Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22538 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 22538 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
SENTENZA
sul ricorso 22611-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, ENTE UNIFICATO FORMAZIONE E RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 63/2024 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 09/05/2024 R.G.N. 64/2023;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/06/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Oggetto
Aspettativa sindacale -anzianità di servizio
R.G.N. 22611/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 11/06/2025
PU
udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte d’appello di Potenza ha accolto l’appello di NOME COGNOME e, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato l’Ente Unificato Formazione e Sicurezza al pagamento della somma di euro 51.101,62, a titolo di differenze sul trattamento minimo complessivo di garanzia (TMCG) previsto dall’art. 3 del c.c.n.l. per i dirigenti delle aziende industriali e parametrato all’anzianità di servizio calcolata computando anche i periodi di aspettativa sindacale, ai sensi dell’art. 31 della legge n. 300 de l 1970, di cui il dirigente aveva usufruito dall’1 ottobre 2009 al 30 dicembre 2013.
La Corte territoriale ha interpretato la domanda del lavoratore come diretta alla quantificazione del trattamento economico di garanzia per i dirigenti che, alla data del 1° gennaio 2015, avevano maturato sei anni di servizio; ha premesso che in sede di rinnovo del c.c.n.l. 2009, intervenuto il 30.12.2014, era stato modificato l’art. 3, comma 2, aumentando a euro 66.000,00 il TMCG per i dirigenti che alla data dell’1 gennaio 2015 avevano maturato un’anzianità di servizio pari o superiore a dodici mesi, fermo restando il limite di euro 80.000,00 per la retribuzione minima dei dirigenti con anzianità di servizio pari o superiore a sei anni, e prevedendo però un TMCG intermedio per i dirigenti che, alla data suddetta, avessero maturato un’anzianità di servizio superiore ai 13 mesi e fino a 71 mesi, pari ad euro 236,00 per ogni mese di anzianità di servizio; ha rilevato come l’Ente datore di lavoro avesse riconosciuto al Palma un TMCG liquidato in base alla anzianità collegata alla effettiva prestazione lavorativa (quindi
18 e non 69 mesi), escludendo dal computo il periodo (quattro anni e due mesi) di aspettativa sindacale; ha ritenuto, in base al disposto dell’art. 3, comma 4, del d.lgs. 564 del 1996, che le retribuzioni figurative da accreditare ai sensi dell’art. 8, comma 8, della legge 155 del 1981, fossero quelle della categoria e della qualifica professionale possedute dal lavoratore all’atto del collocamento in aspettativa, da adeguare in base alla dinamica salariale e di carriera prevista dai contratti collettivi; ha quindi concluso che, ai fini del TMCG relativo al periodo dal 2015 al dicembre 2019 (data di cessazione del rapporto), nel computo dell’anzianità di servizio si dovesse tener conto anche del periodo in cui il dipendente aveva usufruito dell’aspettativa sindacale.
Avverso la sentenza l’Ente Unificato RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. NOME COGNOME ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 3 e 26 del c.c.n.l. per i dirigenti delle aziende industriali (Confindustria -Federmanager), come modificati dall’accordo di rinnovo stipulato il 30.12.2014.
L’Ente ricorrente denuncia l’errata interpretazione delle citate disposizioni del contratto collettivo ed assume che l’art. 3, poiché rinvia per il calcolo del TMCG unicamente al secondo comma dell’art. 26, esclude dal computo dell’anzianità di servizio le anzianità convenzionali, oggetto di previsione nel terzo comma del citato articolo; assume che l’anzianità computabile ai fini del trattamento economico minimo di garanzia è solo quella specificata dal secondo comma dell’art.
26, cioè l’anzianità di servizio effettivamente prestato, mentre non sono computabili le anzianità convenzionali cui il dirigente abbia diritto in quanto contemplate dal terzo comma dell’art. 26, non richiamato dall’art. 3 ai fini del calcolo del TMCG.
2. Il motivo di ricorso non è fondato.
2.1. Va, anzitutto, premesso che la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., come modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006, è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicché anch’essa comporta, in sede di legittimità, l’interpretazione delle loro clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 ss. c.c.) come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione, senza più necessità, a pena di inammissibilità della censura, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, né del discostamento da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti (Cass. n. 6335 del 2014; n. 13860 del 2019).
Non è quindi fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal controricorrente, e basata sulla omessa denuncia di violazione di specifici canoni ermeneutici.
