Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11904 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1 Num. 11904 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/05/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13674/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione; -ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del presidente p.t., rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente e ricorrente incidentale -avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 2007/16, depositata il 29 novembre 2016.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 31 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
uditi l’AVV_NOTAIO, per delega dell’AVV_NOTAIO, e l’AVV_NOTAIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei primi tre motivi del ricorso principale, con l’assorbimento del quarto e la dichiarazione d’inammissibilità del quinto, e la dichiarazione d’inammissibilità dei primi quattro motivi del ricorso incidentale, con il rigetto del quinto.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE, appaltatrice della progettazione esecutiva e della realizzazione dei lavori di restauro e recupero del complesso monumentale sito in Aosta e denominato Torre dei Balivi, in virtù di contratto stipulato il 4 dicembre 2002, convenne in giudizio la Regione Autonoma Valle d’Aosta, per sentirla condannare al risarcimento dei maggiori oneri di cui alle riserve iscritte nel corso del rapporto.
A sostegno della domanda, l’attrice riferì che la committente, la quale doveva provvedere alla progettazione definitiva, aveva omesso di procedere all’effettuazione di studi e sondaggi preliminari, in una situazione in cui era agevolmente ipotizzabile la presenza di reperti archeologici nel sottosuolo, in tal modo cagionando il superamento dei tempi previsti per l’esecuzione dei lavori, con la conseguente sopportazione di maggiori oneri per il mantenimento del cantiere, e degli ulteriori oneri di cui alle riserve.
La Regione si costituì ed eccepì la decadenza dell’attrice dalle pretese azionate, per tardiva iscrizione delle riserve, chiedendo in via riconvenzionale il pagamento della penale dovuta per il ritardo nella consegna della progettazione esecutiva.
1.1. Con sentenza del 14 aprile 2010, il Tribunale di Aosta accolse la domanda principale e rigettò la domanda riconvenzionale, condannando la Regione al pagamento della somma complessiva di Euro 169.368,68, oltre interessi, ivi compresi Euro 84.326,02 per interventi sulla progettazione definitiva, Euro 25.967,08 per opere di cui alla riserva n. 2, Euro 2.389,09 per
interessi sulle somme di cui alla riserva n. 3, Euro 53.492,44 a titolo di compenso per opere ed attrezzature lasciate nel cantiere, ed Euro 3.200,00 a titolo di compenso per l’installazione di rampe provvisorie.
L’impugnazione proposta dall’RAGIONE_SOCIALE è stata parzialmente accolta dalla Corte d’appello di Torino, che con sentenza del 29 novembre 2016 ha condannato la Regione al pagamento dell’ulteriore importo di Euro 218.098,13, oltre rivalutazione monetaria ed interessi.
Premesso che il contratto stipulato tra le parti prevedeva un appalto integrato, nell’ambito del quale la committente doveva provvedere alla progettazione definitiva e l’appaltatrice alla progettazione esecutiva ed alla realizzazione delle opere, e rilevato che il rapporto si era arrestato all’elaborazione del progetto esecutivo, avendo la Regione deciso di recedere dal contratto, la Corte ha rigettato innanzitutto l’eccezione di decadenza sollevata dalla Regione, rilevando che per una delle riserve, accolta dalla sentenza di primo grado, non era stato proposto appello incidentale, per altre l’eccezione non era stata riproposta in appello, e per altre ancora l’iscrizione aveva avuto luogo tempestivamente in occasione del primo stato di avanzamento dei lavori: ha precisato infatti che l’attrice non aveva dedotto l’illegittimità delle sospensioni dei lavori, ma aveva fatto valere soltanto l’indebito prolungamento degli stessi causato dall’inadempimento degli obblighi gravanti sulla committente nella redazione del progetto definitivo.
Ciò posto, la Corte ha osservato che nell’appalto integrato il progetto definitivo, i cui contenuti sono regolati dall’art. 16 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, deve individuare i lavori da realizzare, e richiede che gli studi e le indagini occorrenti siano condotti fino ad un livello tale da consentire i calcoli preliminari delle strutture e degli impianti e lo sviluppo del computo metrico estimativo; la progettazione definitiva deve quindi presentare un livello di definizione dell’intervento e di approfondimento degli studi e delle indagini occorrenti tale da consentirne la successiva ingegnerizzazione in sede di progettazione esecutiva, sicché, ove la prima non abbia tenuto conto di determinate circostanze, nonostante la loro prevedibilità, le relative conseguenze non possono essere fatte ricadere sull’appaltatore; la stazione appaltante deve conseguentemente curare con particolare attenzione la predisposizione del
progetto definitivo, in modo da evitare che in sede di progettazione esecutiva emergano differenze tali da modificare sensibilmente il rapporto sinallagmatico con l’offerta in base alla quale ha avuto luogo l’aggiudicazione. Pur rilevando che nella specie l’art. I.2 del contratto di appalto poneva a carico della appaltatrice la demolizione delle superfetazioni, lo scavo di splateamento AVV_NOTAIO del cortile, lo scavo archeologico, le campagne di monitoraggio ambientale, i sondaggi e i saggi stratigrafici, da eseguirsi prima della redazione del progetto esecutivo, ha ritenuto che, coerentemente con la natura integrata dell’appalto, tale pattuizione si limitasse ad imporre le ulteriori indagini funzionali all’ingegnerizzazione del progetto definitivo, senza sovvertire la qualità e la quantità delle opere contrattualmente previste. Ha aggiunto che tale conclusione trovava conforto nel dovere di cooperare all’adempimento dell’appaltatore, configurabile a carico della committente, nonché nella natura imperativa delle norme che in tema di appalto pubblico disciplinano l’attività di progettazione, le quali rispondono a finalità pubblicistiche e sono derogabili soltanto nei casi e nei modi da esse previsti.
Tanto premesso, la Corte ha preso in esame la riserva n. 1A, avente ad oggetto il riconoscimento dei sovrapprezzi relativi agli scavi archeologici eseguiti a regia, osservando che, come accertato dal c.t.u. nominato in appello, la committente non aveva svolto tutte le indagini necessarie, alle quali aveva dovuto provvedere l’appaltatrice, con la conseguente sopportazione di oneri superiori, riconosciuti soltanto in parte con la perizia di variante, e fatti valere per il resto con specifica riserva. Ha ritenuto peraltro infondata la relativa domanda, rilevando che l’attrice non aveva fornito la prova dei predetti oneri, in particolare dell’utilizzazione del personale e delle attrezzature unicamente per lo scavo archeologico, ed escludendo pertanto l’ammissibilità di una liquidazione in via equitativa.
Passando alla riserva n. 1C, riguardante il riconoscimento dei maggiori oneri sopportati per carente produzione causata dallo slittamento dei lavori, precisato che la pretesa non riguardava lo scavo archeologico, ma i lavori principali da eseguirsi successivamente alla redazione del progetto esecutivo, ha rilevato che l’andamento dell’appalto aveva subìto un notevole rallentamento a causa del prolungarsi dei lavori di scavo, durante i quali erano state
tuttavia svolte anche attività concernenti i lavori principali, in tal modo determinandosi una situazione di fatto completamente diversa da quella prevista dal contratto. Ha ritenuto peraltro infondata la relativa domanda, osservando che in tale fase l’attrice non poteva contare neppure contrattualmente su una determinata produzione, e ritenendo comunque non provato che, oltre al cantiere allestito per lo scavo archeologico, l’appaltatrice ne avesse allestito un altro finalizzato all’esecuzione delle opere principali.
In ordine alla riserva n. 1E, avente ad oggetto il ristoro dei maggiori oneri derivanti dalla sospensione dei lavori dal 9 dicembre 2003 al 16 marzo 2004, la Corte, pur rilevando che la sospensione era stata determinata dalle condizioni climatiche, ha ritenuto incontestato che la stessa fosse indirettamente imputabile alla stazione appaltante, per effetto del protrarsi dello scavo archeologico: precisato che l’effetto pratico era stato il medesimo di una sospensione illegittima, ha accolto soltanto parzialmente la domanda, ritenendo non provata l’utilizzazione delle attrezzature esclusivamente per i lavori indicati nella riserva.
Relativamente alla riserva n. 1F, avente ad oggetto il ristoro degli oneri derivanti dalla sospensione dei lavori dall’11 maggio 2004 al mese di aprile 2005, premesso che il periodo in questione comprendeva sia la fase relativa alla redazione del progetto esecutivo che quella intercorsa tra il recesso della committente e lo smontaggio del cantiere, ha richiamato l’opinione del c.t.u., secondo cui la causa della sospensione era costituita dalle difficoltà incontrate nella redazione del progetto esecutivo, in conseguenza delle carenze di quello definitivo, mentre non erano chiare le ragioni del prolungamento della stessa in epoca successiva alla consegna del progetto: ha quindi accolto la domanda limitatamente al primo periodo, mentre l’ha rigettata con riguardo al secondo, osservando che lo scioglimento del vincolo contrattuale aveva fatto venir meno ogni aspettativa dell’appaltatore e la stessa necessità di mantenere i mezzi e l’organizzazione dedicati al cantiere. Precisato che la Regione aveva ripetutamente sollecitato lo smantellamento del cantiere e il rilascio delle aree dallo stesso occupato, ha ritenuto che lo stesso non avesse avuto luogo non già per mancanza di disposizioni della direzione dei lavori, ma per difetto di collaborazione da parte dell’appaltatrice.
In riferimento alla riserva n. 1G, riguardante i maggiori oneri derivanti dalla necessità di apportare modifiche al progetto definitivo, la Corte ha ritenuto incontestata l’imputabilità degli stessi all’Amministrazione, riconoscendo quindi le spese ritenute pertinenti dal c.t.u. e documentate dall’attrice.
Con riguardo alla riserva n. 4, avente ad oggetto il riconoscimento del 10% dell’importo dei lavori non eseguiti e degli oneri sopportati per l’espianto del cantiere e per l’allestimento delle attrezzature e del cantiere finalizzati all’esecuzione dei lavori non eseguiti, ha confermato il rigetto della domanda, dando atto per un verso dell’avvenuto scioglimento del rapporto per effetto del recesso della stazione appaltante e della mancata proposizione di una domanda di risoluzione per inadempimento da parte dell’appaltatrice, ed osservando per altro verso che in tema di appalto integrato l’art. 140 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, nel disciplinare il recesso ad nutum del committente, deroga espressamente alla disposizione di cui all’art. 122, che prevede il pagamento del decimo delle opere non eseguite; ha escluso inoltre l’applicabilità dell’art. 25, commi quarto e quinto, della legge n. 109 del 1994, riguardanti le varianti che si rendano necessarie in conseguenza di errori od omissioni del progetto esecutivo, e dell’art. 10, comma ottavo, del d.m. 19 aprile 2000, n. 145, il quale non prevede la corresponsione di una percentuale fissa in favore dell’appaltatore.
Quanto, infine, alle riserve nn. 4.3 e 4.4, riguardanti l’espianto del cantiere e l’impianto delle attrezzature finalizzate all’esecuzione dei lavori non realizzati, la Corte, pur riconoscendo che in caso di esecuzione dell’appalto, il relativo costo avrebbe potuto essere spalmato sui compensi relativi a tutte le opere pattuite, ha rilevato che non era stata fornita una prova sicura degli oneri sopportati dall’attrice, non essendo stato dimostrato che la stessa avesse allestito un cantiere dimensionato per l’esecuzione di tutte le opere contrattuali.
