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Appalto illecito: quando scatta la clausola sociale?

Due lavoratori di una cooperativa hanno citato in giudizio la società committente, sostenendo un’ipotesi di appalto illecito di manodopera. Il Tribunale del Lavoro ha respinto la domanda principale, ritenendo l’appalto genuino poiché il potere direttivo era esercitato dalla cooperativa. Tuttavia, ha accolto la domanda subordinata per uno dei due lavoratori, applicando una clausola sociale presente nel contratto d’appalto che obbligava la committente ad assumere il personale rientrante nella quota d’obbligo. Di conseguenza, è stato dichiarato il diritto del lavoratore protetto all’assunzione diretta presso la società committente.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Appalto Illecito e Clausola Sociale: La Decisione del Tribunale del Lavoro

La distinzione tra un appalto di servizi genuino e un appalto illecito di manodopera è una delle questioni più delicate nel diritto del lavoro. Una recente sentenza del Tribunale di Milano offre un’analisi dettagliata, respingendo l’accusa di intermediazione illecita ma, al contempo, applicando una “clausola sociale” a tutela di uno dei lavoratori. Vediamo come il giudice ha bilanciato gli interessi in gioco.

I Fatti di Causa

Due lavoratori, formalmente assunti come soci-lavoratori da una cooperativa operante nel settore dei call center, hanno agito in giudizio contro una grande società committente di servizi di telecomunicazioni. I ricorrenti sostenevano che, nonostante il loro contratto fosse con la cooperativa, i poteri direttivi, organizzativi e disciplinari fossero di fatto esercitati dalla società committente. Chiedevano, quindi, che venisse accertato un appalto illecito e che il loro rapporto di lavoro fosse costituito direttamente con la committente fin dalla data di assunzione originaria.

In subordine, i lavoratori invocavano l’applicazione di una clausola sociale contenuta nel contratto d’appalto, che prevedeva l’obbligo di assunzione del personale da parte della committente in caso di cessazione del contratto stesso. La società committente si è difesa contestando la fondatezza di entrambe le domande, sostenendo la genuinità dell’appalto e l’inapplicabilità delle clausole invocate.

La Questione dell’Appalto Illecito e l’Analisi del Tribunale

Il cuore della controversia sull’appalto illecito risiede nell’individuazione del soggetto che esercita concretamente il potere direttivo sui lavoratori. Il Tribunale ha esaminato approfonditamente le testimonianze raccolte durante il processo per determinare se il potere datoriale fosse rimasto in capo alla cooperativa (appaltatore) o fosse stato di fatto esercitato dalla committente.

Dalle dichiarazioni è emerso che:
– Gli operatori della cooperativa lavoravano in sedi separate da quelle della committente.
– Le direttive quotidiane, l’organizzazione dei turni e la distribuzione del carico di lavoro erano gestite dai team leader della cooperativa.
– I lavoratori facevano riferimento ai propri team leader per richieste di ferie, permessi e per la risoluzione di problemi operativi.
– La committente forniva indicazioni sul volume di lavoro da svolgere e sulle procedure operative da seguire, anche attraverso attività di formazione. Tuttavia, queste istruzioni venivano trasmesse ai team leader, che poi le giravano ai lavoratori.

Il giudice ha concluso che le ingerenze della committente rientravano nel normale coordinamento richiesto da un contratto di appalto genuino, dove il cliente ha il diritto di definire gli standard qualitativi e quantitativi del servizio. Non è stata provata un’ingerenza diretta e pervasiva tale da svuotare il ruolo datoriale della cooperativa. Di conseguenza, la domanda principale volta a dichiarare l’appalto illecito è stata respinta.

L’Applicazione Selettiva della Clausola Sociale

Se la domanda principale è stata rigettata, la sentenza ha preso una piega diversa analizzando la richiesta subordinata basata sulla clausola sociale. Il contratto d’appalto stipulato nel 2020 prevedeva chiaramente che, in caso di cessazione del contratto, la società committente si impegnava ad assumere “il personale in quota d’obbligo”.

Qui emerge la distinzione decisiva tra i due ricorrenti:
1. Un lavoratore rientrava nella quota d’obbligo, ovvero faceva parte delle categorie protette che le aziende sono tenute ad assumere per legge.
2. L’altro lavoratore, per sua stessa ammissione, non rientrava in tale quota.

Il Tribunale ha ritenuto la clausola chiara e direttamente applicabile, ma solo al lavoratore che ne possedeva i requisiti soggettivi. Pertanto, ha dichiarato il diritto di quest’ultimo ad essere assunto dalla società committente con decorrenza dalla data indicata, con il livello e le mansioni previste dal CCNL di riferimento.

Le motivazioni

La decisione del giudice si fonda su due pilastri. In primo luogo, per la configurabilità di un appalto illecito, non è sufficiente che il committente dia indicazioni generali sul servizio, ma è necessario che eserciti un potere direttivo diretto, capillare e continuo sui singoli lavoratori dell’appaltatore, sostituendosi di fatto al datore di lavoro formale. In questo caso, le prove hanno dimostrato che tale potere era rimasto saldamente nelle mani dei team leader della cooperativa.

In secondo luogo, le clausole sociali, pur avendo una fondamentale funzione di tutela dell’occupazione, devono essere interpretate secondo il loro tenore letterale. La clausola in esame limitava esplicitamente il suo campo di applicazione al solo “personale in quota d’obbligo”. Il giudice non ha potuto estenderne l’efficacia a lavoratori che non rientravano in tale specifica categoria, respingendo così la domanda del secondo ricorrente.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce che la genuinità di un appalto si valuta sulla base dell’esercizio concreto del potere direttivo e organizzativo. Le aziende committenti possono e devono fornire direttive per garantire la qualità del servizio, senza che ciò configuri automaticamente un appalto illecito. Al contempo, la pronuncia sottolinea l’importanza e l’efficacia delle clausole sociali come strumento di protezione dei lavoratori, ma ne circoscrive l’applicazione ai soli soggetti espressamente previsti dal contratto, evidenziando l’importanza di una redazione chiara e precisa di tali pattuizioni.

Quando un contratto di appalto di servizi è considerato genuino e non un appalto illecito?
Secondo la sentenza, un appalto è genuino quando il potere direttivo e organizzativo (organizzazione dei turni, assegnazione dei compiti, gestione quotidiana) è concretamente esercitato dall’impresa appaltatrice (in questo caso, la cooperativa) tramite le sue figure di riferimento, come i team leader. Le direttive della committente sulla qualità e quantità del servizio non configurano di per sé un appalto illecito.

La clausola sociale in un contratto di appalto si applica a tutti i lavoratori impiegati?
No. La sentenza chiarisce che la clausola sociale si applica solo alle categorie di lavoratori specificamente menzionate nella clausola stessa. Nel caso di specie, il diritto all’assunzione era riservato esclusivamente al “personale in quota d’obbligo”, escludendo quindi gli altri lavoratori impiegati nello stesso appalto.

Un lavoratore può ottenere l’assunzione diretta presso la società committente alla fine di un appalto?
Sì, ma solo se esiste una specifica “clausola sociale” nel contratto di appalto che lo preveda e se il lavoratore rientra nei requisiti soggettivi definiti da tale clausola. In assenza di una clausola del genere o se il lavoratore non vi rientra, non sorge un automatico diritto all’assunzione da parte del committente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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