LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Assegno ad personam negato: il caso del pubblico impiego

Un ex dipendente del Ministero della Difesa, divenuto insegnante presso il Ministero dell’Istruzione dopo dieci anni di contratti a termine, si è visto negare l’assegno ad personam. La Corte di Cassazione ha stabilito che il lungo periodo di precariato interrompe la continuità del rapporto di lavoro, requisito essenziale per qualificare il trasferimento come un “passaggio di carriera” e ottenere così il mantenimento del trattamento economico precedente. La decisione sottolinea che le dimissioni e la successiva riassunzione non equivalgono a una procedura di mobilità diretta.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 27 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Assegno ad personam nel pubblico impiego: il no della Cassazione in caso di precariato

L’assegno ad personam rappresenta una garanzia fondamentale per i dipendenti pubblici che cambiano ruolo o amministrazione, assicurando che non subiscano una perdita economica. Tuttavia, il diritto a tale assegno non è automatico e dipende da presupposti ben precisi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito un punto cruciale: un lungo periodo di precariato tra due impieghi a tempo indeterminato in diverse amministrazioni interrompe la continuità necessaria per ottenere questo beneficio. Analizziamo insieme il caso e le sue importanti implicazioni.

I Fatti del Caso: Dalla Difesa all’Istruzione, con una Lunga Pausa

Il protagonista della vicenda è un lavoratore che per quasi vent’anni ha prestato servizio come dipendente di ruolo presso il Ministero della Difesa, inquadrato come collaboratore amministrativo. Successivamente, ha intrapreso un nuovo percorso professionale, diventando insegnante di religione. Questo passaggio, però, non è stato immediato. Per dieci anni, dal 1995 al 2005, ha lavorato con contratti a tempo determinato presso il Ministero dell’Istruzione, ottenendo solo in seguito l’assunzione a tempo indeterminato.

Ritenendo di aver subito un danno economico a causa del nuovo stipendio, più basso del precedente, il lavoratore ha citato in giudizio le amministrazioni scolastiche per ottenere il riconoscimento del diritto a un assegno ad personam, oltre all’anzianità di servizio maturata.

Il Percorso Giudiziario e la Decisione della Cassazione

Il percorso legale ha avuto esiti alterni. In primo grado, il Tribunale ha dato ragione al lavoratore. La Corte d’Appello, invece, ha ribaltato la decisione, accogliendo il ricorso delle amministrazioni. La questione è così giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha messo la parola fine alla controversia rigettando il ricorso del dipendente.

La Suprema Corte ha stabilito che non sussistevano i presupposti per riconoscere l’assegno ad personam, poiché la situazione non poteva essere qualificata come un “passaggio di carriera” ai sensi della normativa vigente.

Le Motivazioni: Perché è stato negato l’assegno ad personam?

La decisione della Cassazione si fonda su argomentazioni giuridiche precise, che meritano un’analisi approfondita.

L’assenza di un “Passaggio di Carriera” Unitario

Il punto centrale della motivazione è la mancanza di continuità del servizio. Secondo la Corte, per avere diritto all’assegno, il passaggio tra amministrazioni deve avvenire senza soluzione di continuità, mantenendo l'”unitarietà del servizio”. Nel caso specifico, i dieci anni di lavoro precario tra l’impiego a tempo indeterminato presso il Ministero della Difesa e quello presso il Ministero dell’Istruzione hanno spezzato questa continuità. L’assunzione del 2005 non è stata un trasferimento diretto, ma un nuovo inizio dopo un lungo intervallo.

Volontà del Lavoratore e non Mobilità tra Enti

Un altro aspetto evidenziato dai giudici è che il cambiamento di impiego è derivato unicamente dalla volontà del lavoratore (dimissioni e partecipazione a nuove procedure di assunzione) e non da una procedura di mobilità concordata tra le due amministrazioni pubbliche. Le norme che tutelano il trattamento economico, come l’art. 30 del D.Lgs. 165/2001, si applicano ai passaggi diretti, che presuppongono un accordo trilaterale tra dipendente, amministrazione di provenienza e amministrazione di destinazione, garantendo così l’unicità del rapporto.

Inapplicabilità del Principio di Non Discriminazione

Il ricorrente aveva invocato anche il principio di parità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato. La Corte ha respinto questa argomentazione, specificando che tale principio serve a garantire uguali diritti e condizioni di impiego all’interno della stessa amministrazione, ma non può essere utilizzato per “trasportare” un trattamento economico maturato in un precedente e distinto rapporto di lavoro con un’altra amministrazione.

Le Conclusioni: L’Importanza della Continuità del Rapporto di Lavoro

La pronuncia della Cassazione fissa un principio di diritto molto chiaro: il dipendente di ruolo di un’amministrazione che passa a un’altra, diventando prima lavoratore a tempo determinato e solo dopo molti anni di ruolo, non ha diritto all’assegno ad personam per compensare un eventuale stipendio inferiore. La chiave di volta è la continuità del rapporto. Un’interruzione significativa, caratterizzata da precariato, scinde il percorso lavorativo in due rapporti distinti, facendo venir meno il presupposto del “passaggio di carriera” unitario. Questa sentenza offre un importante monito per i dipendenti pubblici che valutano un cambio di amministrazione: le modalità del trasferimento sono decisive per la conservazione dei diritti economici acquisiti.

Un dipendente pubblico ha diritto all’assegno ad personam se passa a un’altra amministrazione con uno stipendio più basso dopo un lungo periodo di contratti a termine?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il lungo periodo di precariato tra i due impieghi a tempo indeterminato interrompe la continuità del rapporto di servizio. Questa interruzione impedisce di configurare la situazione come un “passaggio di carriera”, che è il presupposto necessario per il riconoscimento dell’assegno.

Il passaggio tra due amministrazioni pubbliche è considerato “passaggio di carriera” se avviene tramite dimissioni e successiva nuova assunzione?
No, non necessariamente. La Corte ha chiarito che un vero “passaggio di carriera” che dà diritto al mantenimento del trattamento economico presuppone l’unitarietà del rapporto di lavoro. Le dimissioni volontarie da un ente e una nuova assunzione in un altro, specialmente dopo un notevole lasso di tempo, costituiscono due rapporti di lavoro distinti e non un trasferimento diretto.

Il principio di parità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato si applica alla retribuzione maturata in un precedente impiego pubblico?
No. Tale principio mira a garantire gli stessi diritti (es. progressione di carriera, condizioni di impiego) ai lavoratori all’interno della medesima amministrazione, indipendentemente dalla natura del loro contratto. Non serve a “trasferire” il livello retributivo acquisito in un precedente rapporto di lavoro presso un’altra e diversa amministrazione pubblica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati