Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1605 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1605 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13729/2021 r.g., proposto
da
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME , elett. dom.ti in INDIRIZZO, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO.
ricorrenti
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO;
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , eletto dom.to in INDIRIZZO, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
contro
ricorrenti
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 2420/2020 pubblicata in data 12/11/2020, n.r.g. 1113/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 05/12/2023 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
OGGETTO:
appalto – endoaziendale –
caratteri – accertamento in
concreto
1.- NOME NOME e gli altri indicati in epigrafe deducevano di essere addetti al servizio ‘assistenza clienti RAGIONE_SOCIALE‘, commissionato da RAGIONE_SOCIALE ad RAGIONE_SOCIALE, pur essendo essi formalmente dipendenti di RAGIONE_SOCIALE con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato e inquadrati nel III, o nel IV o nel V livello ccnl telecomunicazioni.
Precisavano che nell’espletamento del servizio, unitamente a dipendenti di RAGIONE_SOCIALE, erano coordinati, organizzati e gestiti da RAGIONE_SOCIALE.
Pertanto adìvano il Tribunale di Roma per ottenere in via principale la declaratoria di sussistenza, anche ai sensi dell’art. 2094 c.c., di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE; in via subordinata la declaratoria di sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 27 d.lgs. n. 276/2003, in conseguenza della violazione degli artt. 20 e 21 d.lgs. n. 276 cit.
2.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale adìto rigettava le domande.
3.- Con altro ricorso i medesimi dipendenti deducevano che, in qualità di dipendenti di RAGIONE_SOCIALE, avevano lavorato in esecuzione dell’appalto commesso da RAGIONE_SOCIALE ad RAGIONE_SOCIALE fino al 22/12/2016, data in cui erano stati allontanati dal lavoro in via di mero fatto, dunque in modo illegittimo, in violazione degli artt. 1, 2 e 3 L. n. 604/1966, stante la già proposta domanda di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE o, in subordine, di RAGIONE_SOCIALE spa.
Pertanto adìvano il Tribunale di Roma per ottenere in via principale la declaratoria di illegittimità dell’interruzione fattuale del loro rapporto di lavoro e la conseguente declaratoria di vigenza del medesimo, in assenza di idoneo atto risolutivo, nonché la condanna di RAGIONE_SOCIALE o, in subordine, di RAGIONE_SOCIALE a ripristinare il medesimo rapporto di lavoro ed a reintegrarli nelle mansioni svolte fino al 22/12/2016.
4.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale adìto rigettava le domande.
5.- Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte territoriale, previa loro riunione, rigettava gli appelli proposti avverso le due sentenze di primo grado.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
la disciplina dell’appalto non richiede l’esplicitazione, nel contratto, delle esigenze aziendali sottostanti, rilevando unicamente le modalità concrete di svolgimento del rapporto;
gli appalti endoaziendali sono caratterizzati dall’affidamento, ad un appaltatore esterno, di attività strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente;
in questi casi occorre accertare se in concreto vi sia stata organizzazione e gestione dell’appaltatore, con specifico riferimento alle prestazioni lavorative concretamente affidate, perché in caso contrario si configura una somministrazione irregolare con esclusione della fattispecie lecita;
la somministrazione irregolare sussiste quando l’appalto ha ad oggetto la mera messa a disposizione di una prestazione lavorativa, con avvio dei dipendenti presso il committente senza il loro inserimento nell’espletamento di opere o servizi coinvolgenti l’organizzazione gestionale dell’appaltatore o richiedenti l’impiego di mezzi da questi forniti;
non rileva invece che l’appaltatore sia munito, sul piano della dotazione strumentale e patrimoniale, di una obiettiva consistenza, né che si occupi della gestione amministrativa del rapporto di lavoro, perché comunque nella somministrazione irregolare manca una reale organizzazione della prestazione finalizzata ad un risultato produttivo autonomo, né vi è assunzione del rischio economico con effettivo assoggettamento dei dipendenti al potere direttivo e di controllo dell’appaltatore;
in questa prospettiva, l’esercizio di un potere di controllo da parte del committente è compatibile con un regolare contratto di appalto, in relazione alla sua facoltà di estrinseca verifica sulla qualità dell’opera o del servizio commissionato e sulla loro rispondenza all’oggetto del contratto, nonché all’indispensabile coordinamento dell’attività in ambito endoaziendale con l’andamento dell’intera azienda;