Precisato infine che le riserve riguardanti l’anomalo andamento dell’appalto avevano ad oggetto crediti di natura risarcitoria, ha ritenuto che sugli importi liquidati a tale titolo spettassero all’attrice la rivalutazione monetaria e gl’interessi legali sull’importo rivalutato, escludendo invece la spettanza degl’interessi anatocistici.
Avverso la predetta sentenza la Regione ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, illustrati anche con memoria. L’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale, articolato in cinque motivi ed anch’esso illustrato con memoria.
Il ricorso, avviato alla trattazione in camera di consiglio, è stato rimesso alla pubblica udienza, con ordinanza interlocutoria del 10 maggio 2023, essendosi rilevata l’insussistenza di precedenti specifici in ordine alla figura dello appalto integrato, ed essendo stato ritenuto necessario un approfondimento in contraddittorio delle questioni sollevate dalle parti, con l’acquisizione anche del parere del Pubblico Ministero.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, la Regione denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 140, commi primo e secondo, 25 e 26 del d.P.R. n. 554 del 1999 e dell’art. 16, commi quarto e quinto, della legge n. 109 del 1994, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la redazione del progetto definitivo imponesse l’effettuazione di indagini e studi specialistici, senza considerare che la stessa è stata prevista dalla legge in via meramente eventuale. Sostiene che in tal modo la Corte territoriale ha finito per estendere al progetto definitivo i principi dell’immediata cantierabilità del progetto e dell’intrasferibilità del rischio in capo all’appaltatore, riferibili invece al progetto esecutivo, per l’ipotesi in cui lo stesso sia predisposto dalla stazione appaltante. Tali principi non erano applicabili alla fattispecie in esame, qualificabile come appalto integrato, nell’ambito del quale il progetto esecutivo dev’essere predisposto dall’impresa appaltatrice, ferma restando la facoltà, attribuita dal comma secondo dell’art. 140 cit. al responsabile del procedimento, di chiedere l’effettuazione di studi ed indagini di maggior dettaglio rispetto a quelli utilizzati per la redazione del progetto definitivo.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., sostenendo che, nel ritenere che la redazione del progetto definitivo presupponesse l’effettuazione degli scavi e delle indagini archeologiche, la sentenza impugnata non ha tenuto
conto del tenore letterale dell’art. I.2 del capitolato d’appalto, che poneva gli stessi a carico dell’appaltatrice, quali interventi strumentali e prodromici alla redazione del progetto esecutivo.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1366 cod. civ., osservando che, nell’interpretazione del contratto, la sentenza impugnata ha ampliato ingiustificatamente l’oggetto della prestazione dovuta dall’Amministrazione, restringendo invece quello della prestazione dovuta dall’appaltatrice, senza considerare che quest’ultima era perfettamente a conoscenza dei lavori preliminari da realizzare, descritti nella relazione tecnica AVV_NOTAIO allegata al progetto definitivo, aveva esaminato tale progetto in vista della partecipazione alla gara, aveva effettuato i sopralluoghi necessari ed aveva proposto i prezzi più opportuni per le lavorazioni da eseguire, senza esprimere alcuna riserva in ordine alla progettazione definitiva.
Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1206 cod. civ., sostenendo che, nel ricollegare l’obbligo di svolgere indagini e studi specialistici al dovere di collaborazione gravante sul committente, la sentenza impugnata non ha considerato che nel contratto d’appalto tale dovere non riveste un rilievo autonomo, ma è funzionale all’esecuzione della prestazione da parte dell’appaltatore, e non è quindi riferibile all’appalto integrato, nel quale l’appaltatore è tenuto a predisporre un progetto esecutivo tecnicamente valido, effettuando tutte le ricerche e le indagini necessarie, all’esito delle quali soltanto, ove emergano carenze progettuali, il dovere di cooperazione impone all’Amministrazione di provvedere alla loro eliminazione. Premesso che già in sede di gara era stata richiesta all’appaltatrice l’esecuzione dei lavori preliminari indispensabili per la redazione di un progetto esecutivo immediatamente cantierabile, i quali costituivano quindi parte integrante della prestazione pattuita, rileva che a seguito degli scavi archeologici era emersa la necessità di predisporre una variante, nell’ambito della quale era stata prevista la remunerazione di tale attività.
Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha compensato per la metà le spese di entrambi i gradi di
giudizio, ponendo il residuo a carico di essa ricorrente, sulla base del principio di causalità, senza considerare che, nonostante la sua soccombenza in ordine alla questione riguardante la natura dell’appalto integrato, la domanda era stata accolta in misura pari a un decimo circa della somma richiesta dall’attrice.
Con il primo motivo del ricorso incidentale, l’RAGIONE_SOCIALE denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto infondate le pretese di cui alle riserve nn. 1A, 1E, 1F, senza tenere conto della corrispondenza tra gl’importi richiesti e quelli risultanti dalle fatture, della riconducibilità dell’attività svolta in parte allo scavo archeologico ed in parte ad altre attività collegate, e della presenza dell’attrezzatura nel cantiere.
Con il secondo motivo, la controricorrente deduce la violazione degli artt. 116 e 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. e dell’art. 1226 cod. civ., nonché il travisamento delle risultanze processuali e l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nel ritenere insufficiente la documentazione prodotta al riguardo, la Corte territoriale si è immotivatamente discostata dalla valutazione compiuta dal c.t.u., il quale l’aveva analiticamente esaminata e descritta nella propria relazione, evidenziando tra l’altro che la direzione dei lavori aveva omesso di procedere alla ricognizione prevista dall’art. 133 del d.P.R. n. 554 del 1999. Aggiunge che, nell’escludere la sussistenza dei presupposti necessari per una liquidazione equitativa, la sentenza impugnata è incorsa in contraddizione, avendo contemporaneamente riconosciuto la fondatezza della domanda sotto il profilo dell’ an debeatur . Afferma infine che la Corte territoriale ha travisato le risultanze delle prove testimoniali assunte, le quali confermavano le valutazioni compiute dal c.t.u.
Con il terzo motivo, la controricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto infondate le pretese di cui alle riserve nn. 1C, 4.3 e 4.4, senza tenere conto dell’unicità del contratto, dell’avvenuta esecuzione anche di lavori diversi dallo scavo archeologico e della contabilizzazione degli stessi da parte del direttore dei lavori, da cui poteva desumersi anche
l’allestimento del relativo cantiere e l’utilizzazione del personale e delle attrezzature.
Con il quarto motivo, la controricorrente denuncia la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, pur avendo dato atto del rallentamento subìto dai lavori a causa del protrarsi dello scavo archeologico, ha ritenuto immotivatamente infondate le pretese di cui alle riserve 1A, 1C, 4.3 e 4.4.
Con il quinto motivo, la controricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 140 del d.P.R. n. 554 del 1999, dell’art. 25, commi quarto e quinto, della legge n. 109 del 1994 e dell’art. 12, primo e secondo comma, disp. prel. cod. civ., nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, nonostante il recesso dell’Amministrazione dal contratto di appalto, ha ritenuto infondata la pretesa di cui alla riserva n. 4. Premesso che, nel deliberare il recesso, la Regione aveva riconosciuto la realizzabilità del progetto, ritenendolo però eccessivamente oneroso, salvo poi porre a base della nuova gara un progetto molto simile nella parte strutturale, sostiene che la fattispecie non era riconducibile all’art. 140, comma settimo, del d.P.R. n. 554 del 1999, relativo all’ipotesi in cui il compimento dell’opera appaltata sia ritenuto non più utile, ma all’art. 25, comma quarto, della legge n. 109 del 1994, applicabile in via analogica, in quanto riguardante l’approvazione di varianti in corso d’opera eccedenti il quinto dell’importo originario del contratto: il progetto definitivo predisposto dalla Regione presentava infatti errori ed omissioni che avevano imposto l’adozione di varianti al progetto esecutivo, la cui entità aveva indotto l’Amministrazione a recedere dal contratto.
I primi tre motivi del ricorso principale, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto la comune problematica riguardante la riconducibilità degli studi e dei sondaggi preliminari alla fase della progettazione definitiva, e la conseguente imputabilità alla committente dei maggiori oneri sostenuti dall’appaltatrice per il ritardo nell’esecuzione dei lavori cagionato dalla presenza di reperti archeologici nel sottosuolo, sono infondati.
E’ infatti pacifico che il contratto stipulato tra le parti prevedeva un ap-
palto integrato, la cui caratteristica essenziale consiste, ai sensi dell’art. 19, comma primo, lett. b) , della legge n. 109 del 1994, nella circostanza che, a differenza di quanto accade ordinariamente, la prestazione dell’appaltatore comprende, oltre alla esecuzione dei lavori, anche la progettazione esecutiva, con la conseguenza che l’affidamento ha luogo, ai sensi del comma 1bis del medesimo articolo, attraverso una gara indetta sulla base del progetto definitivo predisposto dall’ente committente. La distinzione tra progetto definitivo e progetto esecutivo è prevista dall’art. 16 della legge n. 109, ai sensi del quale il primo «individua compiutamente i lavori da realizzare, nel rispetto delle esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabiliti nel progetto preliminare e contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni ed approvazioni» (comma quarto), mentre il secondo «determina in ogni dettaglio i lavori da realizzare ed il relativo costo previsto e deve essere sviluppato ad un livello di definizione tale da consentire che ogni elemento sia identificabile in forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo» (comma quinto). Più specificamente, il progetto definitivo «consiste in una relazione descrittiva dei criteri utilizzati per le scelte progettuali, nonché delle caratteristiche dei materiali prescelti e dell’inserimento delle opere sul territorio; nello studio di impatto ambientale ove previsto; in disegni generali nelle opportune scale descrittivi delle principali caratteristiche delle opere, delle superfici e dei volumi da realizzare, compresi quelli per l’individuazione del tipo di fondazione; negli studi ed indagini preliminari occorrenti con riguardo alla natura ed alle caratteristiche dell’opera; nei calcoli preliminari delle strutture e degli impianti; in un disciplinare descrittivo degli elementi prestazionali, tecnici ed economici previsti in progetto nonché in un computo metrico estimativo» (comma quarto), mentre quello esecutivo «è costituito dall’insieme delle relazioni, dei calcoli esecutivi delle strutture e degli impianti e degli elaborati grafici nelle scale adeguate, compresi gli eventuali particolari costruttivi, dal capitolato speciale di appalto, prestazionale o descrittivo, dal computo metrico estimativo e dall’elenco dei prezzi unitari» (comma quinto). L’oggetto degli studi e le indagini preliminari necessari ai fini della redazione del progetto definitivo è poi individuato dallo ultimo periodo del comma quarto, che li identifica esemplificativamente in
quelli di tipo geognostico, idrologico, sismico, agronomico, biologico, chimico, i rilievi e i sondaggi», precisando che essi devono essere «condotti fino ad un livello tale da consentire i calcoli preliminari delle strutture e degli impianti e lo sviluppo del computo metrico estimativo», mentre il penultimo periodo del comma quinto dispone che il progetto esecutivo deve essere «redatto sulla base degli studi e delle indagini compiuti nelle fasi precedenti e degli eventuali ulteriori studi ed indagini, di dettaglio o di verifica delle ipotesi progettuali, che risultino necessari e sulla base di rilievi planoaltimetrici, di misurazioni e picchettazioni, di rilievi della rete dei servizi del sottosuolo».
