Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20478 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 20478 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 25781/2019 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMUNE DI ARDEA, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 3688/2019 depositata il 31/05/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Viste le conclusioni motivate, ai sensi dell’art. 23, comma 8 -bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge
18 dicembre 2020, n. 176, formulate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale che ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Udit o l’avv. COGNOME per il controricorrente.
FATTI DI CAUSA
L ‘avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di tredici motivi, contro la sentenza della Corte d’appello di Roma, con la quale è stato dichiarato inammissibile, per tardività, l’appello dal medesimo proposto avverso la decisione del Tribunale della stessa città, il quale aveva definito la causa, promossa dal professionista nei confronti del Comune di Ardea, per ottenere il pagamento di onorari professionali per l’attività difensiva svolta in favore dell’ente in un giudizio amministrativo.
Il Comune di Ardea ha resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso possono così riassumersi:
«Incompetenza della Corte di Appello. Nullità della sentenza e del procedimento. Erra il Giudice di seconde cure allorquando non si avvede che essendo stata eccepita la nullità dell’ordinanza gravata sussiste l’incompetenza della Corte di Appello come Giudice del gravame e la conseguenziale competenza di Codesta Ecc.ma Corte di Cassazione».
b. «Violazione di legge: art. 702 quater c.p.c. Violazione di legge. Artt. 330 e 141 c.p.c. Erra il Giudice di seconde cure allorquando dichiara che ‘l’eccezione preliminare di decadenza
dell’impugnazione deve ritenersi fondata’ (pag. 3 della sentenza gravata). La manifesta infondatezza dell’eccezione di tardività dell’appello emerge ad una mera ed obiettiva lettura dell’art. 45 comma 1 lett. B) del d.l. 24.06.2014 n. 90 conv. In L.11.08.2014 n. 114 »
c. «Violazione di legge: art. 702 quater c.p.c. Violazione di legge. Artt. 330 e 141 c.p.c. Erra il Giudice di seconde cure allorquando afferma che ‘ l’appello risulta notificato il 30.01.2015 oltre il termine di trenta giorni previsto dall’art. 702 quater c.p.c.’. In realtà il Giudice di merito non si avvede -nonostante la puntuale eccezione dell’odierno ricorrente che la prima notifica -non andata a buon fine per l’irreperibilità del procuratore domiciliatario -è stata fatta il 30.12.2014 presso lo studio dell’avv. COGNOME in INDIRIZZO -00199 Roma ove era stato eletto il domicilio in primo grado, così come emerge ad una mera ed obiettiva lettura della comparsa di costituzione del Comune di Ardea in primo grado».
d. «Violazione di legge: art. 221 c.p.c. Erra il Giudice di seconde cure allorquando omette di delibare sulla querela di falso spiegata dall’odierno ricorrente non disponendo l’obbligatoria sospensione del giudizio di gravame. Si insiste, pertanto, nello spiegare la querela di falso sulla sussistenza dell’allegato dell’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. alla comunicazione di cancelleria indicando come mezzi di prova a mezzo testi nelle persone di COGNOME NOME e NOME COGNOME e perizia forense».
Gli altri motivi, dal quinto al tredicesimo motivo, censurano la decisione in ordine ad aspetti riguardanti il merito della pretesa, ingiustamente non accolta dai giudici di merito nei termini richiesti
dall’attuale ricorrente, e ciò in conseguenza di una pluralità di violazioni, di norma sostanziali e processuali.
Si pone infine « Questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 comma 2 d. lgs n. 150/2011».
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. a) Quanto al primo motivo, il riferimento alla competenza della Corte di cassazione, in luogo della Corte d’appello adita, sembra alludere al fatto che, secondo il ricorrente, il procedimento avrebbe dovuto essere trattato con il rito camerale, ai sensi dell’art. 14 del d. lgs. n. 150 del 2011. Senza che sia minimamente necessario dilungarsi su questo aspetto, è decisiva la considerazione che il procedimento è stato nella specie trattato e deciso secondo il rito ordinario sommario di cognizione. Vale pertanto il principio secondo cui «Il provvedimento con cui è decisa l’opposizione a decreto ingiuntivo riguardante onorari di avvocato che sia stata introdotta ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., seguendo il rito sommario ordinario codicistico e non quello speciale di cui all’art. 14 d.lgs. n. 150 del 2011, deve essere impugnato con l’appello, secondo il regime previsto dall’art. 702 quater c.p.c., trovando applicazione il principio di apparenza» (Cass. n. 24515/2018).
Si deve aggiungere che nel caso in esame il problema dell’applicabilità del rito speciale neanche si poneva, in quanto l a pretesa del legale si riferiva ad attività difensiva svolta in un giudizio amministrativo.
b) Quanto al secondo e al terzo motivo, la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui «nel procedimento sommario di cognizione, ai fini della decorrenza del termine di trenta giorni previsto dall’art. 702-quater c.p.c. per la proposizione dell’appello avverso l’ordinanza emessa ex art. 702-ter, comma 6,
c.p.c., la comunicazione di cancelleria deve avere ad oggetto il testo integrale della decisione, comprensivo del dispositivo e della motivazione. Ne consegue che ai fini della decorrenza del termine di trenta giorni per l’appello occorre fare riferimento alla data di notificazione del provvedimento ad istanza di parte, ovvero, se anteriore, alla detta comunicazione di cancelleria in forma integrale, ossia comprensiva di dispositivo e motivazione (Cass. n. 5079/2022; n. 7401/2017).
c) Il terzo motivo sembra porre la questione derivante da ll’esistenza di una prima notificazione, non andata a buon fine, a causa del trasferimento del procuratore domiciliatario. La censura è proposta con il fine di far farne derivare l’applicabilità della sanatoria per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione del convenuto. L’assunto è del tutto fuori luogo. Piuttosto viene in considerazione il principio secondo cui «in caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa (Cass. n. 14594/2017; n. 19059/2017; n. 17577/2020). Nel caso in esame, il confronto fra le date, come emerge dalla decisione impugnata, non vale a recuperare la tempestività dell’appello, ten uto conto del tempo decorso fra la notifica non andata a buon fine (30 dicembre 2014) e la notifica effettiva (30 gennaio 2015).
d) Il quarto motivo, il quale allude alla proposizione di una querela di falso, è inammissibile per difetto di specificità, prospettandosi una questione che la sentenza non menziona, conseguendone pertanto l’autonoma inammissibilità del motivo in forza del principio secondo cui «In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, in virtù del principio di autosufficienza, indicare in quale specifico atto del grado precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito e non rilevabili di ufficio» (Cass. n. 18018/2024).
Ad ogni modo, nel controricorso si eccepisce che la querela è stata proposta oltre l’udienza di precisazione delle conclusion i (Cass. n. 25487/2021; n. 1870/2016).
Gli altri motivi sono inammissibili in quanto attengono al merito della questione, al cospetto di una pronunzia che si è esaurita in rito con la dichiarazione di inammissibilità dell’appello (Cass. n. 24550/2023).
Infine, l a questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 del d. lgs, n. 150 del 2011, è palesemente priva di rilevanza: i giudici di merito, infatti, non hanno trattato il procedimento seguendo il rito speciale previsto dalla norma sopra indicata, ma il rito sommario ordinario.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con addebito di spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore del controricorrente, liquidate in € 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Seconda