quindi per integrare un appalto fittizio non è sufficiente la circostanza che il personale del committente impartisca disposizioni agli ausiliari dell’appaltatore, ma occorre verificare se tali disposizioni siano riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro in quanto inerenti alle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, sicché si manifesti la sussistenza di un rapporto di subordinazione diretta con il committente (Cass. n. 9398/1998), oppure al solo risultato di tali prestazioni, che può formare oggetto di un genuino contratto di appalto (Cass. n. 9139/2018);
nel merito, la fornitura del know-how da parte di RAGIONE_SOCIALE, l’utilizzazione del software con le stesse modalità adottate dai dipendenti di RAGIONE_SOCIALE, la somministrazione della formazione professionale, con verifica dei risultati, da parte di RAGIONE_SOCIALE sono solo conseguenze della natura endoaziendale dell’appalto, ma non ne comportano di per sé sole il carattere illecito;
la natura endoaziendale dell’appalto, infatti, è tale che l’opera o il servizio devono essere attuati anche all’interno dell’ambiente informatico e formativo ed è compatibile con l’appalto genuino anche la predeterminazione, da parte del committente, delle modalità tecniche di esecuzione del servizio o dell’opera oggetto dell’appalto, che dovranno essere rispettate dall’appaltatore, nell’ambito del legittimo potere di controllo da parte del committente sulla qualità dell’opera o del servizio commissionato;
nel caso di specie l’hardware non era di proprietà della committente, come ammesso dagli stessi appellanti;
gli applicativi (ossia il software ) erano di proprietà di RAGIONE_SOCIALE, ma perché dovevano essere necessariamente da essa forniti, in quanto impattavano sui sistemi di vendita dei biglietti, sul sistema di informazione e sulle banche dati dei reclami e dovevano essere tutti allineati negli aggiornamenti;
per le medesime ragioni si spiega la fornitura, da parte di RAGIONE_SOCIALE, del materiale necessario per comprendere il funzionamento degli applicativi e per spiegarne il funzionamento;
inoltre in considerazione delle attività che i dipendenti dell’appaltatrice erano chiamati a svolgere, essi dovevano essere costantemente informati circa le novità normative e delle circolari operative, sicché si spiega la loro pubblicazione online sulla piattaforma ‘RAGIONE_SOCIALE informa’; la verifica della formazione viene attuata a garanzia della qualità del servizio erogato;
i test on-line e le mistery call (chiamate telefoniche in forma anonima) erano strumenti idonei a verificare l’adempimento contrattuale dell’appaltatore agli obblighi di formazione ed informazione del personale addetto, allo scopo di eliminare eventuali criticità e migliorare la qualità del servizio;
il fatto che poi l’appalto sia stato eseguito da RAGIONE_SOCIALE in parte con propri dipendenti, in parte con affidamento in subappalto a terzi (RAGIONE_SOCIALE) è solo un mero indizio -e non una prova -dell’illiceità dell’appalto;
il fatto che i reclami dei clienti fossero supervisionati da RAGIONE_SOCIALE dipende dal fatto che questa società era la destinataria di quei reclami;
il fatto che le contestazioni di addebiti avvenisse trasmettendo la segnalazione al formale datore di lavoro costituisce elemento in senso contrario -e non a favore -circa la sussistenza di un appalto illecito;
il fatto che quattro lavoratori abbiano reso la prestazione nel servizio appaltato in epoca precedente all’autorizzazione al subappalto non rileva, poiché ciò che rileva è l’effettiva gestione dell’organizzazione del lavoro;
quindi dalle stesse allegazioni degli appellanti non emerge che RAGIONE_SOCIALE, tramite proprio personale, abbia impartito disposizioni tali, per caratteristiche e contenuto, da essere riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro e quindi tali da manifestare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato diretto con il committente;
l’ingerenza del committente è risultata diretta solo al raggiungimento del risultato delle prestazioni lavorative;
il potere disciplinare è stato esercitato dalla datrice di lavoro, come risulta dal doc. 26 dei lavoratori, e l’orario di lavoro era dalla stessa predisposto, come risulta dal doc. 13 di RAGIONE_SOCIALE;
gli stessi lavoratori danno atto che gli strumenti di lavoro non erano di proprietà di RAGIONE_SOCIALE e che la postazione di lavoro aveva un costo mensile;
alla luce di tali considerazioni, anche l’altro appello va rigettato, poiché l’accertata insussistenza di rapporti di lavoro subordinato alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE o di RAGIONE_SOCIALE impedisce di ritenere illegittima l’interruzione fattuale delle prestazioni, nonché di accogliere le ulteriori domande avanzate dai lavoratori.
6.- Avverso tale sentenza NOME e altri hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
7.- RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
8.RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria.
