Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5432 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 5432 Anno 2025
Presidente: RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27371/2021 R.G. proposto da :
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DELLA MOBILITÀ SOSTENIBILI, ora MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ope legis in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA LUNGOTEVERE INDIRIZZO, presso lo studio dell’avv. COGNOME NOME che lo rappresenta e difende
ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 333/2021 pubblicata il 26/07/2021, RG 984/18. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/02/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’ Appello di Venezia, con la sentenza n.333/2021 pubblicata il 26/07/2021, ha rigettato l’appello principale proposto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nella controversia con NOME COGNOME e l’appello incidentale da questi proposto.
La controversia ha per oggetto: in via principale, il riconoscimento dell’assegno ad personam pari al premio di produzione e indennità di rischio già percepito dal Bortolato fino allo 01/10/2012 alle dipendenze dell’A.N.A.S. s.p.a., a seguito del suo trasferimento al Ministero; in via incidentale, il riconoscimento, nell’ambito dell’assegno ad personam, anche dei premi già pagati dall’A.RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE per la assicurazione sanitaria integrativa.
Il Tribunale di Venezia accoglieva le domande proposte dal COGNOME solo con riferimento alle somme già percepite a titolo di premio di produzione e indennità di rischio.
Per la cassazione della sentenza ricorre il Ministero con ricorso affidato a due motivi ed illustrato da memoria. COGNOME resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, affidato ad un motivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso principale il Ministero lamenta violazione e falsa applicazione dell’art.2697 cod. civ. e dell’art.36 comma 5 d.l. n.98/2011, in relazione all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.
Assume il ricorrente che erroneamente la Corte d’Appello aveva ritenuto sussistere identità di mansioni tra quelle ricoperte presso
l’ANAS e quelle svolte presso il Ministero, con relativo onere della prova a carico del lavoratore; ciò rileva in quanto la distinzione operata dall’art. 77 del CCNL ANAS tra retribuzione fissa e retribuzione variabile riveste carattere sostanziale e non formale.
Con il secondo motivo di ricorso principale il Ministero lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art.1 comma 226 della legge n.266/2005, in relazione all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ. Prospetta il ricorrente che le voci accessorie non rientranti per definizione normativa nella retribuzione fissa, ai fini del loro eventuale riconoscimento devono avere carattere fisso e continuativo sotto il rupofilo sostanziale.
I motivi possono essere trattati congiuntamente, per ragioni di connessione.
Il Ministero deduce, in primo luogo, che la corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto la mancanza di contestazione con riferimento alla identità delle mansioni svolte dal COGNOME sia presso l’RAGIONE_SOCIALE che presso il Ministero, non rilevando la carenza di allegazione da parte del COGNOME circa la continuità delle mansioni svolte all’atto del passaggio.
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione della regola sulla ripartizione dell’onere della prova tra le parti, perché prima di ritenere la «inconsistenza e genericità» delle contestazioni svolte dal Ministero (pag.8 della sentenza), ha condiviso la valutazione del giudice di prime cure circa la «elencazione minuta e dettagliata» delle attività svolte dal COGNOME presso l’A.RAGIONE_SOCIALE e poi, dopo il trasferimento, presso il Ministero (pag.7 della sentenza).
Avuto riguardo alla puntuale motivazione della corte territoriale, ed in particolare alla corretta applicazione del principio di non contestazione ex art.115 comma primo cod. proc. civ., deve rilevarsi il difetto di autosufficienza del motivo di ricorso, perché non vengono trascritte -nelle parti essenziali per consentire il giudizio della Corte -né le allegazioni in fatto svolte dal COGNOME nell’atto introduttivo del giudizio, né le contestazioni svolte sul
punto dal Ministero, con la conseguente inammissibilità ex art.366 comma primo n.6 cod. proc. civ.
