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Assegno di sede: stop alla discriminazione docenti

La Corte di Cassazione, con ordinanza del 13/07/2025, ha stabilito che negare l’assegno di sede ai docenti con contratto a tempo determinato che lavorano all’estero costituisce una discriminazione illegittima. La Corte ha accolto il ricorso di una docente, affermando che non esistono ragioni oggettive per un trattamento economico differente rispetto ai colleghi di ruolo, in linea con la direttiva europea sul lavoro a tempo determinato. La sentenza impugnata è stata cassata con rinvio.

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Pubblicato il 22 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Assegno di sede: la Cassazione conferma il diritto alla parità di trattamento per i docenti precari all’estero

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale nel diritto del lavoro scolastico: il divieto di discriminazione economica tra docenti di ruolo e docenti a tempo determinato. Al centro della controversia vi è l’assegno di sede, un’importante indennità per chi lavora all’estero, che secondo i giudici spetta in egual misura a tutto il personale, a prescindere dalla natura del contratto. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale cruciale, basato sulla normativa europea e nazionale.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dal ricorso di una docente che aveva prestato servizio con un contratto a tempo determinato presso un istituto scolastico italiano a Zurigo per un periodo di tre anni. La docente aveva citato in giudizio il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale per ottenere il riconoscimento del suo diritto a percepire l’assegno di sede in misura integrale, così come previsto per i colleghi assunti a tempo indeterminato.

La sua richiesta si basava sulla disapplicazione di una norma del contratto collettivo nazionale (art. 106 c.c.n.l. Comparto Scuola 2006-2009) che, di fatto, creava un trattamento economico deteriore per il personale supplente. Mentre in primo grado la sua domanda era stata accolta, la Corte d’Appello aveva riformato la decisione, respingendo le sue pretese. La docente ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione di norme nazionali e della direttiva europea contro la discriminazione nel lavoro a tempo determinato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso della docente, cassando la sentenza della Corte d’Appello e rinviando la causa per un nuovo esame. I giudici hanno chiarito che il trattamento economico del personale a tempo determinato all’estero deve essere equiparato a quello del personale di ruolo, specialmente per quanto riguarda le indennità che, come l’assegno di sede, sono legate esclusivamente alle condizioni di svolgimento del lavoro.

Le Motivazioni: l’Assegno di Sede e il Principio di Non Discriminazione

Il cuore della motivazione risiede nell’analisi della finalità dell’assegno di sede e degli altri benefici correlati. La Corte ribadisce, richiamando una consolidata giurisprudenza, che tali emolumenti non sono legati allo status giuridico del dipendente (di ruolo o precario), ma servono a compensare il disagio e le difficoltà derivanti dal trasferimento e dalla prestazione lavorativa all’estero. Si tratta, in sostanza, di ‘integrazioni salariali’ attribuite per il solo fatto di svolgere un determinato servizio in una sede estera.

Di conseguenza, non esiste alcuna ‘ragione oggettiva’ che possa giustificare una differenza di trattamento. La Corte ha specificato che né le modalità di reclutamento (l’eventuale mancato superamento di un concorso pubblico), né la durata temporanea del rapporto, né la mancata ‘incardinazione nei ruoli dello Stato’ costituiscono elementi validi per discriminare.

Un punto cruciale della decisione è il richiamo alla Direttiva 99/70/CE e alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Queste fonti sovranazionali impongono di non trattare i lavoratori a tempo determinato in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili, a meno che non sussistano, appunto, ragioni oggettive. Poiché tali ragioni non sono state ravvisate nel caso di specie, la norma collettiva che introduceva la disparità è stata considerata illegittima perché in contrasto con norme di rango superiore.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza ha importanti implicazioni pratiche. Anzitutto, rafforza la tutela di tutti i docenti e del personale scolastico con contratto a termine che lavorano nelle scuole italiane all’estero, garantendo loro il diritto a un trattamento economico paritario rispetto ai colleghi di ruolo.

In secondo luogo, conferma la prevalenza del principio europeo di non discriminazione sulla contrattazione collettiva nazionale, qualora quest’ultima introduca clausole peggiorative non giustificate. Infine, la decisione serve da monito per le amministrazioni pubbliche, chiamate ad applicare in modo uniforme e non discriminatorio le normative sul trattamento economico del personale, valorizzando la funzione e le condizioni del lavoro svolto piuttosto che la tipologia contrattuale.

Un docente con contratto a tempo determinato che lavora all’estero ha diritto all’assegno di sede come un collega di ruolo?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, l’assegno di sede e gli altri benefici economici previsti per il disagio del trasferimento all’estero devono essere riconosciuti nella stessa misura anche ai supplenti, in quanto sono legati allo svolgimento del servizio e non alla natura del contratto.

La diversa modalità di assunzione o la durata temporanea del contratto possono giustificare un trattamento economico inferiore?
No. La Corte ha stabilito che né le modalità di reclutamento (come il mancato superamento di un concorso pubblico per l’accesso ai ruoli), né la durata temporanea del rapporto costituiscono ragioni oggettive idonee a giustificare un trattamento economico preferenziale per i docenti a tempo indeterminato.

Qual è il ruolo della normativa europea in questa decisione?
È fondamentale. La Corte ha basato la sua decisione sul divieto di discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 99/70/CE. Tale normativa europea impedisce di trattare i lavoratori a tempo determinato in modo meno favorevole rispetto a quelli a tempo indeterminato, a meno che non vi siano ragioni oggettive, che in questo caso sono state escluse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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