Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26583 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 26583 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 16836-2019 proposto da:
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Centrale dell’RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1670/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 28/11/2018 R.G.N. 683/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/05/2024 dal AVV_NOTAIO.
Oggetto
R.G.N. 16836/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 16/05/2024
CC
R.G. 16836/19
Rilevato che:
Con sentenza del giorno 28.11.2018 n. 1670, la Corte d’appello di Milano rigettava l’appello proposto dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Monza che aveva accolto il ricorso promosso da NOME, cittadina extracomunitaria, titolare di permesso di soggiorno per motivi familiari, volto alla corresponsione dell’assegno di natalità, ex lege n. 190/14, per la nascita del proprio figlio, avvenuta in data 31.5.16, con ordine all’RAGIONE_SOCIALE previdenziale di riconoscere il diritto al predetto assegno di natalità alle medesime condizioni previste per i cittadini italiani.
Il tribunale ha accolto la domanda di assegno di natalità della ricorrente che l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE aveva respinto perché NOME non risultava il possesso di un utile permesso di soggiorno (cioè, della carta di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo)rilevando il carattere oggettivamente discriminatorio della condotta tenuta dall’ente previdenziale nei confronti della ricorrente stessa, accertando il diritto a percepire la prestazione richiesta. Il tribunale, in particolare, ha disapplicato la norma che esclude la provvidenza per i cittadini stranieri lavoratori, atteso che il requisito di essere soggiornante di lungo periodo non può riguardare le prestazioni in materia di sicurezza sociale a favore dei lavoratori (tra cui andava ricompreso l’assegno di natalità), ma solo quelle di assistenza.
La Corte territoriale, da parte sua, per quanto ancora d’interesse, previo una diffusa disamina della normativa comunitaria e della giurisprudenza nazionale e comunitaria ha, in buona sostanza, confermato la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza della Corte d’appello, l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione, sulla base di due motivi, mentre NOME COGNOME non ha spiegato difese scritte.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, l’istituto previdenziale deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, del combinato disposto degli artt.1 commi da 125 a 129 della legge n. 190/14 e connesso DPR del 27.2.2015, anche in relazione all’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, dell’art. 12 dir. 2011/98/UE, recepita con il d.lgs. n. 40/2014 e dell’art. 3 del reg. n. 883/2004, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché erroneamente la Corte d’appello aveva riconosciuto il diritto della cittadina extracomunitaria, titolare di permesso di soggiorno per motivi di lavoro ma priva del permesso di soggiorno di lungo periodo, a percepire la provvidenza economica maturata fin dal maggio 2016 a titolo di assegno di natalità di cui all’ar t. 1 commi 125-129 della legge n. 190/14, per la nascita del figlio, pur in presenza del disposto di cui all’art. 3 comma 2 lett. k) della dir. 2011/98/UE, recepito con l’art. 1comma 1 lett. b) del d.lgs. n.40/14 che ha inserito all’art. 5 del d.lgs. n. 28 6/98, il comma 8.2 lett. c), definendo discriminatoria la condotta tenuta dal medesimo istituto. Secondo l’RAGIONE_SOCIALE previdenziale non è invocabile il diritto alla parità di trattamento di cui all’art. 12 della dir. 13 dicembre 2011 n. 98 che compete ai cittadini dei paesi terzi di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), tra i quali non sono ricompresi i cittadini di paesi terzi che soggiornano non con permesso di lungo periodo ma che si trovano nel territorio nazionale transitoriamente e, comunque, per periodi più brevi di 5 anni, che sono contemplati nel successivo paragrafo 2 del medesimo articolo 3.
