Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20236 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20236 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 28590/2019 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e domiciliato in Roma, presso l’Avv. NOME COGNOME, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
Ufficio Scolastico Provinciale per la Puglia – Sede di Foggia e Direzione didattica statale INDIRIZZO rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliati in Roma, INDIRIZZO
-controricorrenti e ricorrenti incidentali
condizionati-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Bari n. 1922/2018 pubblicata il 10 dicembre 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 3 dicembre 2008 NOME COGNOME ha convenuto davanti al Tribunale di Lucera l’Ufficio Scolastico Provinciale di Foggia e la Direzione Didattica Statale INDIRIZZO per sentire riconoscere in suo favore il diritto a percepire l’assegno ad personam dovuto ai sensi della legge n. 537 del 1993, art. 3, comma 57, oltre all’anzianità di servizio maturata presso la P.A. di provenienza (Ministero della Difesa), con condanna di controparte a versare le somme dovute.
Il Tribunale di Lucera, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1640/14, ha accolto il ricorso.
Le Amministrazioni hanno proposto appello che la Corte d’appello di Bari, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1922/2018, ha accolto.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Le Amministrazioni si sono difese con controricorso e hanno presentato ricorso incidentale condizionato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 57, legge n. 537 del 1993 e dell’art. 202 del d.P.R. n. 3 del 1957 e l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo.
Egli sostiene che la Corte d’appello di Bari non avrebbe considerato che avrebbe dovuto essere applicato il principio di intangibilità e irriducibilità della retribuzione, in quanto vi era stato un passaggio di carriera presso amministrazioni statali con dichiarazione di opzione e vi era unitarietà del rapporto di lavoro.
Il detto passaggio di carriera si sarebbe verificato prima con la sua assunzione a tempo determinato dal 1° settembre 1995 e, poi, con quella a titolo definitivo del 1° settembre 2005.
Per l’esattezza, egli avrebbe lavorato presso il Ministero della Difesa dal 1976 al 1995 per divenire, quindi, insegnante di religione cattolica dal 1° settembre 1995, avendo conseguito il Diploma Accademico di Magistero in Scienze Religiose ed essendo stato designato dalla Curia Vescovile di San Severo.
Con il secondo motivo il ricorrente contesta la violazione e fala applicazione della Direttiva 1999/70/CE, per l’esattezza dell’art. 4, comma 1, dell’Accordo Quadro CES-UNICE-CEEP sul lavoro a tempo determinato, dell’art. 3, comma 57, legge n. 537 del 1993 e dell’art. 202 del d.P.R. n. 3 del 1957 e l’insufficiente e contraddittoria motivazione atteso che la corte territoriale non avrebbe valutato che, pur in presenza di contratti a tempo determinato, egli aveva diritto alla stessa progressione di carriera prevista per il personale di ruolo.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1406 c.c. e dell’art. 30 d.lgs. n. 165 del 2001, dell’art. 3, comma 57, della legge n. 537 del 1993 e dell’art. 202 del d.P.R. n. 3 del 1957 e l’insufficiente e contraddittoria motivazione in quanto, nella specie, si sarebbe verificata un’ipotesi di mobilità volontaria fra Pubbliche amministrazioni.
Le doglianze, che possono essere trattate congiuntamente, stante la stretta connessione, sono infondate.
Assume valore assorbente rispetto a ogni altra considerazione la circostanza che, come accertato dalla corte territoriale, con motivazione completa e conforme al modello costituzionale ricavabile dall’art. 111 Cost., non viene in rilievo un rapporto di lavoro unitario in quanto vi sarebbe stata, nella specie, una continuità meramente temporale, mentre l’assunzione del ricorrente nei ruoli dell’amministrazione scolastica sarebbe avvenuta a distanza di anni ‘dopo il passaggio di cui è causa’.
Il diritto al riconoscimento di un assegno c.d. ad personam si fonda sull’art. 202 T.U. n. 3 del 1957, in base al quale:
«Nel caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica è attribuito un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza fra lo stipendio già goduto ed il nuovo, salvo riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione di carriera anche se semplicemente economica».
