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Aspettativa medico UE: limiti alla libera circolazione

Un dirigente medico si è visto negare la richiesta di aspettativa per un incarico in un altro Stato dell’Unione Europea a causa di esigenze organizzative dell’azienda sanitaria. La Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria, ha ravvisato un potenziale contrasto tra la normativa nazionale, che permette tale diniego, e il principio fondamentale della libera circolazione dei lavoratori sancito dal diritto UE. Data la complessità e l’importanza della questione, ha rimesso la causa alla pubblica udienza per un esame approfondito.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Aspettativa Medico UE: la Cassazione Dubita della Normativa Italiana

Il diritto di un professionista sanitario di maturare un’esperienza lavorativa all’estero può essere limitato dalle esigenze organizzative dell’ospedale di appartenenza? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria n. 1636/2024, solleva un’importante questione sulla compatibilità della normativa italiana in materia di aspettativa medico UE con il principio di libera circolazione dei lavoratori. Il caso riguarda un dirigente medico a cui è stata negata l’aspettativa per un incarico in Francia, una decisione che ora pone le basi per un potenziale cambiamento giurisprudenziale.

I Fatti del Caso

Un dirigente medico di un’azienda sanitaria universitaria italiana riceveva un’offerta per un incarico a termine presso un prestigioso ospedale a Strasburgo, in Francia. Per poter accettare, presentava al suo datore di lavoro una richiesta di aspettativa senza assegni per la durata di un anno.

L’azienda sanitaria rigettava la richiesta, motivando il diniego con “preminenti esigenze organizzative”. Nello specifico, l’ospedale lamentava una grave carenza di medici “chirurgicamente indipendenti” e un deficit di organico, a fronte di una crescita esponenziale degli interventi chirurgici complessi. A seguito del diniego, il medico non riprendeva servizio e l’azienda lo dichiarava decaduto dall’impiego. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello confermavano la legittimità delle decisioni dell’azienda.

La Questione Giuridica: Conflitto tra Norme Nazionali e Principi UE

Il cuore della controversia risiede nel potenziale conflitto tra la legislazione nazionale e i principi fondamentali dell’Unione Europea.

Da un lato, la normativa italiana (in particolare l’art. 23-bis del D.Lgs. 165/2001) consente alla pubblica amministrazione di negare l’aspettativa per incarichi presso organismi internazionali o di altri Paesi UE in presenza di “preminenti esigenze organizzative”.

Dall’altro lato, gli articoli 45 e seguenti del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) sanciscono il principio della libera circolazione dei lavoratori, che mira a eliminare ostacoli che possano dissuadere un cittadino dal lavorare in un altro Stato membro.

La Corte di Cassazione si interroga se la norma italiana, consentendo un diniego discrezionale basato su esigenze interne, possa costituire una restrizione ingiustificata a questa libertà fondamentale.

L’analisi sull’aspettativa medico UE e il diritto europeo

La Corte Suprema ha ritenuto la questione di tale complessità e rilevanza da non poter essere decisa in camera di consiglio, rimettendo la causa alla pubblica udienza. I giudici hanno evidenziato come la disciplina nazionale sembri creare un trattamento meno favorevole per chi cerca un’esperienza lavorativa in un altro Stato membro rispetto a chi si muove all’interno del Servizio Sanitario Nazionale.

Richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la Cassazione ricorda che qualsiasi restrizione alla libera circolazione, anche se non discriminatoria, deve essere giustificata da “motivi imperativi di interesse generale”, come la tutela della sanità pubblica. Tuttavia, tali misure devono essere anche proporzionate, ovvero idonee a raggiungere l’obiettivo e non andare oltre quanto necessario. Sarà quindi necessario valutare se il diniego automatico basato su esigenze organizzative, per quanto serie, rispetti questo delicato equilibrio.

Le Motivazioni dell’Ordinanza

La motivazione principale dietro la decisione di rimettere la causa alla pubblica udienza è l’elevato “rilievo nomofilattico” della questione. La Corte ritiene necessario un esame approfondito per stabilire se una normativa nazionale come quella in esame possa integrare una restrizione alla libera circolazione dei lavoratori. Un esito del genere potrebbe essere in contrasto con gli articoli 45-48 del TFUE, i quali sono volti a garantire che un lavoratore che esercita il proprio diritto alla mobilità non riceva un trattamento meno favorevole rispetto a chi svolge la propria carriera interamente in un solo Stato membro. La Corte di Cassazione ha quindi sospeso il giudizio per permettere un dibattito più ampio e ponderato in una sede pubblica, data la potenziale portata della decisione.

Le Conclusioni

In conclusione, l’ordinanza n. 1636/2024 non fornisce una risposta definitiva, ma apre la strada a una sentenza che potrebbe avere un impatto significativo sul diritto del lavoro nel pubblico impiego, specialmente nel settore sanitario. La futura decisione dovrà bilanciare le innegabili esigenze organizzative del Servizio Sanitario Nazionale con il diritto fondamentale dei professionisti di circolare e arricchire il proprio bagaglio di esperienze all’interno dell’Unione Europea. L’esito del giudizio chiarirà fino a che punto il diritto nazionale può porre dei limiti alla mobilità professionale in nome dell’interesse pubblico, definendo i contorni del principio di proporzionalità in un contesto così delicato.

Un datore di lavoro pubblico può negare l’aspettativa a un medico per un incarico in un altro paese UE?
Secondo la normativa italiana vigente (art. 23 bis, D.Lgs. 165/2001), sì, l’amministrazione può opporre un diniego motivato da “preminenti esigenze organizzative”. Tuttavia, la Corte di Cassazione sta valutando se questa facoltà sia compatibile con il diritto europeo.

La normativa italiana sull’aspettativa per incarichi all’estero è in conflitto con il diritto UE?
Questa è la domanda centrale del caso. La Corte di Cassazione ha sollevato il dubbio che la norma italiana possa costituire una restrizione alla libera circolazione dei lavoratori (art. 45 TFUE), un principio fondamentale dell’Unione Europea, e ha rimesso la questione a una pubblica udienza per un esame più approfondito.

Qual è la decisione della Corte di Cassazione in questo caso?
La Corte non ha emesso una decisione finale sul merito della questione. Con un’ordinanza interlocutoria, ha deciso di rimettere la causa alla pubblica udienza, ritenendo la questione troppo complessa e di rilevante importanza per essere decisa in camera di consiglio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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