Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1066 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1066 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 10/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 24009-2018 proposto da:
Ministero dell’interno , quale successore a titolo universale della soppressa Agenzia per la gestione degli albi dei segretari comunali, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui Uffici domicilia in Roma, alla INDIRIZZO
– ricorrente principale –
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell ‘Avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso congiuntamente e disgiuntamente dagli Avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 70/2018 della Corte d’appello di Napoli, depositata il 12/02/2018 R.G.N. 5374/2013;
Oggetto
Lavoro pubblico aspettativa per dottorato di ricerca diritto al trattamento economico condizioni
R.G.N. 24009/2018
COGNOME
Rep.
Ud. 07/12/2023
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che :
la Corte d’appello di Napoli, in parziale accoglimento del gravame proposto da NOME COGNOME e NOMECOGNOME ha condannato il Ministero dell’interno al pagamento delle somme dovute a titolo retributivo dal 20 dicembre 2002 al 31 ottobre 2003, maturate nel periodo di congedo straordinario per la frequenza di corsi di dottorato di ricerca ex art. 2 della l. n. 476 del 1984;
la Corte territoriale ha ritenuto non condivisibile la decisione di primo grado di non riconoscere il diritto del de NOME a ricevere gli importi rivendicati sul rilievo che il lavoratore, dopo il dottorato di ricerca, si era dimesso dall’incarico già ricoperto di segretario comunale per aver vinto il concorso per ricercatore universitario presso la facoltà di giurisprudenza; l ‘assunto del giudice di prima istanza, infatti, riposava sulla convinzione che il de Chiara avrebbe comunque dovuto restituire gli importi che gli fossero stati corrisposti, come previsto dalla norma applicabile ratione temporis , che, per l’appunto , prevedeva la restituzione delle somme percepite nell’ipotesi di dimissione dall’amministrazione pubblica di provenienza nei due anni successivi al conseguimento del dottorato.
Tale interpretazione, ad avviso dei giudici d ‘ appello, non è corretta in quanto la ratio della norma, nella lettura ritraibile anche in base alla sentenza n. 201 del 1995 della Corte costituzionale -secondo cui gli ammessi ai corsi di dottorato di ricerca sono titolari di un rapporto di pubblico impiego, senza distinzione alcuna quanto all’amministrazione
di appartenenza -è quello di finanziare il dottorato di ricerca con soldi della P.A. attraverso un investimento che rimanga a vantaggio dell’attività pubblica complessiva, senza alcuna distinzione fra amministrazione di provenienza ed altra amministrazione presso cui l’interessato sia eventualmente transitato in esito al dottorato. Infatti, la norma non specificava espressamente con quale amministrazione dovesse cessare il rapporto per comportare l’obbligo di restituzione, sicché la stessa lettera della legge deponeva nel senso di richiedere che il soggetto cessasse di appartenere alla pubblica amministrazione in senso generale e non già alla specifica amministrazione di appartenenza. Del resto, la norma di cui all’art. 5 del d.lgs. 18 luglio 2011, n. 119, che aveva aggiunto alla precedente versione della disposizione l’avverbio ‘qualsiasi’, lungi dall’avere carattere innovativo, si era limitata a chiarire definitivamente che la restituzione delle somme era disposta solo per il caso di cessazione del rapporto con ‘qualsiasi’ amministrazione , in chiave meramente interpretativa ed esplicativa del l’unica lettura della norma rispetto alle altre possibili;
2.1. quanto all’eccezione di prescrizione sollevata dall’amministrazione, il lavoratore aveva replicato deducendo di aver inviato due missive, il 20 gennaio 2002 e il 19 dicembre 2007, delle quali solo la seconda poteva assumere valenza interruttiva della prescrizione, con conseguente condanna dell’amministrazione al pagamento delle somme rivendicate, oltre interessi, dal 20 dicembre 2002 al 31 ottobre 2003;
2.2. era stato , infine, respinto l’appello incidentale proposto dal Ministero in ordine al diritto riconosciuto in primo grado al versamento
dei contributi previdenziali, in coerenza con l’assunto sul diritto alla retribuzione;
avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’interno, quale successore a titolo universale della soppressa Agenzia per la gestione degli albi dei segretari comunali, affidato ad un unico motivo, cui resiste il de Chiara con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale con un unico motivo; 4. la difesa del de Chiara ha depositato memoria e prodotto
documentazione.