2.2. Per affrontare la questione posta dal motivo di ricorso occorre partire dall’art. 31 della legge n. 300 del 1970, secondo cui i lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive o a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali possono, a richiesta, essere collocati in aspettativa non retribuita, per tutta la durata del mandato. Tali periodi di aspettativa, a
mente del terzo comma, «(…) sono considerati utili a richiesta dell’interessato, ai fini del riconoscimento del diritto e della determinazione della misura della pensione a carico della assicurazione generale obbligatoria di cui al regio decretolegge 4 ottobre 1935, n. 1827, e successive modifiche ed integrazioni, nonché a carico di enti, fondi, casse e gestioni per forme obbligatorie di previdenza sostitutive dell’assicurazione predetta, o che ne comportino comunque l’esonero».
Questa Corte, con la sentenza n. 30495 del 2021 ha ribadito c ome l’art. 31 St. Lav. configuri un diritto potestativo al collocamento in aspettativa sindacale, il cui esercizio prescinde da ogni autorizzazione o manifestazione di volontà da parte del datore di lavoro che viene a trovarsi in una posizione di soggezione immediata ed incondizionata proprio perché si confronta con il munus publicum cui il diritto di aspettativa si collega, con decorrenza automatica dal momento della comunicazione (Cass. n. 953 del 1985; Cass. n. 7097 del 1986, Cass. n. 23013 del 2014).
La medesima sentenza ha precisato come, sotto il profilo effettuale, l’aspettativa sindacale determini la sospensione (non del rapporto di lavoro bensì) degli obblighi sinallagmatici (svolgimento della prestazione e pagamento della retribuzione) relativi al rapporto di lavoro sino al termine del mandato, per cui il lavoratore avrà diritto a godere di tutti i diritti non incompatibili con la sua assenza (Cass. n. 2498 del 1999; Cass. n. 10150 del 2000), come per esempio quelli alla corresponsione dei premi aziendali (Cass. n. 5335 del 1999), agli assegni familiari (art. 16ter , decreto-legge n. 30/1974 conv. con modificazione nella legge n. 114/1974), agli scatti di anzianità (Cass. n. 3635 del 1999), alle anticipazioni del TFR, alle prestazioni sanitarie ed economiche di malattia (Cass. n.
678 del 1993; Cass. n. 5040 del 1995), alla indennità di disoccupazione speciale (Cass. n. 7558 del 1997; Cass. n. 17130 del 2002).
La ratio della disciplina, interpretata in correlazione con l’art. 51 Cost., risiede nella necessità di porre il lavoratore chiamato a ricoprire cariche sindacali nella condizione migliore per svolgere l’incarico, escludendo che l’accettazione del mandato comporti di per sé un trattamento deteriore (cfr. Cass., n. 30495 del 2021 cit. e, nello stesso senso, Cass., n. 3144 del 1989).
Con specifico riferimento al tema dell’anzianità di servizio questa Corte, con indirizzo risalente e tuttora condivisibile (Cass. n. 1491 del 1986; n. 2560 del 1986; n. 3725 del 1988; n. 5296 del 1991; n. 8430 del 1996) si è pronunciata nel senso di riconoscere il diritto del lavoratore a vedersi attribuire gli scatti anzianità durante il periodo di aspettativa non retribuita ove sia chiamato a pubbliche funzioni e elettive o a cariche sindacali.
Nelle citate pronunce si è individuata la ratio dell’art. 31 St. Lav. nell’esigenza di consentire al lavoratore, chiamato a ricoprire cariche sindacali o a svolgere funzioni pubbliche elettive, di assolvere tali compiti nel modo più confacente al generale interesse; ciò mediante il riconoscimento del suo diritto alla continuità del rapporto di lavoro ove richieda di essere collocato in aspettativa (non retribuita).
Si è posto in evidenza come l’ordinamento contempli diversi altri casi nei quali il rapporto di lavoro permane benché venga temporaneamente a mancare la prestazione di lavoro e quindi il sinallagma funzionale; si è dato atto, malgrado la disciplina non omogenea relativamente agli effetti derivanti da tale conservazione, di una generale tendenza del legislatore ad
apprestare, al di là della specificità delle ipotesi considerate, una disciplina tesa a salvaguardare la posizione derivante dalla immanenza del rapporto, ossia volta a mantenere quegli effetti non strettamente correlati alla retribuzione anche se destinati poi ad influire sulla stessa in dipendenza del mero trascorrere del tempo, all’evidente scopo di evitare gli effetti dissuasivi che potrebbero derivare da un trattamento deteriore rispetto agli altri dipendenti rimasti in servizio.
