Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33349 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 33349 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
SENTENZA
sul ricorso 20100/2018 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME presso cui è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE e DEL MERITO (già MIUR) e NOME COGNOME NOMECOGNOME in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliati in Roma, INDIRIZZO
-resistenti- avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Napoli, n. 8488/2017, pubblicata il 21 dicembre 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
udite le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del primo e del secondo motivo del ricorso, assorbito il terzo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME ha proposto ricorso al Tribunale di Benevento chiedendo l’annullamento del decreto dirigenziale di ricostruzione della carriera n. 54 del 18 maggio 2007 e della nota prot. N. 15198/Serv. II della Direzione Territoriale dell’Economia e delle Finanze di Benevento del 3 novembre 2008 di esecuzione dello stesso.
Inoltre, essa ha domandato che:
fosse disposta l’applicazione del decreto dirigenziale n. 5229 del 2002, che aveva riconosciuto in suo favore un assegno ad personam pensionabile e non riassorbibile, con restituzione degli emolumenti retributivi illegittimamente decurtati;
fosse disposta l’applicazione del decreto n. 962/Cp del 28 febbraio 2005, che aveva sostituito il precedente decreto, già annullato, n. 2891 del 15 giugno 2002 di riconoscimento del periodo di assenza dal 3 giugno 2002 al 2 giugno 2003, computabile ai fini della ricostruzione della carriera;
fosse accordato il risarcimento del danno.
Ella ha dedotto che:
il 15 ottobre 2001, era stata assunta con contratto di lavoro a tempo indeterminato nell’area professionale del personale amministrativo tecnico e ausiliario presso l’ITC S. Rampone di Benevento;
in precedenza, dal 25 giugno al 15 ottobre 2001, era stata in servizio presso la Direzione della Casa di reclusione di Padova, in qualità di ragioniere B3;
dal 16 ottobre 2001 al 15 aprile 2002, aveva usufruito di un periodo di aspettativa non retribuita in quanto vincitrice di concorso presso il Provveditorato agli Studi di Benevento e assunta in prova presso l’ITC S. Rampone;
dal 2 maggio 2002, superato il periodo di prova, era stata confermata in ruolo presso l’ITC S. Rampone, con la qualifica di assistente amministrativo;
il 17 settembre 2002, aveva chiesto l’adeguamento dello stipendio ai sensi dell’art. 3, commi 57 e 58, della legge n. 537 del 1993, in quanto proveniente da altra carriera ministeriale con retribuzione mensile più elevata;
il 9 novembre 2002, il Dirigente scolastico aveva emanato il decreto n. 5229, con il quale le era stato riconosciuto un assegno ad personam pensionabile, non riassorbibile e non rivalutabile, pari alla differenza fra la retribuzione precedente e quella successiva;
con il medesimo decreto n. 5229 il Dirigente scolastico aveva autorizzato la Direzione provinciale dei Servizi vari di Benevento a corrisponderle un assegno personale pensionabile e riassorbibile;
aveva chiesto più volte la rettifica del decreto n. 5229, nella parte ove era stato autorizzato il pagamento in suo favore di un assegno riassorbibile;
con decreto n. 2891 del 15 giugno 2002, era stata collocata in aspettativa senza assegni, a domanda, dal 3 giugno 2002 al 2 giugno 2003, in quanto vincitrice di borsa di studio presso la Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate della Toscana, ma tale periodo non le era stato riconosciuto ai fini della progressione di carriera;
con decreto n. 962/Cp del 28 febbraio 2005, il decreto n. 2891 era stato annullato con effetto retroattivo e detto periodo di aspettativa era stato riconosciuto;
il 26 aprile 2007 aveva chiesto la ricostruzione della carriera;
il Dirigente scolastico aveva domandato il 24 maggio 2007 all’Ufficio scolastico provinciale di Benevento un parere circa il riconoscimento dell’assegno ad personam e del periodo di carriera trascorso in aspettativa;
nel giugno 2007 era stato emesso un parere negativo quanto all’assegno ad personam , con richiesta di chiarimenti in ordine alla seconda questione;
con decreto dirigenziale n. 54 del 2007 non le erano stati riconosciuti né la menzionata ricostruzione di carriera né il citato assegno ad personam ;
la Direzione provinciale dei Servizi Vari del Tesoro di Benevento le aveva comunicato l’esistenza di un credito erariale di € 20.595,10, provvedendo a recuperarlo tramite trattenute sullo stipendio.