Può quindi affermarsi che, in linea AVV_NOTAIO, gli studi e le indagini preliminari (tra i quali vanno certamente inclusi quelli di tipo archeologico, ove l’area interessata dall’esecuzione dei lavori rivesta un siffatto interesse) rientrano nella fase della progettazione definitiva, demandata in ogni caso all’ente committente, e devono raggiungere un livello di definizione tale da consentire, oltre alla compiuta individuazione dei lavori da realizzare, l’elaborazione dei calcoli strutturali e lo sviluppo del computo metrico estimativo, anch’essi spettanti al committente: i relativi risultati devono essere infatti riportati in apposite relazioni, che devono essere allegate al progetto definitivo, ai sensi degli artt. 27 e 28 del d.P.R. n. 554 del 1999, unitamente ai calcoli preliminari ed al computo metrico, e devono indicare le soluzioni da adottare in sede di progettazione esecutiva. Quest’ultima fase, che nell’appalto integrato è demandata all’appaltatore, deve invece condurre alla dettagliata individuazione dei lavori da realizzare e del relativo costo, a un livello di precisione tale da consentire la predisposizione di un progetto immediatamente cantierabile, cioè non bisognoso di ulteriori specificazioni, in quanto contenente una puntuale e dettagliata descrizione dell’opera, con l’indicazione dei prezzi dei materiali e delle lavorazioni necessari per la sua realizzazione (cfr. Cass., Sez. I, 9/11/2018, n. 28799; 31/05/2012, n. 8779). Ciò non esclude la possibilità di ordinare all’appaltatore l’effettuazione di ulteriori studi o indagini, di dettaglio o di verifica delle ipotesi progettuali, espressamente previsti dall’art. 16 cit. e dall’art. 140, comma secondo, del d.P.R. n. 554 del 1999, il quale attribuisce la relativa facoltà al responsabile del procedimento, ove ne ravvisi la necessità, precisando che l’esecuzione degli stessi non comporta il riconoscimento
di alcun compenso aggiuntivo in favore dell’appaltatore. La regola, tuttavia, è che l’effettuazione dei predetti studi e indagini precede la redazione del progetto esecutivo, essendo funzionale alla predisposizione di quello definitivo, rispetto al quale, d’altronde, l’art. 140, comma terzo, del d.P.R. n. 554 stabilisce che il progetto esecutivo non può prevedere alcuna variazione della qualità o delle quantità dei lavori: tale principio, come correttamente osservato dalla Corte territoriale, opera non soltanto a tutela dell’ente committente, imponendo all’appaltatore di attenersi al progetto definitivo nella redazione di quello esecutivo, ma anche a tutela dell’appaltatore, impedendo di porre a suo carico l’esecuzione di lavori non contemplati dal progetto definitivo, nonché a garanzia della par condicio tra i partecipanti alla gara per l’aggiudicazione dell’appalto, escludendo la possibilità di una successiva modificazione delle condizioni previste dal bando, determinate proprio sulla base del progetto definitivo. Alla predetta regola fanno eccezione soltanto le ipotesi nelle quali il comma quarto dell’art. 140 cit. consente di apportare varianti al progetto esecutivo, le quali comprendono, oltre ai mutamenti successivi della situazione di fatto e di diritto, la sopravvenienza di cause impreviste ed imprevedibili (tra le quali, com’è noto, la giurisprudenza di legittimità include anche la c.d. sorpresa archeologica: cfr. Cass., Sez. I, 5/02/2016, n. 2316; 17/02/2014, n. 3670; 14/05/2005, n. 10133), come tali non imputabili ad alcuna delle parti, e il successivo riscontro di errori od omissioni del progetto definitivo (tra i quali il comma 5bis dell’art. 25 della legge n. 109 del 1994 annovera l’inadeguata valutazione dello stato di fatto e la violazione delle norme di diligenza nella predisposizione degli elaborati progettuali), che, in quanto ascrivibili alla parte che lo ha predisposto, possono giustificare l’affermazione di responsabilità dell’ente committente.
Alla stregua di tale disciplina, non merita censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che gli studi e i sondaggi volti ad accertare l’eventuale presenza di manufatti o reperti d’interesse archeologico nel sottosuolo dell’area interessata dai lavori dovessero essere effettuati dalla Regione nell’ambito delle operazioni preliminari preordinate alla redazione del progetto definitivo, concludendo pertanto che la mancata effettuazione degli stessi costituiva inadempimento del dovere di cooperazione all’adempimento
del contratto di appalto, idoneo a giustificare la condanna della committente al risarcimento dei maggiori oneri sopportati dall’appaltatrice per il ritardo nell’esecuzione dei lavori determinato dai predetti ritrovamenti. Considerato infatti che, come rilevato dalla Corte territoriale, l’opera commissionata alla RAGIONE_SOCIALE consisteva nel restauro e nel recupero di un complesso edilizio risalente al medioevo e presumibilmente insistente su strutture murarie ancor più antiche, eventualmente contenenti manufatti d’interesse storico-archeologico, deve ritenersi che i predetti sondaggi rientrassero tra gli studi e le indagini preliminari richiesti dalla natura e dalle caratteristiche dell’opera, che l’art. 16, comma quarto, della legge n. 109 del 1994 include nella fase della progettazione definitiva, ponendone l’effettuazione a carico dell’ente committente. E’ pur vero che, come accertato dalla sentenza impugnata, l’art. I.2 del contratto di appalto poneva a carico dell’appaltatrice «la demolizione delle superfetazioni, lo scavo di splateamento AVV_NOTAIO del cortile, lo scavo archeologico, nonché le campagne di monitoraggio ambientale, i sondaggi e i saggi stratigrafici», da effettuarsi prima della redazione del progetto esecutivo: tale clausola è stata tuttavia intesa dalla Corte territoriale, in coerenza con la struttura dell’appalto integrato e con il dettato dell’art. 16, comma quinto, della legge n. 109 del 1994 e dell’art. 140, comma secondo, del d.P.R. n. 554 del 1999, nel senso dell’imposizione a carico dell’appaltatrice dell’obbligo di procedere esclusivamente alle ulteriori indagini ritenute necessarie per l’ingegnerizzazione del progetto definitivo, senza che ciò comportasse il sovvertimento della quantità e qualità delle opere previste dal contratto. Tale ricostruzione della comune intenzione delle parti non si pone in alcun modo in contrasto con gli artt. 1362 e 1363 cod. civ., risultando perfettamente compatibile con il significato letterale delle espressioni usate, individuato alla luce del quadro normativo vigente all’epoca della stipulazione ed alla causa concreta dell’appalto integrato, contraddistinta da una precisa ripartizione dei compiti relativi alla progettazione dell’opera pubblica: è noto d’altronde che, nell’interpretazione del contratto, il carattere prioritario dell’elemento letterale non deve essere inteso in senso assoluto, giacché il richiamo dell’art. 1362 cod. civ. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici, anche laddove il testo dell’ac-
cordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti (cfr. Cass., Sez. I, 2/07/2020, n. 13595; 28/06/2017, n. 16181; Cass., Sez. III, 26/07/2019, n. 20294). Nessun rilievo può invece attribuirsi, a fronte della chiara manifestazione di volontà desunta dal tenore letterale della clausola in esame, al comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla stipulazione, trattandosi di un criterio ermeneutico che, in riferimento ai contratti per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam , come quelli stipulati dagli enti pubblici, è utilizzabile esclusivamente in caso d’incertezza, al fine di chiarire il contenuto del contratto per come desumibile dal testo, e non anche per integrare la portata e la rilevanza giuridica della dichiarazione negoziale (cfr. Cass., Sez. II, 15/05/2018, n. 11828; 7/ 06/2011, n. 12297; 4/06/2002, n. 8080).
