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Aspettativa dottorato di ricerca: stipendio e P.A.

La Corte di Cassazione ha stabilito che un dipendente pubblico in aspettativa per dottorato di ricerca non deve restituire il trattamento economico ricevuto se, dopo il dottorato, si dimette per assumere servizio presso un’altra amministrazione pubblica. La Corte ha chiarito che l’obbligo di restituzione scatta solo in caso di abbandono del settore pubblico per passare a quello privato, poiché lo scopo della norma è preservare l’investimento formativo a vantaggio della collettività.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Aspettativa dottorato di ricerca: si perde lo stipendio se si cambia Pubblica Amministrazione?

Il percorso di alta formazione, come un dottorato, rappresenta un’opportunità di crescita fondamentale per un dipendente pubblico. La legge tutela questo percorso attraverso l’istituto dell’aspettativa per dottorato di ricerca, ma cosa succede al trattamento economico se il dipendente, una volta conseguito il titolo, decide di cambiare amministrazione, pur rimanendo nel settore pubblico? A questa domanda ha dato una risposta chiara la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1066/2024, delineando i confini del diritto alla retribuzione e l’obbligo di restituzione delle somme percepite.

I Fatti del Caso: Il Passaggio tra due Amministrazioni Pubbliche

Il caso esaminato riguarda un dipendente pubblico, segretario comunale, che aveva usufruito di un periodo di congedo straordinario retribuito per frequentare un corso di dottorato di ricerca. Una volta ottenuto il titolo, il dipendente si è dimesso dal suo incarico per assumere la posizione di ricercatore universitario, transitando di fatto da un’amministrazione pubblica a un’altra.

L’amministrazione di provenienza, il Ministero dell’Interno, sosteneva che, in base alla normativa allora vigente, le dimissioni comportassero l’obbligo per il lavoratore di restituire tutte le somme percepite durante il periodo di aspettativa. Secondo il Ministero, la legge richiedeva la permanenza nell’amministrazione di origine per almeno due anni dopo il dottorato. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva dato ragione al dipendente, condannando il Ministero al pagamento delle retribuzioni maturate.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso del Ministero, confermando la decisione dei giudici di secondo grado. Ha stabilito che il dipendente non era tenuto a restituire alcunché e aveva pieno diritto al trattamento economico. Il fulcro della decisione risiede nell’interpretazione della ratio legis (la finalità della norma), anche nella sua versione antecedente alle modifiche del 2011.

Le Motivazioni: la continuità nel settore pubblico e l’aspettativa dottorato di ricerca

La Cassazione ha chiarito che lo scopo della normativa sull’aspettativa per dottorato di ricerca è quello di finanziare l’alta formazione di un dipendente pubblico come un investimento a beneficio dell’intera collettività. L’obiettivo è ‘trattenere’ nel settore pubblico una risorsa altamente qualificata, non di vincolarla a una specifica amministrazione.

L’obbligo di restituire lo stipendio, quindi, scatta solo nell’ipotesi in cui il dipendente decida di ‘disperdere’ questo investimento, passando al settore privato entro due anni dal conseguimento del titolo. Il passaggio da un’amministrazione pubblica a un’altra, invece, non pregiudica l’interesse pubblico, poiché le competenze acquisite rimangono a servizio dello Stato.

La Corte ha inoltre specificato che la modifica legislativa del 2011, che ha introdotto l’avverbio ‘qualsiasi’ per definire l’amministrazione da cui non dimettersi, non ha avuto un carattere innovativo, ma meramente interpretativo. Essa ha solo reso più esplicito un principio già insito nella norma: l’importante è che il rapporto di lavoro prosegua con la Pubblica Amministrazione in senso generale, non necessariamente con quella di provenienza.

Conclusioni: Cosa Significa Questa Sentenza per i Dipendenti Pubblici

Questa pronuncia consolida un principio di fondamentale importanza per la mobilità e la crescita professionale all’interno della Pubblica Amministrazione. I dipendenti pubblici che investono nella propria formazione attraverso un dottorato di ricerca possono contare sulla tutela del loro trattamento economico anche qualora, dopo il conseguimento del titolo, decidano di cogliere nuove opportunità professionali in altre amministrazioni dello Stato. La sentenza ribadisce che l’investimento pubblico nella formazione non è finalizzato a legare il dipendente a una singola scrivania, ma a valorizzare il capitale umano a vantaggio dell’intero sistema pubblico.

Un dipendente pubblico in aspettativa per dottorato di ricerca deve restituire lo stipendio se si dimette per lavorare in un’altra Pubblica Amministrazione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’obbligo di restituzione del trattamento economico percepito sorge solo se il dipendente cessa il rapporto di lavoro con il settore pubblico nel suo complesso entro i due anni successivi al conseguimento del dottorato, per passare al settore privato. Il transito tra due diverse amministrazioni pubbliche non comporta alcun obbligo di restituzione.

La modifica legislativa del 2011, che ha specificato ‘qualsiasi’ amministrazione pubblica, ha cambiato la legge precedente?
No, la modifica non è stata innovativa ma solo interpretativa. La Corte ha chiarito che anche prima del 2011, la norma doveva essere interpretata nel senso che il vincolo di permanenza riguardava il settore pubblico in generale. L’aggiunta dell’aggettivo ‘qualsiasi’ ha solo reso più esplicito un significato già presente nella legge.

Qual è lo scopo della norma che prevede la restituzione dello stipendio?
Lo scopo (ratio legis) è proteggere l’investimento formativo fatto dalla Pubblica Amministrazione. Si vuole evitare che una risorsa umana, la cui alta formazione è stata finanziata con denaro pubblico, ‘disperda’ tale investimento lasciando il settore pubblico per quello privato poco dopo aver concluso il dottorato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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