Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9591 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9591 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/04/2025
ORDINANZA
R.G.N.26124/2021
COGNOME
Rep.
Ud.20/03/2025
CC
sul ricorso 26124-2021 proposto da:
MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 277/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/04/2021 R.G.N. 745/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
Il Ministero della difesa, in persona del Ministro p.t., proponeva appello avverso la sentenza n. 707 del 2020 del Tribunale di Milano che, respinta l’eccezione di carenza di giurisdizione, accoglieva la domanda proposta da NOME COGNOME, già militare appartenente all’Arma dei Carabinieri, transitato nei ruoli del personale civile per inidoneità al servizio di istituto, di integrazione dell’assegno ad personam riconosciutogli al momento del passaggio ai ruoli civili con quanto spettante a titolo di assegno funzionale, maturato giuridicamente mentre era in corso il cd. blocco stipendiale di cui al d.l. 78 del 2010, conv. con l. n. 122 del 2010, poi prorogato con il d.P.R. n. 122 del 2013.
La Corte di Appello di Milano rigettava il gravame, affermando che per tutto l’arco temporale oggetto del cd. blocco stipendiale ogni progressione economica che pure non ha prodotto effetti economici, ha prodotto tuttavia quelli giuridici, con la conseguenza che il diritto all’emolumento è effettivamente entrato a far parte del patrimonio del lavoratore, il quale, ha quindi diritto a percepirlo sebbene solo al momento della cessazione del blocco.
Avverso detta pronunzia propone ricorso per cassazione articolato in due motivi il Ministero della difesa.
Resiste con controricorso NOME COGNOME con deposito altresì di memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Considerato che
Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 9, commi 1 e 21, del d.l. n. 78 del 2010, conv. con l. n. 122 del 2010, nonché la violazione dell’art. 11 delle disp. prel. al c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p. c.
1.1. Sostiene la parte ricorrente in Cassazione che la Corte di Appello di Milano ha offerto nella sentenza impugnata una lettura erronea dell’art. 9, commi 1 e 21, del d.l. n. 78 del 31 maggio del 2010, conv. con modif. con l. n. 122 del 2010, affermando che il blocco stipendiale previsto dalla normativa innanzi richiamata (prorogato prima per effetto del d.P.R. n. 122 del 4 settembre 2013 e poi in virtù dell’art. 1, commi 254, 255 e 256 della l. n. 190 del 23 dicembre 2014), pur non dando luogo, per il periodo 2011-2014 ad incrementi stipendiali, comporta, tuttavia, che detti aumenti entrino a far parte della posizione giuridica del dipendente, ragion per cui, una volta cessato il blocco, il dipendente pubblico riacquista il diritto alla corresponsione delle maggiorazioni stipendiali connesse agli avanzamenti di carriera medio tempore conseguiti.
1.2. Rimarca che, a differenza di quanto affermato dalla Corte territoriale, il trattamento economico al quale parametrare il calcolo dell’assegno ad personam è quello cristallizzato, nella specie, alla data del 12 ottobre del 2012, data in cui il COGNOME veniva dichiarato non idoneo al servizio militare e transitava nei ruoli civili, insuscettibile di miglioramenti in ragione dell’espressa prescrizione normativ a dell’art. 9, comma 1, del citato d.l. n. 78 del 2010 che ha previsto che tutti i dipendenti pubblici, anche di grado dirigenziale, non possano percepire, per il triennio 2011-2013, un trattamento economico complessivo, ivi compreso quello accessorio, superiore a quello in godimento nel 2010, vieppiù in considerazione del comma 21 della medesima disposizione che ha espressamente disposto la sterilizzazione dei miglioramenti economici, senza possibilità di recuperi successivi.
1.3. Conseguentemente, si argomenta nel mezzo, del tutto correttamente il Ministero della difesa non ha rideterminato l’assegno ad personam del COGNOME, in virtù della maturazione dell’assegno funzionale durante il cd. blocco, dovendo aversi
riguardo, al fine della determinazione dello stesso , al trattamento economico goduto all’atto del giudizio di non idoneità. A tanto si soggiunge che la lettura proposta nella sentenza di appello vanificherebbe del tutto l’intento del legislatore del 2010 che è di riduzione della spesa e non di rinvio della stessa.