12. E’ parimenti infondato il quarto motivo, con cui la ricorrente fa valere l’obbligo dell’appaltatrice di effettuare gli studi e le indagini necessari per la predisposizione di un progetto esecutivo tecnicamente valido ed immediatamente cantierabile, indipendentemente dal dovere di cooperazione gravante su essa committente, funzionale all’esecuzione della prestazione da parte dell’appaltatrice.
Come si è detto, infatti, l’appalto integrato si caratterizza, rispetto ad altri sistemi di realizzazione delle opere pubbliche, per la ripartizione dei compiti relativi alla progettazione dell’opera tra l’ente committente e l’appaltatore, ed in particolare per l’imposizione a carico di quest’ultimo dell’obbligo di provvedere alla redazione del progetto esecutivo, attenendosi alle indicazioni risultanti dal progetto definitivo predisposto dal primo, senza poter introdurre variazioni nella qualità o nella quantità dei lavori. L’effettuazione degli studi e delle indagini preliminari, inserendosi nella fase della progettazione definitiva, non costituisce oggetto del dovere di cooperare all’adempimento dell’appaltatore, gravante sull’ente committente ai sensi dell’art. 1206 cod. civ., ma di un preciso obbligo dello stesso, previsto dall’art. 16, comma quarto, della legge n. 109 del 1994, e non trasferibile a carico dell’appaltatore, il quale, ai sensi del comma quinto dell’art. 16, deve provvedere esclusivamente agli studi e alle indagini di dettaglio o di verifica che risultino necessari per la specifica individuazione dei lavori da realizzare e per la determinazione del
costo previsto, che costituiscono la finalità del progetto esecutivo. In quest’ottica, non può ritenersi corretto il riferimento della sentenza impugnata al dovere di cooperazione del committente, costituente espressione dell’obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto, che, atteggiandosi come impegno od obbligo di solidarietà, impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere di neminem laedere , siano idonei a preservare gl’interessi dell’altra parte, senza un apprezzabile sacrificio a suo carico (cfr. Cass., Sez. III, 7/06/2006, n. 13345; Cass. Sez. II, 18/10/2004, n. 20399; Cass., Sez. lav., 8/02/1999, n. 1078). Più appropriato risulta invece il richiamo della Corte territoriale al carattere imperativo delle norme che, in materia di appalto di opere pubbliche, disciplinano l’attività di progettazione, la cui rispondenza a finalità pubblicistiche ne esclude la derogabilità da parte dei contraenti, se non nei casi e nei modi previsti dalle medesime disposizioni (cfr. Cass., Sez. I, 12/08/2010, n. 18644): uno di questi modi è costituito proprio dall’appalto integrato, il quale, comportando una ripartizione dei compiti di progettazione tra l’appaltatore e l’ente committente, si traduce in una deroga al principio operante in materia di opere pubbliche, secondo cui l’Amministrazione ha l’obbligo, integrativo delle pattuizioni contrattuali ed intrasferibile all’appaltatore, di predisporre un progetto esecutivo immediatamente cantierabile (cfr. Cass., Sez. I, 9/11/ 2018, n. 28799; 31/05/2012, n. 8779). Il carattere derogatorio della disciplina dettata dall’art. 19, comma primo, lett. b) , della legge n. 109 del 1994, imponendone un’interpretazione restrittiva, esclude la possibilità di porre a carico dell’appaltatore l’effettuazione degli studi e delle indagini preliminari, che, costituendo un adempimento indispensabile per la compiuta individuazione dell’opera da realizzare, non può aver luogo successivamente alla redazione del progetto definitivo, come accaduto nel caso in esame, risultando altrimenti impossibile la predisposizione di un progetto esecutivo che non preveda modificazioni alla qualità ed alla quantità dei lavori da eseguire, e determinandosi anche un’alterazione della gara per l’aggiudicazione dell’appalto, il cui svolgimento sulla base di un’inadeguata rappresentazione dell’opera impedirebbe ai partecipanti di formulare offerte attendibili.
