Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5736 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 5736 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/03/2024
1.La Corte di Appello di Cagliari ha riformato le sentenze del Tribunale di Oristano, che in accoglimento delle domande proposte da NOME COGNOME e da NOME COGNOME, transitati in data 1.6.2010 da enti locali all’RAGIONE_SOCIALE per mobilità volontaria, avevano condannato l’Istituto a corrispondere loro le rispettive somme di € 381,94 e di € 535,97 a titolo di assegni ad personam, in quanto nel passaggio avevano subito una diminuzione retributiva.
La Corte territoriale ha rilevato l’insussistenza di disposizioni normative o contrattuali che prevedano la conservazione del trattamento economico percepito presso l’Amministrazione di provenienza.
Il giudice di appello ha inoltre evidenziato che la giurisprudenza di legittimità non ha affermato un generale divieto di reformatio in peius del trattamento economico ed ha ritenuto applicabile il DPR n. 3/1957 alle sole amministrazioni statali.
Non ha ritenuto corretto il confronto operato dall’RAGIONE_SOCIALE tra la sola retribuzione fissa percepita dai ricorrenti presso il Comune di provenienza con quella fissa e variabile erogata dall’RAGIONE_SOCIALE; ha inoltre considerato inconferenti le considerazioni dell’Istituto sul principio di uguaglianza e sull’applicabilità dell’art. 1341 cod. civ.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo illustrato da memoria, cui l’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
DIRITTO
Con l’unico motivo, di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 30 d.lgs. n. 165/2001, nonché degli artt. 1406 e 2112 cod. civ.
Si evidenzia che nel caso di specie il trasferimento da un’Amministrazione all’altra si è configurato come cessione del contratto ai sensi dell’art. 1406 cod. civ. (disposizione richiamata dall’art. 30 del d.lgs. n. 165/2001 ratione temporis vigente) ed è pertanto avvenuto senza soluzione di continuità, con conseguente diritto dei ricorrenti alla percezione di un assegno ad personam riassorbibile.
Si sostiene che la sussistenza di tale diritto discende anche dagli artt. 1175 e 2112 cod. civ., applicabili alla fattispecie dedotta in giudizio.
Si a ggiunge che il comma 2 quinquies dell’art. 30 d.lgs. n. 165/2001 si limita a disporre la sostituzione delle condizioni giuridiche ed economiche delle quali il lavoratore godeva in forza del contratto collettivo vigente presso il cedente, con quelle previste dal contratto collettivo vigente presso il cessionario, ma non impone al lavoratore condizioni economiche peggiorative rispetto a quelle dal medesimo acquisite prima del trasferimento.
Richiama la giurisprudenza di legittimità secondo cui nei casi di mobilità volontaria, al dipendente trasferito spetta un assegno ad personam riassorbibile.
2. Il ricorso è fondato.
Questa Corte ha infatti chiarito che nell’ipotesi di passaggio di personale o di procedura volontaria di mobilità nel pubblico impiego privatizzato non viene in considerazione l’art. 3 della legge n. 537 del 1993 ed ha affermato il seguente principio di diritto: «la regola per cui il passaggio da un datore di lavoro all’altro comporta l’inserimento del dipendente in una diversa realtà organizzativa e in un mutato contesto di regole normative e retributive, con applicazione del trattamento in atto presso il nuovo datore di lavoro (art. 2112 cod. civ.), è confermata, per i dipendenti pubblici, dall’art. 30 del d.lgs. n.165 del 2001, che riconduce il passaggio diretto di personale da Amministrazioni diverse alla fattispecie della ‘cessione del contratto’ (art. 1406 cod. civ.), stabil endo la regola generale dell’applicazione del trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi nel comparto dell’Amministrazione cessionaria, non giustificandosi diversità di trattamento (salvi gli assegni ad personam attribuiti al fine di rispettare il divieto di reformatio
in peius del trattamento economico acquisito) tra dipendenti dello stesso ente, a seconda della provenienza. Tale regola -da applicare anche nel caso di passaggio dalle dipendenze di una Agenzia fiscale alle dipendenze di una Amministrazione inserita nel sistema burocratico dello Stato -comporta che i suddetti assegni ad personam siano destinati ad essere riassorbiti negli incrementi del trattamento economico complessivo spettante ai dipendenti dell’Amministrazione cessionaria» (Cass. n. 5959/2012).