Il ricorrente richiama, a sostegno della sua posizione, anche l’art. 3, commi 57 e 58, legge n. 537 del 1993, per il quale:
«57. Nei casi di passaggio di carriera di cui all’articolo 202 del citato testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, ed alle altre analoghe disposizioni, al personale con stipendio o retribuzione pensionabile superiore a quello spettante nella nuova posizione è attribuito un assegno personale pensionabile, non riassorbibile e non rivalutabile, pari alla differenza fra lo stipendio o retribuzione pensionabile in godimento all’atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione.
L’assegno personale di cui al comma 57 non è cumulabile con indennità fisse e continuative, anche se non pensionabili, spettanti nella nuova posizione, salvo che per la parte eventualmente eccedente».
Nel caso in esame non è possibile affermare l’esistenza di un passaggio di carriera nei sensi di cui alla normativa citata.
Infatti, è vero che il ricorrente ha lavorato presso il Ministero della Difesa dal 1976 al 1995 (ove era dipendente di ruolo, inquadrato nella VII qualifica funzionale quale collaboratore amministrativo) per divenire, quindi, insegnante di religione cattolica dal 1° settembre 1995, dopo avere conseguito il Diploma Accademico di Magistero in Scienze Religiose ed essere stato designato dalla Curia Vescovile di San Severo.
Peraltro, nel passaggio all’amministrazione scolastica, prima dell’assunzione in ruolo, avvenuta dal 1° settembre 2005, egli ha lavorato a tempo determinato dal 1° settembre 1995.
Pertanto, non può affermarsi vi sia stato un servizio unitario perché, se si valuta il periodo coperto dai contratti a termine, non è possibile sostenere vi sia
stato un immediato stabile inserimento nei ruoli del Ministero dell’Istruzione dopo quello presso il Ministero della Difesa; al contrario, se si prende in considerazione la regolarizzazione del ricorrente a decorrere dal 1° settembre 2005, il lasso di tempo trascorso rispetto a quando egli era dipendente del Ministero della Difesa (dieci anni) impedisce palesemente di ritenere unitario il servizio di ruolo presso le due amministrazioni che, in realtà, risulta definitivamente scisso dal lungo periodo di precariato appena menzionato.
Neppure potrebbe ipotizzarsi un passaggio di carriera suddiviso in due momenti, il primo con l’assunzione del ricorrente a tempo determinato dal 1° settembre 1995 e il secondo con quella a titolo definitivo del 1° settembre 2005.
Infatti, il passaggio di carriera del quale si tratta si fonda, ai fini della sua rilevanza, sul mantenimento dell’unitarietà del servizio per l’Amministrazione statale che, proprio per garantire detta unitarietà, non può perfezionarsi in due momenti distinti e lontani, fra loro, dieci anni.
Tali considerazioni sono coerenti con quanto affermato nell’ordinanza della Sezione L, n. 31123 del 2 novembre 2021, la cui massima così recita:
«In tema di pubblico impiego privatizzato, nel caso di dimissioni da un determinato ente pubblico, nella specie un Comune, e successiva assunzione ‘ex nunc’ da parte di un altro ente, nella specie il MIUR, non compete al lavoratore alcun assegno ‘ad personam’, non essendo invocabile a fondamento della pretesa l’art. 3, comma 57, della l. n. 537 del 1993, che rinvia al caso previsto dall’art. 202 del d.P.R. n. 3 del 1957 o ad altre analoghe disposizioni, sia perché queste ultime riguardano le sole ipotesi di passaggi presso la stessa o altra amministrazione da parte di dipendenti statali, sia perché le norme generali e speciali del pubblico impiego sono inapplicabili a seguito della sottoscrizione del c.c.n.l. 1998-2001, sia perché, infine, nel caso di dimissioni e successiva assunzione, il passaggio avviene senza continuità e in dipendenza della sola volontà del prestatore».
Queste considerazioni rendono irrilevante la circostanza che il trasferimento del ricorrente sia avvenuto in seguito a una dichiarazione di opzione avvenuta il
31 agosto 1995, atteso che questo elemento palesa come il trasferimento presso il Ministero dell’Istruzione abbia trovato la sua causa esclusivamente nella volontà dell’interessato.