Ritenuto che :
1. con l’unico motivo del ricorso principale il Ministero prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della l. n. 487 del 1984, come modificato dall’art. 5 del d.lgs. n. 119 del 18 luglio 2011, ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché la Corte d’appello ha riconosciuto il diritto alla corresponsione degli emolumenti non percepiti in virtù di erronea interpretazione delle citate disposizioni, atteso che l’art. 2 della l. n. 487 del 1984, nella versione vigente al 2 aprile 2001 (indicata nel motivo come data di concessione dell’aspettativa ) prevedeva: «il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca è collocato in congedo straordinario senza assegni per il periodo di durata del corso ed usufruisce della borsa di studio ove ricorrano le condizioni richieste. Il periodo di congedo straordinario è utile ai fini della progressione di carriera, del trattamento di quiescenza e di previdenza». Solo con la modifica intervenuta nel 2011 il legislatore ha stabilito che nel caso in cui il pubblico dipendente si dimetta da qualsiasi pubblica amministrazione
questi sia tenuto alla restituzione degli emolumenti percepiti durante il dottorato di ricerca, mentre, anteriormente a tale modifica, la cessazione del rapporto con l’amministrazione di provenienza comportava la restituzione di quanto percepito. La modifica legislativa, quindi, aveva carattere non già interpretativo ma innovativo, prevedendo che l’obbligo di restituzione rimaneva correlato all’abbandono del rapporto con qualsiasi pubblica amministrazione e non solo con la P.A. con cui era instaurato il rapporto di lavoro precedentemente esistente, norma rispetto alla quale non era prevista l’efficacia retroattiva ;
il motivo, nei termini formulati, è infondato, in quanto l’unica questione sottoposta al Collegio attiene alla corretta interpretazione dell’art. 2 della l. n. 476 del 1984, nella versione applicabile rispetto alla richiesta di corresponsione del trattamento retributivo avanzato dal dipendente per il periodo dal 1° gennaio 2002 al 31 ottobre 2003, mentre non rientra n ell’ambito della presente decisione la valutazione circa lo specifico iter di concessione del congedo straordinario per il corso di dottorato di ricerca, preceduto, per come si legge nella sentenza impugnata, da altro periodo di congedo straordinario per motivi di studio senza retribuzione, cosicché il de NOME è stato collocato in congedo straordinario ai sensi dell ‘art. 2 della l. n. 476 del 1984 dal 6 febbraio 2002;
3. per la corretta esegesi della norma è essenziale procedere alla ricostruzione diacronica delle modifiche apportate alla disposizione. L’art. 2 della l. 13 agosto 1984, n. 476, ‘ Norma in materia di borse di studio e dottorato di ricerca nelle Università ‘, nella versione originaria ,
recitava: «Il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca è collocato a domanda in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni per il periodo di durata del corso ed usufruisce della borsa di studio ove ricorrano le condizioni richieste. Il periodo di congedo straordinario è utile ai fini della progressione di carriera, del trattamento di quiescenza e di previdenza.». Pertanto, nella prima formulazione la disciplina non contemplava il diritto al trattamento retributivo, ma considerava il periodo di congedo straordinario ai fini della progressione di carriera, oltre che del trattamento di quiescenza e di previdenza;
3.1. la conservazione del trattamento economico è stata disposta con la l. 28 dicembre 2001, n. 448, il cui art. 52, comma 57, ha modificato l ‘ art. 2, comma 1, come segue: «All ‘ articolo 2, primo comma, della legge 13 agosto 1984. n. 476, sono aggiunti, infine, i seguenti periodi: “In caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio, o di rinuncia a questa, l ‘ interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell ‘ amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro. Qualora, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, il rapporto di lavoro con l ‘ amministrazione pubblica cessi per volontà del dipendente nei due anni successivi, è dovuta la ripetizione degli importi corrisposti ai sensi del secondo periodo”»;
3.2. tralasciando i successivi interventi che non assumono rilievo ai fini della fattispecie in esame, occorre invece fare specifica menzione della modifica apportata dal l’art. 5, comma 1, lett. a), del d.lgs. 18 luglio 2011, n. 119, come segue: «All ‘ articolo 2 della legge 13 agosto 1984,
n. 476 sono apportate le seguenti modificazioni: a) il terzo periodo del primo comma è sostituito dal seguente: ‘ Qualora, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, cessi il rapporto di lavoro o di impiego con qualsiasi amministrazione pubblica per volontà del dipendente nei due anni successivi, è dovuta la ripetizione degli importi corrisposti ai sensi del secondo periodo. ‘ ».
