Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11914 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 11914 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/05/2025
SENTENZA
sul ricorso 14388-2022 proposto da:
NOMECOGNOME domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 277/2022 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 29/03/2022 R.G.N. 490/2021; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 14388/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 14/01/2025
PU
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 277/2022 la Corte d’appello di Bologna ha rigettato il gravame di NOME COGNOME avverso la pronuncia del Tribunale di Ravenna che aveva respinto il suo ricorso volto ad ottenere gli assegni per il nucleo familiare per i familiari residenti in Senegal, reiezione fondata sulla carenza di allegazioni circa il possesso del requisito reddituale riferito non solo al ricorrente ma al nucleo familiare, trattandosi di elemento costitutivo del diritto azionato.
Avverso la suddetta sentenza NOME COGNOME ricorre per un unico motivo.
Resiste INPS con controricorso.
Il PG ha concluso in udienza per il rigetto del ricorso.
In sede di camera di consiglio il Collegio ha riservato termine di 90 giorni per il deposito del provvedimento.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La sentenza è censurata per violazione o errata applicazione dell’art. 2 della legge n. 153/1988, in relazione all’art. 12 preleggi, per avere la Corte erroneamente intrepretato la normativa italiana in merito ai requisiti richiesti per accedere
agli ANF, nonché violazione e falsa applicazione dei principi di diritto di cui alla Direttiva n. 2003/109/CE come enunciati nella sentenza della CGUE 25.11.2020 causa INPS c. V.R. n. C 303/2019/CE per avere la Corte richiesto al ricorrente, titolare di permesso di lungo soggiorno CE, la produzione di una autocertificazione dei redditi prodotti dal nucleo familiare non prevista dalla normativa in materia di ANF, in considerazione, altresì, del fatto che il requisito reddituale non sarebbe elemento costitutivo del diritto ma rileverebbe ai solo dine della quantificazione dell’assegno.
In via preliminare e pregiudiziale la difesa del ricorrente chiede disporsi il rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sottoponendo il seguente quesito: «se una prestazione come quella prevista dall’art. 2 della legge 153/1988, denominata Assegno al Nucleo Familiare costituisca una prestazione assistenziale ed essenziale ai sensi dell’art. 11, paragrafo 4 e 13° considerando della direttiva n. 2003/109/CE così come interpretato e stabilito dalla CGUE nella sentenza resa in data 25.11.2020 nella causa INPS vs. V.R. n. C-303/19; in caso di risposta positiva, se il principio della parità di trattamento sancito dall’art. 11, paragrafo 1, lett. d), della direttiva n. 2003/109/CE, come interpretato dalla CGUE nella sentenza resa in data 25.11.2020 nella causa INPS vs. V.R. n. C-3030/19, risulti violato dalla giurisprudenza, come quella dettata dal Tribunale di Ravenna, come confermata dalla Corte d’Appello, di Bologna, sezione Lavoro».
Il motivo di ricorso è infondato, non cogliendo la ratio decidendi della sentenza impugnata, che non risiede nella valutazione della prova offerta giusta l’imposizione dell’onere probatorio descritto dal ricorrente, quanto piuttosto nel
rilievo di un assoluto difetto di allegazione, concretizzatosi fin dal primo grado di giudizio, evidenziato dal Tribunale e sottolineato dalla Corte di Appello.
La richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia è, di conseguenza, fondata su un quesito non decisivo ai fini della soluzione della controversia e del quale, ad ogni modo, può escludersi la fondatezza alla luce delle osservazioni che seguono.
In proposito, ed in continuità con l’orientamento espresso più volte da questa Corte, dal quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, va rilevato che è stato da tempo chiarito come l’erogazione dell’assegno per il nucleo familiare previsto dall’art. 2 del d.l. n. 69/1988 (conv. con legge n. 153/1988), presupponga «la duplice condizione -la cui ricorrenza deve essere provata dall’interessato -dell’effettivo svolgimento di attività lavorativa e del requisito reddituale di cui al comma 10 dello stesso art. 2, di talché l’assegno non spetta se la somma dei redditi da lavoro dipendente, da pensione o da altra prestazione previdenziale derivante da lavoro dipendente, è inferiore al settanta per cento del reddito complessivo del nucleo familiare» (Cass. n. 7097/2023; così anche Cass. n. 7095/2023, n. 6953/2023, n. 25663/2023 solo da ultimo).
Va, inoltre, escluso che la necessità di provare il requisito reddituale possa costituire discriminazione in danno del cittadino extracomunitario, come invece sostenuto in ricorso al fine di sollecitare questa Corte a sollevare questione pregiudiziale avan ti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, trattandosi di onere probatorio richiesto anche ai cittadini italiani e che può essere soddisfatto con ogni mezzo all’uopo idoneo: argomentare in senso contrario equivarrebbe piuttosto a consentire ai cittadini extracomunitari di godere di un trattamento di favore rispetto
ai cittadini italiani, ciò che non può dirsi in alcun modo voluto dalla direttiva 2003/109/CE (Cass. n. 6953/2023, n. 25663/2023).
Nel caso di specie, non solo l’assenza di prova del requisito reddituale è stata accertata già dal primo giudice, ma la Corte d’appello ha sottolineato che l’ammontare del reddito sia proprio dell’istante che, a maggior ragione, prodotto dal nucleo familiare -non era stato allegato nell’atto introduttivo e non sussistevano significative piste probatorie emergenti dal complessivo materiale, anche documentale, correttamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado. Infatti, nella sentenza impugnata si legge che ‘manca qualsiasi, anche sola, allegazione in tema di eventuali redditi dei componenti del nucleo familiare. E trattasi di elemento costitutivo del diritto, da scrutinarsi anche d’ufficio, con conseguente irril evanza dell’eventuale difetto o genericità della relativa contestazione da parte dell’ente previdenziale in prime cure’. Prosegue, poi, il Collegio, evidenziando che ‘difetta, ove anche la si ritenesse sufficiente in giudizio, anche solo una autocertificazione in tema di entità dei predetti redditi’, con la conseguenza che, ‘in relazione alla predetta radicale inesistenza di ogni allegazione e produzione non può ritenersi applicabile l’art. 437 cpc’, non sussistendo una qualunque pista probatoria percorribile, in una materia regolata dai principi generali in materia di onere della prova degli elementi costitutivi della pretesa fatta valere, gravante sul soggetto richiedente.
Il Collegio ha, quindi, correttamente richiamato l’orientamento in forza del quale il deposito in appello di documenti non prodotti in prime cure, pur non essendo oggetto di preclusione assoluta e potendo essere disposto anche d’ufficio dal giudice che lo ritenga indispensabile al fine di superare l’incertezza sui fatti costitutivi del diritto in
contestazione, presuppone pur sempre che detti fatti siano stati allegati nell’atto introduttivo e che sussistano significative piste probatorie emergenti dal complessivo materiale probatorio correttamente acquisto agli atti del giudizio di primo grado.
Il ricorso deve, perciò, essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 4000,00 per compensi, €200,00 per esborsi, oltre al 15% per rimborso spese generali e accessori come per legge.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 gennaio