1.4. Il Ministero della difesa evidenzia ancora che l’interpretazione delle norme come prospettata nel motivo è conforme alla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte dei conti. La Corte costituzionale ha avallato, infatti, ancorché nei limiti dell’eccezionalità delle contingenze economiche, la legittimità della scelta del legislatore del 2010 ( cfr. Corte cost. n. 303/2012, n. 310/2013, n. 7/2014, n. 178/2015, n. 264/2015, n. 96/2016), affermando altresì nella sentenza n. 200 del 2018 l’infon datezza delle censure sollevate avverso la normativa recante il blocco stipendiale nella parte in cui non ha previsto, nei confronti dei soggetti cessati dal servizio nell’arco temporale in questione, la valorizzazione in quiescenza, a decorrere dalla data della cessazione del blocco, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso. Nello stesso senso, peraltro, si era già espressa la Corte dei Conti anteriormente nelle sentenze n. 202 del 2019 e n. 203 del 2019.
1.5. Il Ministero della difesa rimarca anche che nel caso in esame, come in quello già sottoposto al vaglio della Consulta e deciso con la sentenza n. 200 del 2018, va escluso possano configurarsi effetti penalizzanti permanenti in quanto la disposizione di cui al comma 21, dell’art. 9 cit. è costruita come regola per confermare la retribuzione spettante e non già come prelievo straordinario su una retribuzione più elevata.
1.6. A tale retribuzione spettante alla data del transito occorre far riferimento, senza che sussista alcuna disparità di trattamento tra la posizione del COGNOME transitato nell’area civile prima che il blocco
cessasse, rispetto a coloro che sono cessati per qualsiasi causa dal servizio militare dopo il periodo di blocco, attesa la disomogeneità delle situazioni.
1.7. La conseguenza è che il trattamento economico del COGNOME, come quello di tutto il personale militare che nel corso del periodo di blocco stipendiale è stato posto in congedo per qualsiasi causa, resta cristallizzato a quello percepito al 31.12.2010, sia quale base del trattamento economico pensionistico, sia per la determinazione del trattamento economico spettante successivamente al transito nelle aree funzionali del personale civile del Ministero della difesa.
1.8. Nel mezzo si aggiunge, poi, che non può prospettarsi una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa, perché la soluzione obbligata della questione è data dal transito del militare nei ruoli civili durante il blocco, rimarcandosi, inoltre che la Corte di Appello ha altresì violato l’art. 11 delle Preleggi, perché l’interessato, a differenza di quanto rite nuto dai giudici di merito, non poteva fruire dei benefici economici per cui è causa attribuiti al personale militare dalla data di cessazione del blocco, atteso che a quella data il suo status era mutato e già apparteneva ai ruoli civili. 1.9. Infine, il motivo evidenzia che, al fine di compensare il personale interessato dalle penalizzazioni economiche derivanti dalla normativa innanzi richiamata, veniva istituito, per gli appartenenti alle Forze armate un apposito fondo con erogazione di assegni solo una tantum (cfr. pag. 6 del ricorso), dunque non rientrante nel trattamento economico in godimento e quindi inutilizzabile al fine della parametrazione dell’assegno ad personam richiesto.
Con la seconda censura è denunziata la violazione e falsa applicazione dell’art. 930 del d.lgs. n. 66 del 2010, nonché la violazione dell’art. 2, commi 5 e 8, del decreto interministeriale del
18.4.2002, attuativo dell’art. 14 della l. n. 266 del 1999, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
2.1. Il trattamento economico in godimento è stato effettuato correttamente – si sottolinea in applicazione dell’art. 2, comma 8, del d.m. del 18.4.2002, che detta le regole per la determinazione del trattamento economico da attribuire ai militari transitati nei ruoli civili.
2.2. La norma innanzi citata, infatti, fa riferimento al trattamento economico (e non a quello giuridico) in godimento al momento del transito, fissando così il parametro economico cui agganciare la determinazione dell’assegno personale.
2.3. Dalla norma emerge, si aggiunge, che gli assegni fissi e continuativi per poter essere garantiti a seguito del passaggio nei ruoli civili devono essere non solo riconosciuti dall’Amministrazione, ma anche previamente goduti dal militare in transito.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente e vanno accolti, nel segno della seguente motivazione.
La fattispecie all’attenzione è quella di un militare appartenente all’Arma dei Carabinieri che, dichiarato inidoneo al servizio, è transitato, a domanda, nei ruoli civili durante il cd. blocco stipendiale ed ha chiesto, alla cessazione del blocco, l’in tegrazione dell’assegno ad personam riconosciutogli al momento del passaggio nei ruoli civili con quanto a lui spettante a titolo di assegno funzionale (ovvero l’emolumento spettante per aver prestato nei ruoli dell’Arma dei Carabinieri servizio senza deme rito per 17 anni), maturato giuridicamente mentre era vigente la disciplina di cui al più volte citato d.l. 78 del 2010 e successive proroghe.
Al fine di meglio chiarire il quadro normativo di riferimento, va ricordato che l ‘inquadramento economico è disciplinato in virtù del decreto interministeriale del 18 aprile 2002, che, all’art. 2, comma 5, dispone che ‘ Il personale trasferito è inquadrato in
soprannumero, riassorbibile con la cessazione dal servizio per qualsiasi causa del personale stesso, nella qualifica corrispondente al grado rivestito al momento del trasferimento, conservando l’anzianità assoluta riferita al predetto grado, l’anzianità complessivamente maturata e la posizione economica acquisita ‘ , al successivo comma 8, regolamentando altresì il caso in cui il nuovo trattamento economico spettante a titolo di assegni fissi e continuativi risulti inferiore a quello in godimento allo stesso titolo all’atto del transito .
La disposizione innanzi richiamata prevede in tale ipotesi che ‘ l’eccedenza è attribuita sotto forma di assegno ad personam, pari alla differenza fra il trattamento economico goduto ed il nuovo, fino al riassorbimento con i successivi aumenti di trattamento economico a titolo di assegni fissi e continuativi ‘.
La peculiarità della fattispecie all’attenzione è data dal momento temporale in cui è avvenuto il transito del controricorrente nei ruoli civili della P.A., durante la vigenza del blocco stipendiale disposto dall’art. 9, comma 21, d.l. n. 78 del 2010, previsto fino alla data del 31 dicembre 2014 e poi prorogato.
Il thema decidendum attiene, quindi, alla seguente questione: se gli emolumenti maturati giuridicamente durante la vigenza del d.l. n. 78 del 2010, ma non corrisposti, possono essere utilizzati o meno ai fini della riparametrazione (in una parola all’aumento ) dell’assegno ad personam alla fine del blocco.
La questione, con riguardo ad una fattispecie complessivamente sovrapponibile (in quel caso venivano in rilievo gli aumenti connessi alla permanenza in servizio nel grado di ufficiale per 13 anni maturati durante il blocco), è stata già esaminata nella pronunzia Cass. Sez. L, n. 33352/2024, rv. 673307-01, che ha affermato: l’assegno ad personam previsto dall’art. 2, comma 8, del decreto interministeriale del 18 aprile 2002 in favore del personale delle
Forze Armate transitato nei ruoli del personale civile del Ministero della Difesa, ex art. 930 del d.lgs. n. 66 del 2010, durante il periodo di vigenza del c.d. blocco stipendiale stabilito dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, conv. con modif. dalla l. n. 122 del 2010, va determinato senza tenere conto dei miglioramenti economici dei quali tale personale avrebbe beneficiato, al momento del transito, in assenza del predetto blocco stipendiale.
Il Collegio condivide e fa proprie non solo le conclusioni cui si è giunti in detta pronunzia, ma anche gli snodi motivazionali tutti da intendersi qui integralmente riportati anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.
Brevemente, in consonanza con il precedente richiamato, osserva il Collegio che le censure meritano accoglimento per i seguenti motivi.
L’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, come noto, al fine del contenimento della spesa pubblica, prevede una regola conformativa della retribuzione che riguarda tutto il pubblico impiego, sia quello contrattualizzato che non contrattualizzato.
11.1. Nello specifico, quanto al pubblico impiego non contrattualizzato, che viene in rilievo nella fattispecie in esame viene previsto che la retribuzione è determinata senza tener conto, né dei meccanismi di adeguamento retributivo ( cfr. art. 24 l. n. 448 del 1998), né degli altri meccanismi di progressione economica degli stipendi, né, infine, delle progressioni di carriera comunque denominate.