Il d.lgs. n. 119 del 2011 è stato emanato in attuazione dell ‘ art. 23 della l. 4 novembre 2010, n. 183, ( ‘ Delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi ‘ ), il cui primo comma recita: «1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa vigente in materia di congedi, aspettative e permessi, comunque denominati, fruibili dai lavoratori dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati, in base ai seguenti principi e criteri direttivi:
coordinamento formale e sostanziale del testo delle disposizioni vigenti in materia, apportando le modifiche necessarie per garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa e per adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo;
indicazione esplicita delle norme abrogate, fatta salva l ‘ applicazione dell ‘ articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile;
riordino delle tipologie di permessi, tenuto conto del loro contenuto
e della loro diretta correlazione a posizioni giuridiche costituzionalmente tutelate;
ridefinizione dei presupposti oggettivi e precisazione dei requisiti soggettivi, nonché razionalizzazione e semplificazione dei criteri e delle modalità per la fruizione dei congedi, delle aspettative e dei permessi di cui al presente articolo, al fine di garantire l ‘ applicazione certa ed uniforme della relativa disciplina;
razionalizzazione e semplificazione dei documenti da presentare, con particolare riferimento alle persone con handicap in situazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o affette da patologie di tipo neuro-degenerativo o oncologico.»;
così chiarito il quadro di riferimento, occorre concludere che l ‘interpretazione adottata dalla Corte territoriale risulta conforme al fondamentale canone letterale ed è assistita anche da convergenti criteri sistematici e teleologici;
4.1. infatti, la lettera della legge, anche nella formulazione anteriore alle modifiche apportate nel 2011, deponeva nel senso che, mentre l’onere retributivo (menzionato nella prima parte della disposizione) era chiaramente specificato con l’espresso riferimento all’amministrazione di provenienza, l’obbligo di restituzione era invece ricondotto all’ipotesi di dimissioni dall’amministrazione tout court , senza alcuna precisazione, argomento testuale che evidenza la voluntas legis di valorizzare l’investimento formativo del dipendente nell’interesse dell’amministrazione pubblica in senso generale e non già limitato all’amministrazione di appartenenza in costanza di dottorato;
4.2. tale interpretazione risulta ulteriormente avvalorata dalla modifica apportata alla disposizione nel 2011, nel senso che l ‘espressa indicazione che le dimissioni vanno rapportate a ‘qualsiasi’ amministrazione assume valenza esplicativa di un significato già insito nella norma, secondo la lettera e la ratio sopra esposti. Infatti, occorre considerare che l’intervento in questione, con l’inserimento dell’aggettivo ‘qualsiasi’ , costituisce attuazione di una legge delega espressamente indirizza al riordino, alla razionalizzazione e alla semplificazione della materia dei congedi ed aspettative «al fine di garantire l’applicazione certa ed uniforme della relativa disciplina» , criteri pienamente coerenti con l’intento di rendere più evidente un senso già immanente alla norma piuttosto che evocativi di una previsione innovativa della pregressa disciplina.
In definitiva, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, l’opzione ermeneutica favorevole al dipendente corrisponde alla effettiva ratio dell’istituto, che intende ‘trattenere’ nel settore pubblico risorse qualificate, anche se in amministrazione differente da quella originaria, con l’effetto di collegare l’obbligo di restituzione solo all’ipotesi in cui l’interessato intenda ‘disperdere’ l’investimento pubblico passando al settore privato;
5. d’altro canto, l’interpretazione qui adottata non si pone in conflitto con precedenti pronunce di questa Corte, che ha affrontato il tema del congedo straordinario per lo svolgimento di corsi di dottorato di ricerca per precisare che «al dipendente che risulti privo di borsa di studio spetta il trattamento retributivo in godimento, ai sensi dell’art. 2, comma 1, della l . n. 476 del 1984, come modificato dall’art. 52,
comma 57, della l. n. 448 del 2001, soltanto per i congedi successivi all’1 gennaio 2002, data di entrata in vigore di quest’ultima disposizione» (Cass. Sez. L, 03/05/2017, n. 10695), senza tuttavia esaminare espressamente la specifica questione oggetto del presente giudizio;
il ricorso principale va, quindi respinto;
quanto al ricorso incidentale, nel quale si intendeva prospettare la mancata considerazione da parte della Corte territoriale di un terzo atto interruttivo non preso in considerazione, la questione è superata per effetto della sentenza n. 4303 del 2022 del 16 dicembre 2022, depositata in atti, con cui la Corte d’appello di Napoli, in sede di giudizio di revocazione, ha accolto l’istanza del de Chiara, e per l’effetto, «in parziale revoca della sent. n. 70 del 2018» – oggetto di impugnazione nell’ambito de l presente giudizio -ha condannato il Ministero dell’interno «al pagamento a titolo retributivo anche delle somme maturate dal 23 gennaio al 19 dicembre 2002, oltre interessi dalla maturazione al saldo», secondo quanto dedotto nella memoria depositata dalla difesa del de Chiara e documentato agli atti;
ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso incidentale per sopravvenuto difetto di interesse;
alla soccombenza segue la condanna del Ministero ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;
1 0. non sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002 rispetto all’amministrazione ricorrente principale perché la norma non può trovare applicazione nei confronti
di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass. Sez. U, 08/05/2014, n. 9938; Cass. 6-L, 29/01/2016 n. 1778; Cass. Sez. L, 27/11/2017, n. 28250), né per il ricorrente incidentale, venendo in rilievo un’ipotesi di declaratoria di inammissibilità sopravvenuta (così, fra molte, Cass. Sez. 3, 20/07/2021, n. 20697).
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse il ricorso incidentale.
Condanna il Ministero ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre al rimborso per spese generali nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 7 dicembre 2023