Non potrebbe nemmeno sostenersi, magari proprio per via della presenza dell’opzione de qua , un’assimilazione, ai fini che qui rilevano, della fattispecie all’eventualità regolata dall’art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001.
Questa disposizione prescrive sostanzialmente, nonostante le varie modifiche che l’hanno riguardata, che le
L’art. 30 citato non è applicabile nel caso in esame, innanzitutto perché il passaggio del quale si discute si sarebbe verificato, secondo l’assunto del ricorrente, nell’anno 1995, ossia antecedentemente all’entrata in vigore della disposizione citata nonché dell’art. 18 del d.lgs. n. 80/1998 (come modificato dall’art. 20, comma 2, della legge n. 488/1999), del quale la prima formulazione della norma ricalca il contenuto.
Inoltre l’istituto del passaggio diretto, che integra una cessione del contratto, implica un rapporto trilaterale, reso evidente dalla necessità che sulla cessione si formi l’accordo del dipendente, dell’amministrazione di destinazione che ne accoglie la domanda e di quella di provenienza che al passaggio deve prestare assenso, sicché il divieto di reformatio in peius ed il riconoscimento dell’anzianità pregressa trovano fondamento nell’unicità del rapporto.
La vicenda oggetto di causa, al contrario, non può essere ricostruita in termini di cessione del contratto, fondandosi unicamente sulla volontà del lavoratore, ma non anche di entrambe le Amministrazioni coinvolte.
In aggiunta, si osserva che la situazione del ricorrente è diversa da quella di un comune vincitore di concorso, atteso che egli è divenuto insegnante di religione cattolica dal 1° settembre 1995, avendo conseguito il Diploma
Accademico di Magistero in Scienze Religiose ed essendo stato designato dalla Curia Vescovile di San Severo.
Ciò impedisce, allora, a prescindere da ogni ulteriore considerazione, che venga in rilievo il precedente di Cass., Sez. L, n. 30071 del 19 novembre 2019.
Infine, priva di pregio è l’affermazione del ricorrente che, essendovi stata una reiterazione di contratti a tempo determinato, egli avrebbe diritto alla stessa progressione di carriera prevista per il personale di ruolo.
Infatti, il principio, dedotto dal ricorrente, della parità di trattamento fra lavoro a tempo determinato e indeterminato (sotto il profilo delle condizioni di impiego), mira a garantire i diritti conseguiti dal lavoratore all’interno della medesima P.A., ma non concerne l’attività prestata, in passato, presso altra P.A.
Inoltre, la regolamentazione richiamata dal ricorrente si occupa di situazioni nelle quali il servizio reso sia stato, nel corso del periodo di ruolo e di quello non di ruolo, analogo e sovrapponibile, il che, palesemente, non è avvenuto nella specie, in cui al lavoro (di ruolo) per il Ministero della Difesa, quale collaboratore amministrativo (VII qualifica funzionale) è succeduto quello, a tempo determinato e, poi, indeterminato, come insegnante di religione cattolica per il Ministero dell’Istruzione.
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
Stante l’esito del giudizio, non è necessario l’esame del ricorso incidentale condizionato (Cass., Sez. 2, n. 3223 del 7 febbraio 2017; Cass., Sez. 5, n. 6542 del 2 aprile 2004; Cass., Sez. 2, n. 3271 del 10 ottobre 1969).
Il ricorso principale è rigettato, assorbito l’incidentale condizionato, in applicazione del seguente principio di diritto:
«Il dipendente di ruolo del Ministero della Difesa che divenga insegnante di religione cattolica prima a tempo determinato e, poi, di ruolo presso il Ministero dell’Istruzione non ha diritto, ove lo stipendio percepito dalla prima P.A. fosse superiore a quello spettante nella nuova qualifica, a ricevere un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza fra la retribuzione già goduta e
la nuova, ai sensi degli artt. 202 del T.U. n. 3 del 1957 e 3, commi 57 e 58, della legge n. 537 del 1993».
Le spese di lite sono compensate, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., in ragione dell’alterno esito dei giudizi di merito e della novità della questione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
compensa le spese di lite;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, l’8