Con il suddetto motivo di ricorso, l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE previdenziale evidenzia come dalla disciplina dell’assegno di natalità, si evinca in modo inequivocabile che si tratta di una sorta di bonus espressamente previsto per i figli nati da cittadini italiani o di uno Stato membro dell’unione europea o da cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno di lungo periodo. La prestazione economica, secondo l’assunto dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, costituisce un premio diretto ad incentivare la natalità nell’ambito del territori o nazionale; per tale motivo l’assegno di natalità non può essere ricompreso tra le misure poste a tutela della sicurezza sociale, tenendo conto dei vincoli di spesa annuali e degli obblighi di rendicontazione dello stesso RAGIONE_SOCIALE previdenziale: in buona sostanza, secondo l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, riconoscere detto assegno anche a quei genitori che temporaneamente si trovano nel territorio nazionale, vanificherebbe del tutto lo scopo perseguito dal legislatore.
Con il secondo motivo di ricorso, l’istituto previdenziale deduce la violazione dell’art. 156 c.p.c., in ragione del contrasto fra motivazione e dispositivo, in relazione all’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c., poiché i giudici d’appello, pur statuendo in mo tivazione che, ‘non vi è luogo alla condanna alle spese, stante la contumacia dell’appellata’, hanno statuito nel dispositivo la condanna dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE alle spese processuali di secondo grado.
Il primo motivo è infondato.
Infatti, secondo la Giurisprudenza di questa Corte, ‘Al cittadino extracomunitario, privo di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, spetta l’indennità di natalità ex art. 1, comma 125, della l. n. 190 del 2014, a seguito della sentenza n. 54 del 2022 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della suddetta norma
(nella formulazione vigente “ratione temporis” e, dunque, antecedente alle modificazioni introdotte dall’art. 3, comma 4, della l. n. 238 del 2021), nella parte in cui esclude dalla concessione dell’assegno di natalità i cittadini di Paesi terzi che sono stati ammessi nello Stato a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale e i cittadini di Paesi terzi che sono stati ammessi a fini diversi dall’attività lavorativa a norma del diritto dell’Unione o nazionale, ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del Regolamento (CE) n. 1030 del 2002′ (Cass. n. 32606/22) .
A tale orientamento non può che darsi continuità, anche per la presente vicenda, in quanto anche la odierna cittadina extracomunitaria era titolare di titolo, che seppur non di lungo soggiorno, la abilitava a svolgere attività lavorativa, in presenza di tutti gli altri requisiti richiesti per beneficiare della provvidenza economica.
Il secondo motivo è fondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ‘la condanna alle spese processuali, a norma dell’art. 91 c.p.c., ha il suo fondamento nell’esigenza di evitare una diminuzione patrimoniale alla parte che ha dovuto svolgere un’attività processuale per ottenere il riconoscimento e l’attuazione di un suo diritto; sicché essa non può essere pronunziata in favore del contumace (o intimato in sede di giudizio di cassazione) vittorioso, poiché questi, non avendo espletato alcuna attività processuale, non ha sopportato spese al cui rimborso abbia diritto (Cass. n. 16174 del 2018; Cass. n. 17432 del 2011)’ (Cass. Civ., ord. n. 12897/19 del 15.05.2019).
Alla luce di quanto sopra esposto è evidente pertanto, che il contumace vittorioso, avendo deliberatamente deciso di non costituirsi in giudizio, non avrà diritto al rimborso delle spese
processuali anche qualora all’esito del detto giudizio risulti vittorioso, giacché egli non ha espletato alcuna attività processuale e/o difensiva nel procedimento medesimo che giustifichi la rifusione delle spese, tanto più che la stessa Corte d’appello aveva disposto in motivazione che non dovesse pronunziarsi condanna alle spese, stante la contumacia dell’appellata.
Ne consegue che, in riforma del solo capo di condanna dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese e, decidendo nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti, va dichiarato che nulla è dovuto a NOME per le spese del giudizio di appello. La mancata predisposizione di difese scritte da parte di NOME, esonera il collegio dal provvedere sulle spese. alla corresponsione del contributo unificato (Cass. sez. un. n.
Non è necessaria alcuna attestazione, in merito NUMERO_DOCUMENTO).
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara che nulla è dovuto a NOME COGNOME, per le spese del giudizio di appello Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16.5.24