Nelle pronunce richiamate si è inoltre considerato come l’istituto degli aumenti periodici di anzianità (c.d. scatti) sia stato strutturato dell’autonomia collettiva quale elemento aggiuntivo della retribuzione attribuito in funzione del fattore dell’anzianità, con esclusione di ogni altra condizione o requisito di fruibilità giacché esso si riconnette alla mera durata del rapporto, che l’aspettativa non interrompe; il diritto allo scatto e al conseguente incremento della retribuzione sorge infatti per effetto del semplice fluire del tempo o in costanza di rapporto, con l’ovvia e unica limitazione che solo dal momento della ripresa del lavoro il dipendente avrà diritto di ottenere l’aumento retributivo connesso allo scatto maturato, in tutto o in parte, nel periodo di aspettativa.
Si è quindi tratta la conclusione secondo cui la continuità del rapporto di lavoro, che si esprime nel suo essenziale aspetto dinamico, fa sì che l’anzianità di servizio si incrementi anche nel periodo in cui non viene, per giustificate esigenze, effettuata la prestazione lavorativa.
Se dunque l’anzianità di servizio è un fatto obiettivato nella durata del rapporto, ne rappresenta cioè l’aspetto correlato alla singola vicenda lavorativa, essa non è influenzata dall’effettivo svolgimento della prestazione ma dipende solo dalla persistenza nel tempo del rapporto.
In quest’ottica, è apparso agevole attribuire alle varie ipotesi legali di sospensione del rapporto di lavoro (come, ad esempio, quelle contemplate dagli artt. 2110, 2111, 2120 c.c.), non già natura di norma eccezionale bensì il ruolo di estrinsecazione di un principio generale dell’ordinamento nel senso della persistenza – in ogni caso di sospensione – di tutti i diritti non incompatibili con la temporanea cessazione del lavoro (così Cass. n. 1491 del 1986; n. 2560 del 1985; n. 3725 del 1988; n. 8857 del 1991).
Si è parallelamente precisato che il principio generale, per cui il periodo di collocazione in aspettativa non retribuita per ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali è utile ai fini della maturazione degli scatti di anzianità, trova applicazione sempre che la disciplina collettiva del rapporto di lavoro non colleghi tali scatti, anziché al decorso del tempo, a specifici meriti o all’effettività della prestazione lavorativa (Cass., n. 8245 del 1992; n. 3635 del 1999).
2.3. La sentenza d’appello ha richiamato, a sostegno del decisum, anche l’indirizzo di questa Corte che, a fini previdenziali, riconosce il periodo di aspettativa per motivi sindacali, sotto ogni profilo, come periodo di effettivo lavoro (Cass., sez. lav., 1° luglio 1998, n. 6430; da ultimo v. Cass. 14.5.2025, n. 12973).
La decisione ora impugnata ha analizzato l’art. 8, comma 8, della L. 23 aprile 1981, n. 155, che individua le retribuzioni da riconoscere ai fini del calcolo della pensione ai lavoratori in aspettativa; tale disposizione, in difformità rispetto alla disciplina generale -che ha riguardo alla media delle retribuzioni settimanali percepite in costanza di lavoro nell’anno solare in cui si collocano i periodi di contribuzione figurativa o nell’anno di decorrenza della pensione – prevede
che esse «sono commisurate alla retribuzione della categoria e qualifica professionale posseduta dall’interessato al momento del collocamento in aspettativa e di volta in volta adeguate in relazione alla dinamica salariale e di carriera della stessa categoria e qualifica. Per i lavoratori collocati in aspettativa da partiti politici o da organizzazioni sindacali, che non abbiano regolato mediante specifiche normative interne o contrattuali il trattamento economico del personale, si prendono in considerazione ai fini predetti le retribuzioni fissate dai contratti nazionali collettivi di lavoro per gli impiegati delle imprese metalmeccaniche».
Al riguardo, il d.lgs. n. 564 del 1996, all’art. 3, comma 4, ha precisato che «Le retribuzioni figurative accreditabili ai sensi dell’art. 8, ottavo comma, della legge 23 aprile 1981, n. 155, sono quelle previste dai contratti collettivi di lavoro della categoria e non comprendono emolumenti collegati alla effettiva prestazione dell’attività lavorativa o condizionati ad una determinata produttività o risultato di lavoro né incrementi o avanzamenti che non siano legati alla sola maturazione dell’anzianità di servizio».
La normativa riportata è stata interpretata in sede di legittimità nel senso di ritenere che le retribuzioni da accreditare figurativamente sono commisurate a quelle della categoria e della qualifica professionale posseduta dal lavoratore all’atto del collocamento in aspettativa, che vanno adeguate in relazione alla dinamica salariale e di carriera della stessa categoria e qualifica, quale prevista dai contratti collettivi di lavoro della categoria. Gli emolumenti e gli incrementi retributivi da accreditare sono unicamente quelli collegati dalla suddetta contrattazione collettiva alla qualifica e alla maturazione dell’anzianità di servizio: restano pertanto
esclusi eventuali istituti retributivi non previsti dal contratto collettivo di lavoro, così come anche gli istituti retributivi collegati all’effettiva prestazione dell’attività lavorativa (Cass. n. 7698 del 2020).
2.4. Nell’ambito di queste coordinate di diritto, occorre ora esaminare le disposizioni del contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro per cui è causa per stabilire se esse rechino disposizioni derogatorie rispetto al principio generale della utilità, ai fini della maturazione degli scatti di anzianità, del periodo di collocazione in aspettativa non retribuita per ricoprire cariche sindacali.
L’art. 3 del c.c.n.l. dei dirigenti delle aziende industriali, al comma 2, come modificato dall’accordo di rinnovo del 30.12.2014, disciplina il ‘trattamento minimo complessivo di garanzia’ e i criteri di determinazione dello stesso, differenziati per fasce di anzianità dei dirigenti, e prescrive, tra l’altro, che ‘la determinazione dell’anzianità di servizio si computa ai sensi dell’art. 26, comma 2’.
L’art. 26 ha il seguente contenuto: ‘1. A tutti gli effetti del presente contratto l’anzianità si computa comprendendovi tutto il periodo di servizio prestato alle dipendenze dell’azienda anche con altre qualifiche. 2. Agli effetti della determinazione dell’anzianità ogni anno iniziato si computa -pro rata- in relazione ai mesi di servizio prestato, computandosi come mese intero la frazione di mese superiore a 15 giorni. 3. All’anzianità sopra specificata vanno sommate quelle anzianità convenzionali cui il dirigente abbia diritto’.
La Corte d’appello ha escluso che, in base alle citate disposizioni del contratto collettivo, l’anzianità di servizio fosse correlata alla effettività della prestazione lavorativa, mentre la società ricorrente argomenta in senso contrario in ragione
dell’espresso rinvio dell’art. 3, secondo comma, del c.c.n.l. solo al secondo comma dell’art. 26, e non al terzo comma che regolamenta le ‘anzianità convenzionali cui il dirigente abbia diritto’.
La lettura delle norme contrattuali operata dai giudici di appello è assolutamente in linea col senso letterale e logico delle previsioni in oggetto e con la collocazione sistematica delle stesse, ed appare la sola coerente con la cornice di diritto sopra ricostruita.
L’art. 3 del c.c.n.l. fa riferimento, al comma 1, ai dirigenti ‘assunti o nominati’ dal 1° gennaio 2015 e, ai commi 2 e 3, ai dirigenti rispettivamente che ‘hanno maturato un’anzianità di servizio nella qualifica e nell’azienda pari o inferiore a 12 mesi’ e che hanno ‘maturato nell’azienda, con la qualifica di dirigente, un’anzianità superiore ai dodici mesi alla data del 1° gennaio 2015’. In tal modo, l’art. 3 collega il diritto al TMCG alla mera anzianità di servizio nella qualifica di dirigente alle dipe ndenze dell’azienda e non include alcun termine né alcuna locuzione che possano essere letti come significativi di un collegamento della anzianità alla effettività della prestazione lavorativa.
In nessun modo pertinente è il dato, valorizzato nel ricorso, del rinvio operato dall’art. 3 al secondo, e non al terzo, comma dell’art. 26; tale rinvio espresso è giustificato dalla necessità di precisare i criteri numerici di computo dell’anzianità di servizio, che impongono di considerare ‘ogni anno iniziato come pro rata … in relazione ai mesi di servizio prestato’, ma esso non ha alcuna idoneità ad impedire o neutralizzare la generale applicabilità del terzo comma dell’art. 26, che reca la prescrizione, coerente ai principi di legittimità sopra riportati, secondo cui alla anzianità calcolata secondo il servizio prestato
‘vanno sommate quelle anzianità convenzionali cui il dirigente abbia diritto’; nel caso di specie, l’anzianità convenzionale collegata alla aspettativa sindacale.
Le considerazioni finora esposte conducono al rigetto del ricorso.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna l’Ente ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della pubblica udienza