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Assegno di natalità: sì a stranieri con permesso lavoro

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26583/2024, ha confermato il diritto di una cittadina extracomunitaria, titolare di un permesso di soggiorno per motivi familiari che le consentiva di lavorare, a ricevere l’assegno di natalità. L’Ente Previdenziale aveva negato il beneficio sostenendo fosse necessario un permesso di soggiorno di lungo periodo. La Corte, richiamando una precedente sentenza della Corte Costituzionale, ha stabilito che escludere i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti da questa prestazione costituisce una discriminazione. L’assegno di natalità è stato qualificato come una misura di sicurezza sociale e non un semplice bonus demografico. L’ordinanza ha, tuttavia, corretto la sentenza d’appello su un punto: nessuna spesa legale è dovuta alla parte che, pur vincendo, non si è costituita in giudizio.

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Pubblicato il 23 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Assegno di natalità: la Cassazione conferma il diritto per gli stranieri

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha consolidato un importante principio di parità di trattamento in materia di prestazioni sociali. L’assegno di natalità spetta anche ai cittadini extracomunitari in possesso di un permesso di soggiorno che consenta di lavorare, senza che sia necessario il requisito del permesso di soggiorno di lungo periodo. Questa decisione chiarisce la natura della prestazione e rafforza la tutela contro le discriminazioni.

I Fatti del Caso: dal Diniego al Ricorso in Cassazione

Una cittadina extracomunitaria, madre di un bambino nato in Italia e titolare di un permesso di soggiorno per motivi familiari, si è vista negare dall’Ente Previdenziale la corresponsione dell’assegno di natalità. La motivazione del diniego risiedeva nella mancanza di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, requisito all’epoca richiesto dalla normativa.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano dato ragione alla donna, riconoscendo il suo diritto alla prestazione e definendo discriminatoria la condotta dell’ente. La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, su ricorso dell’Ente Previdenziale, che ha insistito sulla natura della prestazione come “bonus” demografico riservato a una platea ristretta di beneficiari.

L’assegno di natalità: bonus o prestazione di sicurezza sociale?

Il cuore della controversia verteva sulla corretta interpretazione della natura dell’assegno di natalità. Secondo l’Ente Previdenziale, si trattava di una misura volta a incentivare la natalità sul territorio nazionale, e quindi legittimamente limitata ai cittadini italiani, comunitari e agli stranieri stabilmente residenti (titolari di permesso di lungo periodo). In questa prospettiva, estendere il beneficio a chi soggiorna temporaneamente vanificherebbe lo scopo del legislatore.

Di parere opposto i giudici di merito, la cui posizione è stata infine avallata dalla Cassazione. La prestazione non è un mero incentivo demografico, ma rientra a pieno titolo tra le misure di sicurezza sociale destinate a sostenere le famiglie. Come tale, deve rispettare il principio di parità di trattamento e non discriminazione sancito dalla normativa europea e nazionale.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il motivo principale del ricorso dell’Ente, dichiarandolo infondato. La decisione si fonda su un precedente fondamentale della Corte Costituzionale (sentenza n. 54 del 2022), che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui escludeva dall’assegno di natalità i cittadini di Paesi terzi ammessi a fini lavorativi.

I giudici hanno ribadito che il requisito del permesso di soggiorno di lungo periodo è irragionevole e discriminatorio quando applicato a prestazioni di sicurezza sociale. Ciò che conta è che il cittadino straniero sia legalmente soggiornante in Italia e autorizzato a svolgere un’attività lavorativa, contribuendo così al sistema sociale ed economico del Paese. La cittadina, essendo titolare di un titolo che la abilitava al lavoro, possedeva tutti i requisiti sostanziali per beneficiare della provvidenza economica.

La Correzione sulle Spese Processuali

L’unico punto del ricorso accolto dalla Cassazione riguarda la condanna alle spese processuali del giudizio d’appello. La Corte d’Appello aveva condannato l’Ente a pagare le spese, nonostante la cittadina non si fosse costituita in quel grado di giudizio (rimanendo “contumace”). La Cassazione ha corretto questo errore, affermando un principio consolidato: la condanna alle spese serve a rimborsare i costi sostenuti dalla parte vittoriosa per difendere i propri diritti. Se una parte non si costituisce e non svolge alcuna attività difensiva, non sopporta spese e, di conseguenza, non ha diritto ad alcun rimborso, anche se risulta vincitrice.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento rappresenta un’importante conferma della giurisprudenza costituzionale e di legittimità in materia di diritti sociali degli stranieri. Viene definitivamente chiarito che l’assegno di natalità è una prestazione di sicurezza sociale e non un premio selettivo. Di conseguenza, il diritto si estende a tutti i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, a prescindere dalla tipologia del loro permesso, rafforzando il principio di uguaglianza e la tutela della famiglia.

Un cittadino extracomunitario con un permesso di soggiorno per lavoro, ma non di lungo periodo, ha diritto all’assegno di natalità?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che il diritto spetta a tutti i cittadini di Paesi terzi che sono stati ammessi nello Stato a fini lavorativi, anche se non sono in possesso di un permesso di soggiorno di lungo periodo, in quanto l’esclusione è stata ritenuta incostituzionale.

L’assegno di natalità è considerato un bonus per incentivare le nascite o una prestazione di sicurezza sociale?
Secondo l’interpretazione consolidata delle corti, inclusa la Cassazione, l’assegno di natalità rientra tra le prestazioni di sicurezza sociale. Per questo motivo, deve essere garantito nel rispetto del principio di parità di trattamento per i lavoratori stranieri legalmente soggiornanti.

Una parte che vince una causa ma non si è costituita in giudizio (contumace) ha diritto al rimborso delle spese legali?
No. La Corte ha chiarito che la condanna al pagamento delle spese processuali ha lo scopo di rimborsare i costi sostenuti per l’attività difensiva. La parte che rimane contumace, non svolgendo alcuna attività processuale, non sopporta spese e quindi non ha diritto ad alcun rimborso, anche se l’esito del giudizio le è favorevole.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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