Il Tribunale di Benevento, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 4317/2011, ha accolto la sola domanda concernente l’aspettativa.
NOME COGNOME ha proposto appello.
Il MIUR (ora MIM) si è costituito.
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 8488/2017, ha rigettato il gravame.
A fondamento della decisione, ha esposto che:
con verbale di intesa del 21 luglio 1998, l’indennità di amministrazione era stata trasformata in assegno ad personam riassorbibile;
era pacifico che il trasferimento della ricorrente al MIUR fosse avvenuto in base al d.lgs. n. 479 del 1994, emanato in attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, legge n. 537 del 1993, in materia di riordino e soppressione di enti pubblici di previdenza e assistenza, che prevedeva la riassorbibilità dell’assegno;
pertanto, non era stato attribuito un trattamento peggiorativo;
in ogni caso, l’assegno non spettava alla ricorrente in quanto ella si era volontariamente dimessa dall’Amministrazione carceraria per stipulare, in seguito, un contratto individuale di lavoro con il MIUR quale avente diritto secondo lo scorrimento della graduatoria provinciale permanente.
NOME COGNOME ha presentato ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Le Amministrazioni intimate hanno depositato atto di costituzione.
La ricorrente ha depositato memoria;
La causa, dapprima avviata alla decisione camerale, con ordinanza interlocutoria n. 10943 del 2024 del 3 aprile 2024 è stata rinviata a nuovo ruolo per la trattazione in udienza pubblica in ragione della rilevanza della questione giuridica ivi prospettata in merito alla spettanza o meno dell’assegno ad personam ex artt. 202 del TU n. 3 del 1957 e 3, commi 57 e 58, della legge n. 537 del 1993 a dipendente di P.A. statale con riferimento ad un periodo successivo all’entrata in vigore del d.lgs. n. 29 del 1993 e del d.lgs. n. 165 del 2001 e alla sottoscrizione dei pertinenti contratti collettivi del quadriennio 19982001, questione sulla quale è stato sollecitato il contraddittorio, ex art. 384, comma 3, c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 6, comma 2, d.lgs. n. 479 del 1994, 11, comma 2, d.P.R. n. 38 del 1998, anche in relazione all’art. 2112 c.c., nonché 35, comma 8, d.lgs. n. 29 del 1993 e smi, 202 d.P.R. n. 3 del 1957 e 3, commi 57 e 58, legge n. 537 del 1993.
Con il secondo motivo essa contesta l’omesso esame della non avvenuta interruzione del rapporto di lavoro tra un’amministrazione ed un’altra e la violazione e falsa applicazione degli artt. 200 e 202 del d.P.R. n. 3 del 1957 e dell’art. 3, commi 57 e 58, d ella legge n. 537 del 1993, anche in relazione agli artt. 30 ss. del d.lgs. n. n. 165 del 2001 ed agli artt. 1230 e 1406 c.c., nonché dell’art. 29 del CCNL comparto Scuola del 1995 e dell’art. 2118 c.c. in tema di dimissioni.
Principalmente, ella si duole, nella sostanza, del fatto che la corte territoriale non abbia tenuto conto che oggetto del contendere era la spettanza alla medesima ricorrente di un assegno ad personam che le consentisse di mantenere, in seguito al suo passaggio dall’amministrazione carceraria a quella del MIUR, in quanto vincitrice di pubblico concorso, la retribuzione percepita presso la P.A. di provenienza, che era più alta di quella erogata dal Ministero di destinazione.
Sostiene che la Corte d’appello di Napoli avrebbe errato nell’applicare il d.lgs. n. 479 del 1994 alla sua vicenda, in quanto sarebbe venuto in rilievo un normale
passaggio da un Ministero ad un altro, che avrebbe dovuto essere regolato dall’art. 202 del d.P.R. n. 3 del 1957.