Non merita dunque consenso la tesi sostenuta dalla difesa della Regione,
secondo cui l’obbligo di predisporre un progetto esecutivo tecnicamente valido ed immediatamente cantierabile avrebbe imposto all’appaltatrice di effettuare gli studi e le indagini volti ad accertare l’eventuale presenza di manufatti o reperti d’interesse archeologico nel sottosuolo dell’area interessata dai lavori, spettando all’Amministrazione il compito d’intervenire, in adempimento del proprio dovere di collaborazione all’adempimento, soltanto nel caso in cui fossero emerse carenze progettuali. In quanto determinate dall’omissione degli studi e delle indagini preliminari da effettuarsi nella fase di progettazione definitiva, le carenze del progetto esecutivo che hanno determinato il ritardo nell’esecuzione dei lavori non erano infatti imputabili all’appaltatrice, ma all’ente committente, venuto meno all’obbligo, specificamente posto a suo carico dalla legge, di provvedere ai predetti studi ed indagini, indipendentemente da quelli di dettaglio o di verifica successivamente spettanti all’appaltatrice nella fase della progettazione esecutiva.
Non merita infine accoglimento neppure il quinto motivo, avente ad oggetto la condanna della ricorrente al pagamento della metà delle spese processuali, a fronte dell’intervenuto accoglimento della domanda dell’appaltatrice in misura pari a un decimo della somma richiesta.
Ai fini del regolamento delle spese processuali, la sentenza impugnata ha infatti evidenziato l’intervenuto accoglimento della domanda proposta dall’attrice, sia pure in misura molto ridotta rispetto a quella indicata nell’atto di citazione in primo grado e nello stesso atto di appello, e la soccombenza della convenuta in ordine alla questione principale, costituita dall’individuazione della parte obbligata a provvedere alle indagini archeologiche, nonché in ordine alla domanda riconvenzionale di condanna al pagamento della penale per il ritardo nella consegna del progetto esecutivo.
Il criterio adottato dalla Corte territoriale si pone perfettamente in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’individuazione della parte soccombente deve aver luogo attraverso una valutazione globale ed unitaria, riguardante l’esito complessivo della controversia, piuttosto che il risultato dei singoli gradi di giudizio, e ciò anche nel caso in cui il giudice ritenga di dover pervenire alla compensazione parziale delle spese di lite, condannando una delle parti al pagamento del residuo, in considerazione
del parziale accoglimento della domanda e della sua prevalente soccombenza (cfr. Cass., Sez. II, 25/03/2022, n. 9785; Cass., Sez. VI, 13/03/2013, n. 6369; Cass., Sez. III, 23/08/2011, n. 17253). Nella specie, d’altronde, la compensazione trova giustificazione nella reciproca soccombenza delle parti, derivante per un verso dall’accoglimento soltanto parziale della domanda dell’attrice, articolata in più capi, corrispondenti alle riserve formulate nel corso del rapporto, e per altro verso dal rigetto della domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta (cfr. Cass., Sez. Un., 31/10/2022, n. 32061; Cass., Sez. III, 15/05/2023, n. 13212), mentre la valutazione delle proporzioni della soccombenza e la determinazione delle quote in cui le spese processuali devono essere ripartite tra le parti costituiscono espressione di un potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio è sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità tra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (cfr. Cass., Sez. VI, 26/05/2021, n. 14459; Cass., Sez. II, 20/12/ 2017, n. 30592).
14. Passando quindi all’esame del ricorso incidentale, sono inammissibili i primi quattro motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto la valutazione compiuta dalla Corte territoriale in ordine alla fondatezza delle pretese avanzate dall’attrice mediante le riserve formulate nel corso del rapporto.
Il rigetto delle pretese avanzate dall’attrice con le riserve indicate trova infatti giustificazione in un’ampia e coerente motivazione, nella quale la Corte territoriale ha proceduto ad uno scrupoloso approfondimento delle risultanze istruttorie, richiamando per un verso gli accertamenti compiuti dal c.t.u. e la corrispondenza intercorsa tra la direzione dei lavori e l’appaltatrice e per altro verso la documentazione contabile prodotta da quest’ultima, sulla base delle quali ha di volta in volta ritenuto insussistente il diritto al riconoscimento dei maggiori oneri lamentati o non provato il relativo ammontare. Nel censurare tale apprezzamento, la controricorrente non è in grado d’indicare elementi di fatto emersi dal dibattito processuale e indebitamente trascurati dalla sentenza impugnata, né lacune argomentative o carenze logiche del ragionamento seguito per giungere alla decisione, ma si limita ad insistere sulla va-
lenza probatoria di elementi puntualmente considerati dalla Corte territoriale, in tal modo dimostrando di voler sollecitare una diversa lettura degli atti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica del provvedimento impugnato, nonché la coerenza logico-formale della motivazione, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. ad opera dell’art. 54, comma primo, lett. b) , del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. I, 13/01/2020, n. 331; Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547). Tale disposizione, com’è noto, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico, consistente nella pretermissione di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione della controversia, escludendo pertanto la possibilità di far valere in sede di legittimità l’omesso o insufficiente esame di elementi istruttori, qualora il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. III, 11/04/ 2017, n. 9253). Al di fuori della predetta ipotesi, il sindacato di legittimità sulla motivazione risulta ormai ridotto al minimo costituzionale, in quanto limitato al riscontro dell’inosservanza dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., configurabile esclusivamente nei casi di mancanza della motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico oppure di mera apparenza, manifesta contraddittorietà, perplessità o incomprensibilità della motivazione, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr. Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. III, 12/10/2017, n. 23940; Cass., Sez. I, 4/04/2014, n. 7983). Tale vizio non può ritenersi validamente denunciato dalla controricorrente, la quale, nel lamentare l’immotivato dissenso della sentenza impugnata dalle conclusioni cui era pervenuto il c.t.u. e l’ingiustificato rigetto delle pretese di cui alle ri-
serve 1A, 1C, 4.3 e 4.4, non tiene conto dei puntuali rilievi formulati dalla Corte territoriale in ordine alla sufficienza della documentazione prodotta.