Tali principi sono stati ribaditi anche di recente da questa Corte (Cass. n. 30071/2019, Cass. n. 10210/2020, Cass. n. 11771/2019 e Cass. n. 33533/2021).
In conformità a Cass. n. 35423/2022 , va inoltre richiamato l’art. 3 co. 1° della direttiva 2001/23/CE (nel quale è stata trasfusa l’analoga precedente direttiva 77/187/CEE come modificata dalla direttiva 98/50/CE), secondo cui ‘I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario.’ ; il comma 3 così stabilisce a sua volta: ‘Dopo il trasferimento, il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell’entrat a in vigore o dell’applicazione di un altro contratto collettivo.’.
Tale direttiva è applicabile non solo ai trasferimenti di aziende, ma anche ai trasferimenti di personale (con o senza le relative competenze) fra amministrazioni pubbliche.
Sull ‘interpretazione dell’art. 3, n. 2, della direttiva 77/187/CEE, norma identica all’art. 3 n. 3 della successiva direttiva 2001/23/CE, costituisce punto fermo quanto ritenuto dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza C108/10, COGNOME, del 6.9.2011, nella quale si è affermato ai punti 72 -76: ‘ 72. Ai sensi del citato art. 3, n. 2, primo comma, il cessionario è tenuto a mantenere le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo pe r il cedente, fino alla data della risoluzione o della scadenza di tale contratto collettivo o dell’entrata in vigore o dell’applicazione di un altro contratto collettivo. Il secondo comma di detta
disposizione aggiunge che gli Stati membri possono limitare il periodo di mantenimento delle condizioni di lavoro, purché esso non sia inferiore ad un anno. 73. Come già precisato dalla Corte, la norma prevista dall’art. 3, n. 2, secondo comma, della direttiva 77/187 non può privare di contenuti il primo comma del medesimo numero. Pertanto, questo secondo comma non osta a che le condizioni di lavoro enunciate in un contratto collettivo che si applicava al personale interessato prima del trasferimento cessino di essere applicabili al termine di un anno successivo al trasferimento, se non addirittura immediatamente alla data del trasferimento, quando si realizzi una delle ipotesi previste dal primo comma di detto numero, ossia la risoluzione o la scadenza di d etto contratto collettivo oppure l’entrata in vigore o l’applicazione di un altro contratto collettivo (v. sentenza 9 marzo 2006, causa C-499/04, COGNOME, Racc. pag. I-2397, punto 30, nonché, in tema di art. 3, n. 3, della direttiva 2001/23, sentenza 27 novembre 2008, causa C-396/07, COGNOME, Racc. pag. I-8883, punto 34). 74. Di conseguenza, la norma prevista dall’art. 3, n. 2, primo comma, della direttiva 77/187, ai sensi della quale «il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente, fino alla data (…) applicazione di un altro contratto collettivo», dev’essere interpretata nel senso che il cessionario ha il diritto di applicare, sin dalla data del trasferimento, le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle concernenti la retribuzione. 75. Benché da quanto sin qui esposto discenda che la direttiva 77/187 lascia un margine di manovra, che consente al cessionario e alle altre parti contraenti di stabilire l’integrazione retributiva dei lavoratori trasferiti in modo tale che questa risulti debitamente adattata alle circostanze del trasferimento in questione, ciò nondimeno le modalità scelte devono essere conformi allo scopo di detta direttiva. Come la Corte ha ripetutamente dichiarato, quest’obiettivo consiste, essenzialmente, nell’impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento (sentenza 26 maggio 2005, causa C-478/03, RAGIONE_SOCIALE, Racc. pag. I-4389, punto 26 e giurisprudenza ivi citata, nonché, in merito alla direttiva 2001/23, ordinanza 15 settembre 2010, causa C-386/09, RAGIONE_SOCIALE, punto
26). 76. Il ricorso alla facoltà consistente nel sostituire, con effetto immediato, le condizioni di cui godevano i lavoratori trasferiti in base al contratto collettivo vigente presso il cedente con quelle previste dal contratto collettivo vigente presso il cessionario non può pertanto avere lo scopo, o l’effetto, di imporre a detti lavoratori condizioni globalmente meno favorevoli di quelle applicabili prima del trasferimento. Se così non fosse, la realizzazione dello scopo perseguito dalla direttiva 77/187 potrebbe essere agevolmente rimessa in discussione in qualsiasi settore disciplinato in forza di contratti collettivi, il che pregiudicherebbe l’efficacia pratica di detta direttiva .’.