6. Quanto alla asserita violazione dell’art.36 comma 5 d.l. n.98/2011, la corte territoriale nel ritenere la natura fissa e continuativa delle somme percepite a titolo di premio di produzione e indennità di rischio si è attenuta al costante orientamento di questa Corte, dal quale non vi è ragione di discostarsi, nei termini che seguono: «la sentenza impugnata è conforme all’orientamento già espresso in plurime decisioni di questa Corte (cfr. Cass. nn. 22829, 22626, 22546, 22517, 22405, 22362, 19431 del 2023; Cass. nn. 35690, 32441, 28082, 23057 del 2021) con le quali si è osservato che l’art. 36, comma 5, del d.l. n. 98/2011 (…) richiama una distinzione tipica dell’impiego pubblico contrattualizzato (art. 45 d.lgs. n. 165/2001), nel cui ambito il trattamento fondamentale è quello diretto a retribuire la prestazione «base» del dipendente, ossia la prestazione corrispondente all’orario ordinario di lavoro e alla professionalità media della qualifica rivestita, mentre quello accessorio si pone in nesso di corrispettività con la performance individuale, con quella organizzativa e con lo svolgimento di attività «particolarmente disagiate, ovvero pericolose o dannose per la salute» ( art. 45 comma 3 del d.lgs. n. 165/2001 nel testo applicabile ratione temporis); la distinzione fra le componenti non riposa, dunque, sui requisiti di fissità e continuità in quanto gli stessi, connaturati al trattamento fondamentale, possono ricorrere anche per quelle voci del trattamento accessorio correlate, non al conseguimento di specifici obiettivi, bensì al profilo professionale o alle peculiarità dell’amministrazione di appartenenza e che, in quanto tali, entrano stabilmente a far parte del complessivo trattamento retributivo; ne discende che in tutte quelle fattispecie nelle quali venga in rilievo il principio della irriducibilità della retribuzione non è sufficiente per escludere l’operatività della garanzia che l’emolumento esuli dal trattamento fondamentale, essendo, invece, necessario accertare se la voce retributiva, per il
dipendente che invochi il divieto di reformatio in peius , sia certa nell’an e nel quantum; l’art. 77 del CCNL Anas 2002/2005 nell’individuare la struttura della retribuzione fa riferimento alla «retribuzione fissa» ed alla «retribuzione variabile», ossia ad una distinzione che, seppure diversamente denominata, evoca quella fra trattamento fondamentale e accessorio richiamata dal legislatore, sicché non è sufficiente la classificazione per escludere la computabilità della singola voce nell’assegno personale, ma occorre, da un lato, esaminare la normativa contrattuale, dall’altro valutare la posizione del dipendente che rivendica una diversa quantificazione dell’assegno personale, per accertare se il singolo emolumento in discussione, al di là della sua inclusione, non dirimente, fra le componenti della «retribuzione fissa» o della «retribuzione variabile», fosse fisso e continuativo in relazione alla posizione ricoperta nell’organizzazione dell’ente; 4.1. muovendo da detta premessa le pronunce citate hanno ritenuto corrette le decisioni dei giudici di merito che, in fattispecie esattamente sovrapponibili a quella oggetto di causa, avevano affermato il carattere fisso e continuativo, secondo la contrattazione collettiva applicabile al personale di ANAS s.p.a., del premio di produzione, dell’indennità di rischio e dell’indennità di funzione, ed avevano accertato che gli emolumenti in parola erano stati in effetti corrisposti al dipendente con la continuità richiesta dal citato art. 36 del d.l. n. 98/2011» (Cass. 29/07/2024 n.21126).
7. Quanto alla asserita violazione dell’art.1 comma 226 della legge n.266/2006 è sufficiente rilevare che la materia controversa è disciplinata in via immediata e diretta dall’art.36 comma 5 del d.l. 98/2011, qualificabile come lex posterior specialis rispetto all’art.3 comma 57 legge 537/1993, poi interpretato in via autentica dalla disposizione che forma precipuo oggetto del secondo motivo di ricorso. Né può ritenersi che una norma di interpretazione autentica sia applicabile a fattispecie astratta diversa da quella che si propone di interpretare.
Per questi motivi il ricorso principale deve essere rigettato.
Il controricorrente ha depositato il 24/01/2025 atto di rinuncia al ricorso incidentale, con cui impugnava la statuizione della Corte d’Appello che non aveva riconosciuto l’assistenza sanitaria integrativa, notificata alla controparte e proposta nel rispetto delle formalità previste dall’art.390 , cod. proc. civ.
Sussistono dunque i presupposti previsti dall’art.391 , cod. proc. civ., per dichiarare l’estinzione del giudizio incidentale. Poiché la parte ricorrente non ha aderito alla rinuncia, deve statuirsi sulle spese del giudizio incidentale -ex art.391 comma secondo cod. proc. civ. -oltre che sulle spese del giudizio di legittimità. Avuto riguardo alla soccombenza virtuale del controricorrente sul ricorso incidentale, in forza dei precedenti di legittimità richiamati nell’atto di rinuncia (si. v. Cass., n. 20955 del 2024), ritiene la Corte che sussistano i presupposti per la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
Come ritenuto dalle Sezioni Unite della Corte, con sentenza n. 9938 del 2014, stante la non debenza delle amministrazioni pubbliche del versamento del contributo unificato, non deve darsi atto per il Ministero ricorrente della sussistenza dei presupposti di cui al primo periodo del dPR 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dal comma 17 della legge 24 dicembre 2012,n.228, art. 1 ai fini del raddoppio del contributo per i casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile.
In tema di impugnazioni, l’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, che pone a carico del ricorrente rimasto soccombente l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non trova applicazione, come nella specie per il ricorso incidentale, in caso di rinuncia al ricorso per cassazione in quanto tale misura si applica ai soli casi – tipici – del rigetto dell’impugnazione o della sua declaratoria d’inammissibilità o
improcedibilità e, trattandosi di misura eccezionale, ‘ lato sensu ‘ sanzionatoria, è di stretta interpretazione e non suscettibile, pertanto, di interpretazione estensiva o analogica (Cass., n. 34025 del 2023).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara estinto il giudizio incidentale. Compensa le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro