Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23926 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23926 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12528-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1791/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 25/11/2019 R.G.N. 524/2019;
Oggetto
Appalto illecito
R.G.N.12528/2020
COGNOME
Rep.
Ud 10/06/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/06/2025 dal Consigliere Dott. NOMECOGNOME
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Milano, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado che, in accoglimento del ricorso presentato da NOME COGNOME aveva dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza dal 19/01/2015 tra il predetto ed Eni S.p.A., in quanto risultava integrata ‘la fattispecie della somministrazione irregolare’;
il primo giudice aveva accertato che RAGIONE_SOCIALE aveva utilizzato il lavoratore ‘come proprio dipendente, pur essendo quest’ultimo alle formali dipendenze di un terzo non autorizzato alla somministrazione, ossia RAGIONE_SOCIALE, in quanto l’organizzazione del lavoro del COGNOME era ‘rimessa in via esclusiva a RAGIONE_SOCIALE tramite i suoi responsabili e, in particolare, nella persona di COGNOME Elena la quale esercitava il potere organizzativo e direttivo sul ricorrente, autorizzando di fatto anche ferie e permessi’;
aveva quindi condannato la società al pagamento in favore del lavoratore delle differenze retributive nella misura di euro 29.057,94 ed accessori, oltre a riammettere in servizio il COGNOME e a corrispondere in favore dello stesso le retribuzioni spettanti dalla data dell’interruzione del rapporto fino all’effettiva reintegrazione;
la Corte territoriale, per quanto qui ancora rilevi, ha respinto la tesi della società che auspicava ‘come conseguenza della violazione del divieto di somministrazione di manodopera la mera surrogazione, per il solo tempo restante fino al decorso
del termine, di un soggetto datoriale all’altro nella titolarità del rapporto con il lavoratore Sig. COGNOME
ha affermato invece che, ‘in ipotesi di illecita somministrazione di manodopera la sanzione prevista pacificamente dall’ordinamento è, al contrario, la nullità del contratto stipulato dalle parti e, pertanto, dello stesso termine apposto ad esso, con la conseguenziale costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato -la quale resta, comunque, la forma comune di rapporto di lavoro anche ex art. 1 del D. Lgs. n. 81/2015 -in capo all’effettivo utilizzatore della prestazione’;
la Corte ha anche confermato il rigetto della domanda di manleva formulata da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, formale datrice di lavoro;
per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE con tre motivi; hanno resistito con controricorso sia il RAGIONE_SOCIALE sia la RAGIONE_SOCIALE;
tutte le parti hanno comunicato memorie;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso possono essere esposti come da sintesi formulata dalla stessa parte ricorrente;
1.1. il primo denuncia: ‘Nullità della sentenza (art. 360 n. 4 c.p.c.). La sentenza gravata ha violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato stabilito dall’art. 112 c.p.c. laddove non si è pronunziata sul secondo motivo di appello proposto (in subordine) da RAGIONE_SOCIALE circa il risarcimento eventualmente spettante al ricorrente la cui quantificazione
doveva essere effettuata facendo ricorso all’art. 28 co. 2 del D.Lgs. 81/2015, analogamente al precedente art. 32, co. 5, L. n. 183/2010′;
1.2. il secondo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 28 co.2 del D.Lgs . 81/2015 (art. 360, n. 3). Sotto diverso profilo, la sentenza gravata appare viziata laddove ha proposto da RAGIONE_SOCIALE affermando che ‘la sentenza di primo grado merita integrale conferma’ (p. 11) anche nella parte in cui ha disatteso l ‘applicabilità al caso di specie dell’art. 28 co. 2 del D.Lgs . 81/2015 condannando RAGIONE_SOCIALEa corrispondere in favore del ricorrente le retribuzioni allo stesso spett anti sulla base dell’inquadramento riconosciuto dalla data di interruzione del rapporto di lavoro fino a quella di effettiva riammissione in servizio>’;