9.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.- Con il primo motivo, i ricorrenti lamenta no la violazione dell’art. 29 d.lgs. n. 276/2003 per avere la Corte territoriale ritenuto che la norma non richieda l’indicazione, nel contratto di appalto, delle esigenze aziendali con esso soddisfatte. Assumono che invece il testo della norma è esattamente nel senso da loro invocato, sicché tutta la motivazione della sentenza d’appello sarebbe inficiata da questo errore circa la ritenuta irrilevanza delle esigenze aziendali sottostanti, ossia dell’oggetto o della causa del contratto di appalto.
Il motivo è in parte inammissibile, sul punto dovendo previamente rinviarsi ai sensi dell’art. 118 disp.att.c.p.c. alle identiche conclusioni raggiunte nella precedente pronunzia di questa Corte (Cass. ord. n. 18501/2023) resa in identica fattispecie.
E’ poi infondato, poiché effettivamente l’art. 29 d.lgs. n. 276 cit. non impone affatto l’indicazione delle esigenze aziendali soddisfatte con l’appalto, che tuttavia possono desumersi dal suo contenuto, nel caso di specie -come accertato in fatto dalla Corte territoriale -rappresentato dal
servizio commissionato ad RAGIONE_SOCIALE, a sua volta subappaltato ad RAGIONE_SOCIALE, di cui i ricorrenti erano dipendenti all’epoca dei fatti di causa.
2.- Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 2697 c.c., 20 e 29 d.lgs. n. 276/2003, per avere la Corte territoriale affermato l’irrilevanza dell’esatto riparto dell’onere probatorio circa la liceità dell’appalto. Sostengono che tale onere incomba sul committente.
Il motivo è inammissibile, perché non si confronta con l’ampia motivazione articolata dalla Corte territoriale, secondo cui gli elementi comunque acquisiti al processo deponevano per la liceità dell’appalto.
Peraltro, va ricordato che nel giudizio di cassazione la violazione dell’art. 2697 c.c. può essere fatta valere solo nel caso in cui i giudici d ‘appello abbiano posto l’onere probatorio a carico della parte non onerata, ossia della parte diversa da quella su cui tale onere avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi , da un lato, e fatti impeditivi, modificativi ed estintivi dall’altro (Cass. ord. n. 26769/2018). Tale vizio non ricorre nella sentenza impugnata.
3.Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 20 -29 d.lgs. n. 276/2003 e 1655 ss. c.c. per avere la Corte territoriale motivato con riguardo ad un appalto endoaziendale, senza considerare che nel sistema di cui al d.lgs. n. 276/2003 agli appalti endoaziendali è riconosciuto un rilievo ‘pressocché nullo perché tra gli strumenti a disposizione del datore di lavoro è stata posta la somministrazione di lavoro’ (v. ricorso per cassazione, p. 13).
Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.
E’ infondato, laddove trascura che l’appalto è espressamente previsto proprio dall’art. 29 d.lgs. n. 276/2003 e la sua definizione come ‘endoaziendale’ sta solo a significare che l’opera o il servizio oggetto di appalto devono essere realizzati nell’ambito organizzativo dei beni dell’azienda in cui si svolge l’impresa del committente e del connesso ciclo produttivo. Tale connotazione funzionale, peraltro, non esclude che resti ferma l’esatta qualificazione giuridica del contratto come appalto, qualora
ricorrano gli elementi distintivi rispetto alla somministrazione di manodopera indicati proprio nel primo comma dell’art. 29 cit.
Il motivo è poi inammissibile per difetto di autosufficienza, perché i ricorrenti non spiegano quale sarebbe stata la conseguenza -per loro pregiudizievole -di questo errore di diritto. Nel prosieguo del motivo, infatti, essi lamentano in realtà un asserito difetto di motivazione (in termini di illogicità: v. ricorso per cassazione, p. 14), che allora andava diversamente prospettato ed articolato. In ogni caso va ricordato che resta insindacabile la valutazione compiuta dal giudice del merito, ai fini del proprio convincimento, circa gli elementi acquisiti con l’istruttoria, qualora (come nella specie) motivata, laddove la Corte territoriale ha solo ipoteticamente ritenuto sussistente un mero indizio, come tale insufficiente ad integrare la prova dell’illiceità dell’appalto.
L’ulteriore sviluppo del motivo è poi inammissibile, perché sollecita a questa Corte una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, che è attività riservata al giudice del merito.
4.- Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano l’omessa pronunzia sull’interruzione fattuale del rapporto di lavoro.
Il motivo resta assorbito, in quanto espressamente proposto sotto la condizione dell’accoglimento dei precedenti, condizione che non si è verificata.
5.Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti a rimborsare a ciascuna controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 in favore di RAGIONE_SOCIALE ed in euro 5.500,00 in favore di RAGIONE_SOCIALE, per entrambe euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in