E’ invece infondato il quinto motivo, avente ad oggetto il mancato riconoscimento dell’indennizzo per i lavori non eseguiti a causa del recesso della Regione dal contratto di appalto.
Non può infatti condividersi la tesi sostenuta dalla difesa della controricorrente, secondo cui, in quanto determinato dall’eccessiva onerosità delle varianti apportate al progetto esecutivo per porre rimedio agli errori ed alle omissioni del progetto definitivo, il recesso dell’Amministrazione avrebbe dovuto essere assimilato ad una risoluzione per inadempimento della committente, con la conseguente applicabilità in via analogica della disciplina dettata dall’art. 25, comma quarto, della legge n. 109 del 1994, in luogo di quella prevista dall’art. 140, comma settimo, del d.P.R. n. 554 del 1999.
L’art. 25, comma quarto, cit. si riferisce all’ipotesi, prevista dal comma primo, lett. d) , in cui in corso d’opera si manifestino errori od omissioni del progetto esecutivo che pregiudichino, in tutto o in parte, la realizzazione della opera o la sua utilizzazione, disponendo che, ove le varianti necessarie per porvi rimedio eccedano il quinto dell’importo originario del contratto, il soggetto aggiudicatore procede alla risoluzione del contratto ed all’indizione di una nuova gara, alla quale è invitato anche l’aggiudicatario, cui è comunque riconosciuto l’importo dei lavori eseguiti, dei materiali utili e del 10% dei lavori non eseguiti, fino ai quattro quinti dell’importo del contratto. Tale disposizione, presupponendo che gli errori progettuali emergano nel corso dell’esecuzione dei lavori, che l’importo delle varianti ecceda un quinto di quello originario del contratto, e che il progetto esecutivo sia stato redatto dall’ente committente, al quale sono quindi imputabili gli errori riscontrati, riguarda una fattispecie completamente diversa da quella disciplinata dai commi sesto e settimo dell’art. 140: questi ultimi si riferiscono infatti specificamente all’appalto integrato, in cui la progettazione esecutiva è affidata all’appaltatore, e presuppongono che i lavori non abbiano ancora avuto inizio, disciplinando l’ipotesi in cui il progetto esecutivo non venga approvato; ove invece il progetto esecutivo sia stato approvato ed i lavori siano già in corso, trovano applicazione il comma quarto dell’art. 140, che tanto nelle ipotesi di cui all’art.
25 quanto in caso di errori od omissioni del progetto definitivo prevede la predisposizione di varianti al progetto esecutivo, con l’eventuale concordamento di nuovi prezzi, e il comma 1ter dell’art. 19 della legge n. 109 del 1994, che in caso di carenze del progetto esecutivo pone a carico dell’appaltatore la responsabilità per i ritardi e gli oneri conseguenti alla necessità d’introdurre le varianti.
I commi sesto e settimo dell’art. 140 cit. distinguono a loro volta tra il caso in cui la mancata approvazione del progetto esecutivo sia imputabile allo appaltatore, evidentemente per errori od omissioni a lui addebitabili, e quello in cui sia dovuta a qualsiasi altra causa, prevedendo nella prima ipotesi la risoluzione del contratto per inadempimento dell’appaltatore e nella seconda il recesso della stazione appaltante, senza subordinarli ad alcuna ulteriore condizione. In caso di risoluzione per inadempimento, il comma sesto non prevede alcun indennizzo in favore dell’appaltatore, mentre in caso di recesso il comma settimo consente, in deroga alla disciplina AVV_NOTAIO dettata dall’art. 122, il riconoscimento di quanto previsto dal capitolato AVV_NOTAIO per il caso (contemplato dall’art. 129, comma ottavo) di accoglimento dell’istanza di recesso presentata dall’appaltatore per il ritardo nella consegna dei lavori. La ratio della disciplina dettata dall’art. 140, comma settimo, è evidentemente diversa da quella della disciplina dettata dall’art. 25, comma quarto, consistendo nel riconoscimento di un indennizzo in favore dell’appaltatore per lo scioglimento del rapporto intervenuto in un momento in cui, non essendo giunta a compimento la fase di progettazione, i lavori non sono stati eseguiti neppure in parte: non a caso la norma in esame deroga espressamente alla disciplina dettata dall’art. 122 per il recesso della stazione appaltante, dichiarando applicabile quella prevista dal capitolato AVV_NOTAIO, analogamente a quanto disposto dall’art. 129, comma ottavo. La specificità di tale disciplina trova d’altronde conferma nell’art. 9 del d.m. n. 145 del 2000, recante il capitolato AVV_NOTAIO d’appalto dei lavori pubblici, il quale, nel prevedere, per entrambe le ipotesi, il diritto dell’appaltatore al rimborso delle spese contrattuali e delle altre spese effettivamente sostenute e documentate, in misura non superiore a determinate percentuali dell’importo netto dell’appalto, precisa che nell’appalto integrato l’appaltatore ha altresì diritto al rimborso delle
spese del progetto esecutivo nell’importo quantificato nei documenti di gara e depurato del ribasso offerto.
Non merita dunque censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, dato dell’avvenuto recesso della Regione dal contratto di appalto per mancata approvazione del progetto esecutivo, e rilevato inoltre che i lavori non avevano avuto ancora inizio, ha escluso l’operatività della disciplina dettata dallo art. 25, comma quarto, della legge n. 109 del 1994, ritenendo invece applicabile quella di cui all’art. 140, comma settimo, del d.P.R. n. 145 del 1999, in conformità della quale ha affermato che all’appaltatrice non spettava l’ulteriore indennizzo pari al decimo dell’importo dei lavori non eseguiti.
Entrambi i ricorsi vanno pertanto rigettati, con l’integrale compensazione delle spese processuali, avuto riguardo alla reciproca soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa integralmente le spese processuali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e il ricorso incidentale dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 31/01/2024