1.3. il terzo mezzo deduce: ‘In subordine, violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della L. 24.11.2010, n. 183 (art. 360, n. 3). Nel caso in cui dovesse ritenersi non applicabile nel caso di specie l’art. 28 co. 2 del D.Lgs . 81/2015 ratione temporis, la sentenza gravata appare in ogni caso viziata (cfr. art. 360, n. 3 c.p.c.) anche da violazione dell’art. 32, co. 5 della legge 183 del 2010 laddove ha che aveva disat teso l’applicabilità al cas o di specie della medesima norma condannando RAGIONE_SOCIALE ‘;
i motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto reciprocamente connessi e risultano infondati;
la Corte territoriale ha implicitamente quanto inequivocamente disatteso il motivo di gravame con cui si richiedeva
l’applicazione del più favorevole regime indennitario previsto prima dall’art. 32, comma 5, l. n. 183 del 2010 e, successivamente, dall’art. 28, comma 2, d. lgs. n. 81 del 2015; tanto hanno fatto i giudici del merito sul presupposto, condiviso da questa Corte, che laddove il giudice accerti, in caso di appalto illecito, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di chi ha utilizzato la prestazione, tale rapporto non può che costituirsi a tempo indeterminato sin dall’origine per intrinseca carenza dei requisiti pretesi dal d. lgs. n. 368 del 2001 ai fini della legittimità dell’apposizione del termine (tra molte: Cass. n. 6933 del 2012) e conseguente mancanza di ogni effetto del termine eventualmente apposto al contratto intercorso tra lavoratore e datore di lavoro solo formale;
ulteriore conseguenza è che non vi è in tali casi un fenomeno di ‘conversione di un contratto a tempo determinato’ – che è il presupposto necessario per l’applicabilità del regime indennitario invocato dalla ricorrente -in quanto vi è solo l’accertamento dell’effettivo datore di lavoro in conseguenza dell’acclarata illiceità dell’appalto;
la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato deriva dall’emersione di tale illiceità del fenomeno interpositorio (cfr., analogamente, Cass. n. 18210 del 2024, per il caso dei contratti di lavoro autonomo a tempo determinato qualificati come di lavoro subordinato; conf. Cass. n. 20333 del 2025) e non dal meccanismo di nullità che colpisce la clausola appositiva di un termine (come, invece, nel precedente rappresentato da Cass. n. 1148 del 2013, riferito ad una ipotesi di lavoro interinale ed evocato dalla società a sostegno del ricorso nonostante in quella controversia venissero in rilievo le conseguenze derivanti dalla genericità della causale del contratto a termine);
pertanto, diverso è il caso in cui, a seguito di specifica domanda giudiziale di accertamento di un illecito appalto di manodopera, il giudice pervenga, sulla base dell’effettività dei rapporti, a ritenere che, dietro lo schermo soltanto formale di un contratto di appalto, si sia realizzata una somministrazione irregolare da parte di soggetto non autorizzato, rispetto al caso in cui, invece, si giunga alla statuizione di nullità di una clausola di durata, con conversione del contratto in un rapporto a tempo indeterminato; la conseguenza è che l’emersione della realtà del rapporto medesimo, nel suo concreto atteggiarsi, con l’individuazione dell’effettivo datore di lavoro, non solo produce l’effetto di travolgere eventuali scadenze finali del rapporto di lavoro previste nei contratti, ma non consente neanche all’indebito utilizzatore della prestazione di giovarsi del più favorevole trattamento indennitario previsto prima dall’art. 32, comma 5, l. n. 183 del 2010 e, successivamente, dall’art. 28, comma 2, d. lgs. n. 81 del 2015;
in conclusione il ricorso deve essere respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo in favore di ciascuna parte controricorrente;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’u lteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
La Corte rigetta il ricorso e condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese liquidate in favore di ciascuna delle parti controricorrenti in misura pari ad euro 5.000,00, oltre euro 200 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 10 giugno 2025.
La Presidente Dott.ssa NOME COGNOME