Non sarebbe stata esaminato, infine, il fatto storico rappresentato dalla non avvenuta interruzione del rapporto di lavoro fra le amministrazioni coinvolte.
Le doglianze, che possono essere trattate congiuntamente, stante la stretta connessione, sono inammissibili.
Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il vizio di violazione di legge (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) per erronea sussunzione si distingue dalla carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, sottratta al sindacat o di legittimità, perché postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso. La censura attiene, dunque, all’erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa, senza contestare la valutazione delle risultanze di causa (Cass., Sez. 3, n. 19651 del 16 luglio 2024).
In particolare, secondo la Corte di cassazione, è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (Cass., Sez. 3, n. 6035 del 13 marzo 2018).
Ciò perché, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, nei limiti nei quali è oggi consentita: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizi one dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata
valutazione delle risultanze di causa (Cass., Sez. 5, n. 25182 del 19 settembre 2024; Cass., Sez. 6-2, n. 24054 del 12 ottobre 2017).
Nella specie, ancorché la ricorrente lamenti, formalmente, il mancato rispetto della normativa sopra menzionata e l’erronea sussunzione della presente vicenda nell’ambito di applicazione della stessa, nella sostanza si duole della ricostruzione in fatto di tale vicenda ad opera del giudice del merito.
Quest’ultimo, soprattutto, ha ritenuto che:
la lavoratrice fosse pacificamente transitata nella nuova Amministrazione ai sensi del d.lgs. n. 479 del 1994, normativa concernente il trasferimento per legge all’INPDAP de
l’ art. 5 della legge n. 1291 del 1962, qualora gli interessati non avessero preferito optare per il rientro nei ruoli del Ministero del tesoro;
-la controversia imponesse l’esame di un certo verbale di intesa del 21 luglio 1998;
-la ricorrente si fosse volontariamente dimessa dall’Amministrazione carceraria.
A fronte di queste chiare affermazioni della C orte d’appello di Napoli, il ricorso potrebbe essere esaminato solo se, in seguito a un nuovo accertamento della situazione fattuale, fosse stabilito che:
il trasferimento della ricorrente non era avvenuto in base al disposto del d.lgs. n. 479 del 1994;
il verbale di intesa del 21 luglio 1998 non aveva rilievo;
-la dipendente si era volontariamente dimessa dall’Amministrazione carceraria.
Una verifica del genere, però, non può essere compiuta da questa Suprema Corte.
Pertanto, le censure proposte ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. non sono ammissibili, atteso che, pur prospettate sotto forma di violazione e falsa
applicazione di legge, possono essere scrutinate esclusivamente rimettendo in discussione la verifica dei fatti di causa posta in essere dal giudice del merito.
In realtà, la ricorrente avrebbe dovuto contestare la motivazione della sentenza di appello, ma detto motivo non è stato articolato adeguatamente.
Pure inammissibile è la contestazione relativa all’omesso esame circa la non avvenuta interruzione del rapporto di lavoro tra un’amministrazione e un’altra, prospettata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
Infatti, nella specie vi è, sul punto, una doppia conforme.
Inoltre, nella sostanza la ricorrente domanda ancora di rivalutare la documentazione di causa per giungere a un accertamento opposto rispetto a quello della Corte d’appello di Napoli, che si è espressa sulla vicenda, concludendo che la dipendente si era volontariamente dimessa.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta l’omessa pronuncia in ordine al diritto al risarcimento del danno non patrimoniale patito in conseguenza dell’illegittima condotta della P.A.
La doglianza è inammissibile per le stesse ragioni che hanno condotto alla dichiarazione di inammissibilità dei primi due motivi.
Si osserva, poi, che la corte territoriale, rigettando le censure proposte in appello, ha sostanzialmente respinto anche la doglianza inerente al menzionato risarcimento.
3) Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Nessuna statuizione deve esservi in ordine alle spese, non avendo le Pubbliche amministrazioni intimate depositato controricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
dichiara inammissibile il ricorso;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 3