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Appalto non genuino: quando è illecito? Guida pratica

Un lavoratore, formalmente dipendente di una cooperativa ma operante presso un’azienda sanitaria, ha ottenuto il riconoscimento della non genuinità del contratto di appalto tra i due enti. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna dell’azienda sanitaria al risarcimento del danno, sottolineando che un appalto non genuino si configura quando l’appaltatore manca di una propria organizzazione autonoma e non assume il rischio d’impresa, limitandosi a fornire manodopera. L’appello dell’azienda sanitaria è stato dichiarato inammissibile perché mirava a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Appalto non genuino: quando un contratto di servizi nasconde un illecito

La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 20203/2024 offre un’analisi cruciale sulla distinzione tra un appalto di servizi legittimo e un appalto non genuino, che maschera una somministrazione illecita di manodopera. Questa pronuncia ribadisce principi fondamentali per la tutela dei lavoratori e chiarisce le responsabilità del committente. Comprendere questi confini è essenziale per aziende e lavoratori al fine di evitare contenziosi e garantire il rispetto delle norme.

I fatti del caso: un appalto sotto esame

La vicenda giudiziaria ha origine dalla domanda di un lavoratore, assunto da una Cooperativa Sociale per svolgere mansioni di assistenza sanitaria non medica presso una Residenza Sanitaria per Anziani gestita da un’Azienda Sanitaria pubblica.

Il lavoratore sosteneva che il contratto d’appalto tra l’Azienda Sanitaria (committente) e la Cooperativa (appaltatrice) fosse fittizio. In realtà, a suo dire, si trattava di una mera fornitura di personale, con la conseguenza che egli avrebbe avuto diritto alle differenze retributive previste dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) del comparto sanità pubblica, più favorevole rispetto a quello delle cooperative socio-sanitarie.

Il Tribunale di primo grado aveva accolto la domanda, ma la decisione era stata riformata in appello. Successivamente, la Corte di Cassazione aveva annullato la sentenza d’appello per un vizio procedurale (la mancata partecipazione della Cooperativa al giudizio di secondo grado) e aveva rinviato la causa alla Corte d’Appello, che, in una nuova composizione, ha confermato la decisione di primo grado, riconoscendo l’esistenza di un appalto illecito.

La decisione della Cassazione: la critica all’appalto non genuino

L’Azienda Sanitaria ha presentato un nuovo ricorso in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse errato nel qualificare il contratto. Tuttavia, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Il motivo principale risiede nel fatto che le censure mosse dall’Azienda Sanitaria non riguardavano una violazione di legge, ma miravano a una rivalutazione dei fatti e delle prove, attività preclusa al giudice di legittimità.

La Corte ha colto l’occasione per ribadire i criteri distintivi di un appalto genuino, anche nelle sue forme “leggere” o “labour intensive”.

Gli elementi chiave di un appalto genuino

Secondo la Cassazione, per distinguere un appalto lecito da una somministrazione illecita di manodopera, occorre verificare la presenza di due elementi fondamentali in capo all’appaltatore, come previsto dall’art. 1655 c.c. e dall’art. 29 del d.lgs. 276/2003:

1. Autonoma organizzazione: L’appaltatore deve disporre di una propria struttura organizzativa e gestionale, anche se minima. Non può essere un mero intermediario di manodopera.
2. Assunzione del rischio d’impresa: L’appaltatore deve sopportare il rischio economico legato all’esecuzione del servizio. Questo significa che il suo profitto non deve essere garantito, ma dipendere dalla sua capacità di gestire efficientemente l’appalto.

La Corte ha chiarito che, anche negli appalti “labour intensive” (dove il fattore lavoro è predominante), e anche se l’appaltatore utilizza mezzi e attrezzature del committente, deve comunque sussistere un “quid pluris” organizzativo. Questo “valore aggiunto” è ciò che trasforma una semplice fornitura di persone in un servizio organizzato.

Le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso perché l’Azienda Sanitaria contestava l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte d’Appello. Quest’ultima, con un’analisi minuziosa del materiale probatorio, aveva concluso che la Cooperativa non possedeva un’autonoma organizzazione del lavoro, requisito indispensabile per la genuinità di qualsiasi appalto. La decisione del giudice del rinvio si basava su una valutazione delle prove, come le deposizioni testimoniali, che non può essere messa in discussione in sede di legittimità.

I giudici hanno specificato che la distinzione tra appalto “leggero” e “pesante” non era il punto focale. Anche un appalto leggero, per essere lecito, richiede che l’appaltatore eserciti un reale potere organizzativo e direttivo sui propri dipendenti e si assuma il rischio economico dell’operazione. Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva accertato l’assenza di questi elementi, configurando così un appalto non genuino.

Le conclusioni

In conclusione, l’ordinanza n. 20203/2024 rafforza un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: la qualificazione di un contratto d’appalto non dipende dal nomen iuris dato dalle parti, ma dalla sostanza del rapporto. Quando l’appaltatore si limita a fornire personale senza un’effettiva organizzazione e senza assumersi il rischio d’impresa, il contratto è illecito, e il committente è chiamato a rispondere delle conseguenze, inclusa la corresponsione delle differenze retributive al lavoratore. Per le aziende, ciò significa che l’esternalizzazione di servizi deve essere gestita con attenzione, assicurandosi che il partner contrattuale sia un vero imprenditore e non un semplice fornitore di manodopera, per evitare di incorrere in gravi sanzioni e contenziosi.

Cosa distingue un appalto genuino da una somministrazione illecita di manodopera?
Un appalto è genuino quando l’appaltatore organizza con mezzi propri e a proprio rischio l’esecuzione di un servizio. Si ha invece somministrazione illecita quando l’appaltatore si limita a fornire personale al committente, senza esercitare un reale potere organizzativo e senza assumersi il rischio d’impresa.

Anche in un appalto “leggero” o “labour intensive” l’appaltatore deve avere una propria organizzazione?
Sì. La Corte di Cassazione ha ribadito che, anche quando l’opera non richiede macchinari notevoli e l’appaltatore può usare attrezzature del committente, è sempre necessaria l’esistenza di un’autonoma organizzazione in capo all’appaltatore, che rappresenta il “quid pluris” che qualifica il servizio.

Perché il ricorso dell’Azienda Sanitaria è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, sotto l’apparenza di una violazione di legge, mirava a ottenere una nuova valutazione dei fatti e delle prove, come le testimonianze. Questo tipo di riesame non è consentito alla Corte di Cassazione, il cui compito è verificare la corretta applicazione delle norme di diritto, non giudicare nuovamente il merito della controversia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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