Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 391 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 391 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 104-2017 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
Oggetto
R.G.N. 104/2017
COGNOME
Rep.
Ud. 28/09/2023
CC
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 599/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 05/07/2016 R.G.N. 664/2013; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/09/2023 dal Consigliere Dott. NOME
COGNOME.
R.G. 104/17
Rilevato che:
Con sentenza del 5.7.2016 n. 2543, la Corte d’appello di Palermo accoglieva parzialmente il gravame di NOME COGNOME avverso la sentenza del tribunale di Agrigento che accoglieva parzialmente la domanda proposta da quest’ultimo nei confronti dell’Inps , volta a chiedere la rideterminazione della pensione integrativa con inclusione nella base di calcolo dell’indennità di funzione (pari a € 516,45 mensili per 12 mensilità) e dell’assegno di garanzia retribuzione/TEP (pari a € 196,25 mensili per 12 mensilità).
Il tribunale aveva dichiarato, in effetti, la parziale cessazione della materia del contendere avendo l’istituto previdenziale riconosciuto una buona parte degli importi rivendicati dal ricorrente, mentre, per altro verso, aveva dichiarato inammissibile per intervenuta decadenza, la residua pretesa del ricorrente che aveva lamentato che gli fosse stato riconosciuto un minore importo mensile nel computo dell’assegno di garanzia retribuzione/TEP, pari ad € 98,13.
La Corte d’appello, da parte sua, a sostegno del parziale accoglimento del gravame di NOME COGNOME ha ritenuto che
la domanda sull’assegno di garanzia retribuzione/TEP non fosse inammissibile (come ritenuto dal giudice di primo grado), perché non si applicava il termine decadenziale avuto riguardo al tempo di proposizione del ricorso in primo grado (24.2.11, cioè, prim a dell’entrata in vigore della novella di cui al DL 6 luglio 2011 n. 98, art. 38, lett. d, convertito nella legge n. 111/11, che ha previsto l’applicazione del termine decadenziale di cui al DPR n. 639/70, art. 47, anche alle azioni aventi ad oggetto l’ade mpimento di prestazioni riconosciute solo in parte, di cui è, in particolare, stata esclusa la retroattività a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 69/14). Nel merito le prove documentali militavano nel senso del riconoscimento del diritto del contribuente, nella misura richiesta.
Avverso la sentenza della Corte d’appello, l’Inps ricorre per cassazione, sulla base di un motivo, mentre NOME COGNOME ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Il collegio riserva ordinanza, nel termine di sessanta giorni dall’adozione della decisione in camera di consiglio.
Considerato che:
Con il motivo di ricorso, l’Inps deduce la violazione dell’art. 64 comma 3 della legge n. 144 del 1999, nonché degli artt. 5, 21 e 27 del Regolamento Inps del 1970, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché erroneamente, la Corte d’appello aveva ritenuto di valorizzare la circostanza che l’assegno garanzia retribuzione fosse rimasto immutato nell’importo originario di € 196,25 sino al giugno 2005, ultimo mese lavorativo prima del pensionamento avvenuto l’1.7.2005, senza che fosse stato riassorbito, ma senza considerare l’argomentazione, pure sottoposta al suo esame, che in realtà, il parametro di riferimento doveva essere, secondo le norme di cui in rubrica, la retribuzione spettante al dipendente al 30 settembre 1999 (data di chiusura del fondo integrativo dell’ente).
Il motivo è inammissibile.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ‘”Ai sensi dell’art. 5 del Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza dell’INPS, adottato con Delib. 12 giugno 1970 e
successivamente modificato con Del. 30 aprile 1982, ai fini della computabilità nella pensione integrativa già erogata dal fondo istituito dall’ente (e ancora transitoriamente prevista a favore dei soggetti già iscritti al fondo, nei limiti dettati dalla L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 64) è sufficiente che le voci retributive siano fisse e continuative, dovendosi escludere la necessità di una apposita deliberazione che ne disponga l’espressa inclusione. Non osta che l’elemento retributivo sia attribuito in relazione allo svolgimento di determinate funzioni o mansioni, anche se queste e quindi la relativa indennità possano in futuro venire meno, mentre non può ritenersi fisso e continuativo un compenso la cui erogazione sia collegata ad eventi specifici di durata predeterminata oppure sia condizionata al raggiungimento di taluni risultati e quindi sia intrinsecamente incerto.” (Cass. sez. un. n. 7154/2010, Cass. n. 19289/15).
Nella specie, pur condividendosi sostanzialmente la ricostruzione normativa dell’Inps, tuttavia si osserva che l’istituto previdenziale contesta , in concreto, uno specifico accertamento di fatto espresso dalla Corte d’appello , come tale insindacabile in sede di legittimità ove esente, come nella fattispecie, da rilievi di ordine logico e giuridico, in base al quale dall’esame dei prospetti paga relativi ai mesi di settembre 1999 e luglio 2000, nonché delle cd. ‘copie ad uso interno’ dei medesimi prospetti per i mesi da gennaio a giugno 2005, si evince che l’assegno in questione era rimasto immutato n ell’importo originario di € 196, 25 sino a giugno 2005, ultimo mese lavorativo prima del pensionamento di NOME COGNOME, avvenuto l’1.7.2005 , e non era stato affatto riassorbito nella retribuzione, così da poter essere considerato elemento suscettibile di poter rideterminare l’ammontare della pensione integrativa, nel senso richiesto dal pensionato, alla luce del principio di diritto sopra enunciato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo rispetto a quello già versato a
titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna l’Inps a pagare a COGNOME le spese di lite che liquida nell’importo di € 3.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28.9.23.