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Appalto illecito: le somme non si detraggono

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 868/2024, ha stabilito un principio fondamentale in materia di appalto illecito. Se un rapporto di lavoro viene ricondotto al committente a seguito di un’interposizione fittizia di manodopera, quest’ultimo non può detrarre dalle retribuzioni dovute le somme che il lavoratore ha percepito lavorando per altri datori di lavoro nel periodo di illegittimo rifiuto della prestazione. La Corte ha chiarito che l’obbligazione del datore di lavoro ha natura retributiva e non risarcitoria, escludendo così l’applicazione del principio della ‘compensatio lucri cum damno’.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Appalto Illecito: Niente Sconto sulle Retribuzioni Se il Lavoratore Trova un Altro Impiego

In materia di appalto illecito, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale a tutela dei lavoratori. Quando viene accertata un’interposizione fittizia di manodopera, il datore di lavoro effettivo (il committente) è tenuto a corrispondere tutte le retribuzioni maturate dal momento in cui il lavoratore ha offerto la propria prestazione, anche se quest’ultimo ha percepito redditi da altri impieghi. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da una sentenza della Corte d’Appello che aveva condannato una società committente a versare a un lavoratore una somma considerevole a titolo di retribuzioni lorde. Tale obbligazione scaturiva dal precedente accertamento giudiziale di un appalto illecito, attraverso cui era stata mascherata una vera e propria somministrazione di manodopera.

In seguito alla sentenza che aveva dichiarato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato diretto con il committente, il lavoratore aveva messo a disposizione le proprie energie lavorative, ma l’azienda si era rifiutata di riceverle. Durante questo periodo, il lavoratore aveva svolto altre attività lavorative. La società committente, nel ricorrere in Cassazione, sosteneva di dover detrarre dall’importo dovuto le somme che il lavoratore aveva guadagnato altrove (il cosiddetto aliunde perceptum).

La Decisione della Cassazione sull’appalto illecito

La Suprema Corte ha respinto il ricorso dell’azienda, confermando integralmente la decisione dei giudici d’appello. Il Collegio ha chiarito che l’obbligo del datore di lavoro, che illegittimamente rifiuta la prestazione lavorativa offertagli, non ha natura risarcitoria, bensì retributiva. Questo passaggio è fondamentale per comprendere la logica della decisione.

Le Motivazioni: Retribuzione vs Risarcimento

La Cassazione, richiamando un orientamento consolidato e in particolare le Sezioni Unite (sent. n. 2990/2018), ha spiegato che la declaratoria di nullità dell’interposizione di manodopera fa sorgere un rapporto di lavoro a tutti gli effetti tra il lavoratore e il committente. Da questo rapporto discendono tutti gli obblighi tipici, primo fra tutti quello di pagare la retribuzione.

Quando il datore di lavoro si trova in una situazione di mora credendi (cioè rifiuta senza giustificato motivo di ricevere la prestazione), l’obbligo di corrispondere la retribuzione permane. Non si tratta di risarcire un danno, ma di adempiere a un’obbligazione contrattuale fondamentale, che trova la sua base nel sinallagma lavoro-retribuzione. Poiché l’impossibilità di lavorare è dovuta a un fatto imputabile al datore di lavoro, quest’ultimo non può essere esonerato dal pagamento.

Di conseguenza, non può trovare applicazione il principio della compensatio lucri cum damno, che è tipico delle obbligazioni risarcitorie. Tale principio consentirebbe di ‘scontare’ dal danno i vantaggi che il danneggiato ha ottenuto, ma qui non si parla di danno, bensì di retribuzione non pagata.

La Corte ha inoltre precisato che la norma del D.Lgs. 276/2003, che permette di scomputare i pagamenti effettuati dal somministratore/appaltatore formale, non può essere estesa per analogia ai pagamenti ricevuti da un qualsiasi altro datore di lavoro, estraneo al rapporto di appalto dichiarato illecito.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza consolida la tutela dei lavoratori coinvolti in fenomeni di appalto illecito. Le aziende committenti che beneficiano di manodopera tramite schemi fraudolenti non possono sperare di ridurre il proprio debito retributivo facendo leva su eventuali altre occupazioni trovate dal lavoratore. La decisione riafferma che il rifiuto di far lavorare un dipendente, il cui rapporto è stato accertato in giudizio, costituisce un inadempimento contrattuale che non degrada l’obbligo retributivo a un mero obbligo risarcitorio. Permettere il contrario significherebbe, di fatto, vanificare le conseguenze della nullità del contratto di appalto, consentendo a committente e appaltatore di proseguire nell’illecito senza subire le dovute conseguenze economiche.

In un caso di appalto illecito, il datore di lavoro effettivo può detrarre dalle retribuzioni dovute quanto il lavoratore ha guadagnato lavorando per altri?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che le somme percepite dal lavoratore per altri rapporti di lavoro non possono essere detratte. L’obbligazione del datore di lavoro ha natura retributiva e non risarcitoria, pertanto non si applica il principio della ‘compensatio lucri cum damno’.

Perché le somme che il datore di lavoro deve pagare sono considerate retribuzione e non risarcimento del danno?
Perché una volta accertato giudizialmente l’appalto illecito, si costituisce un rapporto di lavoro subordinato diretto tra il lavoratore e il committente. Il rifiuto del datore di lavoro di accettare la prestazione lavorativa offerta lo pone in una condizione di ‘mora credendi’, ma non estingue il suo obbligo fondamentale di pagare lo stipendio come corrispettivo del rapporto di lavoro in essere.

La norma che consente di detrarre i pagamenti effettuati dall’appaltatore formale si applica anche ai guadagni ottenuti da datori di lavoro terzi?
No. La disposizione normativa (art. 27 e 29 del D.Lgs. 276/2003) si riferisce specificamente ai pagamenti effettuati dal soggetto che era parte dell’appalto dichiarato illecito (l’appaltatore/somministratore formale). Non può essere estesa ai pagamenti ricevuti da qualsiasi altro datore di lavoro con cui il dipendente abbia avuto rapporti diversi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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