlia venticinquenne. Contrariamente al primo grado, la Corte d’Appello ha ritenuto la decisione del Tribunale ‘censurabile’. Sebbene la figlia avesse intrapreso un percorso lavorativo, le prove raccolte dimostravano una situazione di precarietà che non permetteva di considerarla pienamente autosufficiente.

L’autonomia economica non è ancora raggiunta

La ragazza aveva lavorato come operaia in un esercizio commerciale con contratti a tempo determinato e orario parziale, percependo uno stipendio medio di 750,00 euro al mese. Secondo la Corte, questa situazione dimostra al più una ‘parziale autonomia’ o un”autonomia in divenire’. Il rapporto di lavoro non stabile e a orario ridotto, tipico della condizione di molti giovani, non è sufficiente a garantire una vita economicamente autonoma. Pertanto, la revoca totale del contributo paterno è stata giudicata ingiustificata.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando la distinzione tra l’aver iniziato a lavorare e l’aver raggiunto una stabilità economica. La proiezione nel mondo del lavoro è un passo importante, ma le caratteristiche del rapporto (non stabile e part-time) non consentono di ritenere cessato l’obbligo di mantenimento del genitore. La precarietà del posto e la difficoltà di raggiungere una piena autonomia economica sono elementi che il giudice deve considerare attentamente. Per questo motivo, la Corte ha ritenuto più equo non revocare, ma ridurre il contributo paterno, rideterminandolo in 250,00 euro mensili. Questa somma rappresenta un adeguato bilanciamento tra il parziale reddito della figlia e il persistente obbligo del genitore di contribuire al suo mantenimento fino al raggiungimento di una reale indipendenza.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa pronuncia offre un’importante lezione pratica: l’inizio di un’attività lavorativa da parte di un figlio maggiorenne non comporta automaticamente la revoca dell’assegno di mantenimento. È necessario un accertamento concreto della situazione. Un lavoro precario, part-time e con un reddito modesto non è di per sé sufficiente a dimostrare l’autosufficienza economica. La decisione della Corte d’Appello di Roma valorizza un approccio realistico, che tiene conto delle attuali difficoltà del mercato del lavoro giovanile, e stabilisce che l’obbligo genitoriale può essere ridimensionato, ma non eliminato, fino a quando il figlio non abbia raggiunto una stabilità lavorativa e reddituale tale da potersi mantenere autonomamente.

Quando cessa l’obbligo di versare l’assegno divorzile all’ex coniuge?
Secondo questa sentenza, l’obbligo cessa quando l’ex coniuge ha dimostrato nel tempo una concreta capacità di lavoro e di produrre reddito, rendendo superata la funzione assistenziale dell’assegno. Ciò vale anche se al momento della decisione non ha un’occupazione stabile, specialmente se il matrimonio è stato di breve durata.

Un lavoro part-time e precario rende un figlio maggiorenne economicamente autonomo?
No. La Corte ha stabilito che un lavoro con contratti a tempo determinato, orario parziale e un reddito medio di 750 euro mensili non è sufficiente per considerare un figlio maggiorenne economicamente autonomo. Tale situazione configura al massimo un’autonomia parziale o ‘in divenire’, che non giustifica la revoca totale del mantenimento.

Cosa accade all’assegno di mantenimento per la figlia maggiorenne se questa inizia a lavorare?
L’assegno può essere ridotto anziché revocato. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto equo ridurre il contributo paterno da 400 a 250 euro mensili, per bilanciare il reddito parziale percepito dalla figlia con il persistente obbligo del genitore di contribuire al suo percorso verso la piena indipendenza economica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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