11.2. A queste previsioni, sempre nell’ottica del contenimento della spesa pubblica, si è aggiunto anche il blocco della contrattazione collettiva, con conseguente congelamento dei livelli retributivi (regime di sospensione della contrattazione, poi dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza della Consulta con
sent. n. 178 del 2015, ma soltanto a partire dal giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale).
La manovra legislativa volta al contenimento della spesa ha per il resto superato il vaglio di costituzionalità (cfr. Corte cost. n. 96 del 2016, Corte cost. n. 154 del 2014, Corte cost. n. 304 e 310 del 2013, ordinanza n. 113 del 2014), sicché all’epo ca -nel 2013 -in cui NOME COGNOME transitava nei ruoli civili i miglioramenti del suo trattamento stipendiale erano stati legittimamente bloccati, con la conseguenza che la retribuzione percepita era pari a quella appresa al 31 dicembre 2010.
La fondatezza delle doglianze del Ministero è frutto dell’esegesi delle innanzi richiamate disposizioni di cui ai commi 5 e 8 del decreto interministeriale del 18 aprile del 2002.
In particolare il comma 8 cit., riportato al punto 5 per la parte qui di intesse, dispone in modo chiaro che al fine della commisurazione dell’assegno personale occorre far riferimento al trattamento ‘in godimento allo stesso titolo all’atto del transito’ ovvero, nel caso di specie, al trattamento congelato ai sensi della normativa precedente e, quindi, a quello goduto alla data del 31.12.2010. Insomma la disposizione è chiara nel dare rilievo, ai fini che qui ci interessano, al trattamento economico in godimento e non a quello giuridico.
La correttezza della soluzione raggiunta alla luce dei dati normativi innanzi richiamati trova conferma nelle considerazioni di carattere sistematico svolte anche dal Giudice delle leggi.
In particolare, nella sentenza n. 200 del 2018 la Corte costituzionale, in una fattispecie con evidenti analogie con quella qui all’attenzione, ha rigettato la questione di costituzionalità relativa alle norme del blocco stipendiale nella parte in cui non hanno previsto, nei confronti dei soggetti andati in pensione nell’arco temporale della cristallizzazione, la valorizzazione in
quiescenza, a decorrere dalla data di cessazione del blocco, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso.
In motivazione il Giudice delle Leggi ha altresì precisato che la disposizione censurata (l’art. 9, comma 21 del d.l. n. 78 del 2010) era costruita come regola per conformare la retribuzione spettante e non come prelievo straordinario su una retribuzione più elevata, escludendosene altresì la natura tributaria.
Conseguentemente, una volta sterilizzati ex lege, per effetto dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, gli automatismi retributivi, la retribuzione utile ai fini previdenziali, scrive la Corte costituzionale, non può che essere quella risultante dall’applicazione delle sopraindicate regole limitati ve.
Rinviando ancora ex art. 118 disp. att. c.p.c. alla motivazione della innanzi ricordata Cass. n. 33352/2024 per un più compiuto e puntuale esame della giurisprudenza del Giudice delle leggi, le brevi considerazioni innanzi svolte consentono di affermare che la P.A. ha quindi determinato in maniera corretta la misura dell’assegno personale, valorizzando la differenza tra quanto percepito al momento del transito (come cristallizzato) e quanto spettante in virtù del passaggio nei ruoli civili.
Al fine di valorizzare la fondatezza delle doglianze proposte dal Ministero, nel solco della giurisprudenza costituzionale, basta un’unica ultima osservazione: ogni diversa interpretazione del quadro normativo qui proposto non consentirebbe di comprendere come mai gli incrementi retributivi qui pretesi dovrebbero spettare ai fini della quantificazione dell’assegno ad personam, ma poi non essere utili ai fini della quantificazione del trattamento pensionistico.
Conclusivamente il ricorso è accolto, la sentenza impugnata è cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la
causa è decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., con rigetto della domanda originaria del controricorrente.
Le spese di lite dell’intero processo sono compensate in ragione della complessità e novità della questione trattata
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto che non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13.
PQM
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta le originarie domande del controricorrente;
compensa le spese di tutto il processo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto che non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20.3.2025.