I punti 75 e 76 innanzi riportati sono chiarissimi nello stabilire che il trasferimento non può determinare per il lavoratore trasferito un peggioramento retributivo ossia condizioni di lavoro meno favorevoli di quelle godute in precedenza, secondo una valutazione comparativa da compiersi all’atto del trasferimento, in relazione al trattamento retributivo globale, compresi gli istituti e le voci erogati con continuità, ancorché non legati all’anzianità di servizio.
Come ben evidenziato al punto 76, si è dunque escluso che la facoltà pure concessa al cessionario di sostituire, con effetto immediato, le condizioni di lavoro previste nel contratto collettivo vigente presso il cedente con quelle applicate da esso cessionario possa essere utilizzata allo scopo, o possa comunque produrre l’effetto, di porre i lavoratori trasferiti in una posizione deteriore, applicando ad essi condizioni di lavoro meno favorevoli di quelle applicabili prima del trasferimento; i lavoratori trasferiti non possono quindi essere collocati in una posizione deteriore per il solo fatto del trasferimento.
Non ostano a tale soluzione alcune pronunzie di questa Corte che hanno ritenuto, in caso di cessione di ramo d’azienda, che ai dipendenti ceduti debba applicarsi, ai sensi dell’art. 2112, comma 3, c.c., il contratto collettivo in vigore presso la cessionaria, anche se più sfavorevole, atteso il loro inserimento nella nuova realtà organizzativa e nel mutato contesto di regole, anche retributive, restando in vigore l’originario contratto collettivo nel solo caso in cui presso la cessionaria i rapporti di lavoro non siano regolamentati da alcuna disciplina collettiva (si veda Cass. n. 37291/2021 e la giurisprudenza ivi citata, in particolare Cass. n. 19303/2015, Cass. n. 10614/2011, Cass. n. 5882/2010); in
realtà, alla stregua d’una doverosa interpretazione della normativa interna che sia conforme al diritto UE, come interpretato nella citata sentenza COGNOME della CGUE, anche l’applicazione d’un diverso e meno favorevole contratto collettivo non significa che il lavoratore trasferito non conservi, quanto meno in via di assegno ad personam, il pregresso più favorevole quantum retributivo.
Si è dunque ritenuto che il trasferimento non possa mai determinare per il lavoratore trasferito un peggioramento economico, e condizioni di lavoro meno favorevoli di quelle godute in precedenza, secondo una valutazione comparativa che va effettuata all’atto del trasferimento, in relazione al trattamento retributivo globale, compresi gli istituti e le voci erogate con continuità, ancorché legate all’anzianità di servizio.
In tema di passaggio di personale da un’amministrazione all’altra, si è inoltre chiarito che l’assegno personale riassorbibile va quantificato tenendo conto del trattamento economico complessivo, purché fisso e continuativo, e non già delle singole voci che compongono la retribuzione, sicché l’indennità di amministrazione, avente carattere di generalità e natura fissa e ricorrente, va inclusa nel trattamento retributivo dell’ente di destinazione, ai fini del calcolo del predetto assegno (Cass. n. 18196/2017).
La Corte territoriale non si è attenuta a tali principi, avendo affermato l’insussistenza di disposizioni normative o contrattuali che prevedano la conservazione del trattamento economico percepito presso l’Amministrazione di provenienza in caso di mobilità volontaria e quindi escludendo l’operatività del generale divieto di reformatio in peius del trattamento economico.
La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla Corte di Appello di Cagliari, affinché si adegui nella decisione ai principi di diritto sopra richiamati.
Il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla disciplina delle spese del presente grado
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Cagliari in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 6.2.2024.