Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13812 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13812 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 14672-2022 proposto da:
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME COGNOME;
– controricorrenti –
R.G.N. 14672/2022
COGNOME.
Rep.
Ud. 20/03/2024
CC
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE;
– intimata E SUL RICORSO SUCCESSIVO SENZA N.R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio legale RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente successivo –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME COGNOME;
– controricorrenti al ricorso successivo nonché contro
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA RAGIONE_SOCIALE;
– intimata – avverso la sentenza n. 839/2021 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 30/11/2021 R.G.N. 578/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/03/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Firenze, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato ‘l’illegittimità dell’appalto di manodopera tra Banca Monte dei Paschi di Siena e RAGIONE_SOCIALE‘, con ricostituzione del rapporto di lavoro d ei lavoratori indicati in epigrafe con la Banca ‘ad ogni effetto di legge, giuridico ed economico, a far data dal 1.1.2014’;
la Corte distrettuale ha preliminarmente ritenuto, in difformità dal Tribunale, che non fosse maturata la decadenza di cui all’art. 32, comma 4, lett. d), l. n. 183 del 2010, atteso che, nel caso di specie, essendo il rapporto con l’utilizzatore non ancor a cessato, nessuna decadenza era ancora maturata per i lavoratori;
nel merito, la Corte -in estrema sintesi e per quanto ancora qui rileva -ha ritenuto, sulla base della documentazione acquisita, che nella specie fosse emersa la prova ‘di una interposizione illegittima di manodopera, stante la non genuinità dell’appalto’; in particolare che ‘lo svolgimento della prestazione lavorativa da parte degli ex dipendenti di MPS nei vari settori trasferiti fosse sottoposta alle direttive e al controllo della medesima banca; rimanendo in MPS la sostanziale organizzazione della prestazione lavorativa (elemento significativo nella valutazione della genuinità dell’appalto); organizzazione che era quotidiana o comunque costante e non limitata a situazioni di mera urgenza’;
avverso tale sentenza la Banca Monte dei Paschi di Siena, prima, e la società RAGIONE_SOCIALE, poi, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione affidati a cinque motivi; gli intimati hanno resistito con separati controricorsi;
tutte le parti hanno depositato memorie;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso di Banca Monte dei Paschi di Siena possono essere sintetizzati come di seguito;
1.1. con il primo motivo di ricorso la Banca deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 4, lett. d), l. 183/2020, 12 Preleggi, 2964 segg. c.c., 99 e 112 c.p.c., per avere la Corte d’Appello d i Firenze ritenuto che il termine per impugnare l’appalto decorra dalla cessazione dell’utilizzazione dell’attività dei lavoratori da parte del committente e non già dall’inizio dell’appalto (coincidente, nella fattispecie, con l’efficacia del trasferiment o di ramo d’azienda da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE);
1.2. con il secondo motivo RAGIONE_SOCIALE deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 29, D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, per avere la Corte d’Appello ritenuto non rilevanti i requisiti della organizzazione aziendale e della natura di imprenditore genuino dell’impresa appaltatrice, valorizzando, nella valutazione circa la legittimità dell’appalto, soltanto il requisito dell’esercizio del potere direttivo, a dire della Corte di merito rimasto in capo alla committente;
1.3. con il terzo motivo MPS deduce, sempre ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 29, D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, 2094 e 1662 c.c. per avere la Corte d’Appello confuso l’esercizio del potere dirett ivo con l’esercizio del potere conformativo da parte della Banca committente;
1.4. con il quarto motivo la Banca deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 115, 116 e 188 c.p.c. ‘in quanto la Corte d’Appello non ha ammesso le prove testimoniali – decisive dedotte da MPS’;
1.5. col quinto mezzo RAGIONE_SOCIALE deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 111, comma 6, Cost. e 132, comma 2, n. 4), c.p.c., ‘per avere la Corte d’Appello introdotto -incomprensibilmente -la tematica della avvenuta declaratoria, in altri giudizi, della illegittimità del trasferimento di ramo d’azienda back office da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 2112 c.c., questione che nessuna rilevanza può avere nella valutazione circa la legittimità o meno dell’appalto’; in subordine, la Banca deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., ‘in quanto la Corte d’Appello, giudicando rilevanti le sentenze appena menzionate, riterrebbe efficaci, nei confronti degli odierni controricorrenti, sentenze che hanno affermato, tra parti diverse, la illegittimità del citato trasferimento di ramo d’azienda back office da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 2112 c.c.’;
i motivi di ricorso di RAGIONE_SOCIALE possono essere sintetizzati come di seguito;
2.1. con il primo motivo si denuncia: ‘Violazione dell’art. 32, comma 4, lett. d), della l. n. 183/2010 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)’; la sentenza di appello è censurata nella parte in cui, riformando la pronuncia di primo grado sul punto, ha statuito che i lavoratori odierni resistenti non fossero decaduti dalla facoltà di chiedere l’imputazione dei loro rispettivi rapporti in capo alla committente in ragione della ex adverso dedotta non genuinità dell’appalto, sotto il profilo giuslavoristico, in cui sono stati impiegati;
2.2. il secondo motivo denuncia: ‘Violazione dell’art. 29, comma 1, D.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)’; la sentenza di appello è censurata nella parte in cui ha ritenuto che l’appalto di servizi in cui sono stati impiegati i lavoratori odierni resistenti non fosse genuino sotto il profilo giuslavoristico, e soprattutto per avere erroneamente interpretato il requisito di legge della «organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare (…) dall’ese rcizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto»;
2.3. il terzo motivo denuncia: ‘Violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 29 D.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.); la sentenza di appello è censurata per avere disatteso il principio (richiamato dalla sentenza stessa) pe r cui l’onere della prova della non genuinità sotto il profilo giuslavoristico dell’appalto è in capo ai lavoratori che richiedono l’imputazione del loro rapporto in capo al committente, avendo essa accolto la domanda dei lavoratori anche in forza di u na inversione di fatto dell’onere probatorio in danno di RAGIONE_SOCIALEe di Banca RAGIONE_SOCIALE);
2.4. il quarto motivo denuncia: ‘Violazione degli artt. 115, 116 e 188 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.)’; fermo il valore assorbente dei precedenti motivi di ricorso, la sentenza di appello è censurata per avere omesso qualsiasi approfondimento istrutto rio sull’aspetto decisivo dell’effettivo esercizio da parte di RAGIONE_SOCIALE dei poteri direttivi, dello ius variandi e del potere conformativo della prestazione dei singoli lavoratori odierni resistenti, approfondimento pure specificamente richiesto da RAGIONE_SOCIALE stessa nei pregressi gradi di merito;
2.5. con l’ultimo motivo si denuncia: ‘Violazione dell’art. 111 comma 6 Cost. e dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. (art. 360,
comma 1, n. 4 c.p.c); in subordine violazione art. 29, comma 1, d.lgs. n. 276/03 in relazione all’art. 2112 c.c. e violazione art. 2909 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)’; sempre fermo il valore assorbente dei motivi che precedono, ‘la sentenza di appello è censurata nella parte in cui -con una motivazione non conforme ai requisiti costituzionali e di legge -ha effettuato un oscuro riferimento al fatto che l’appalto di servizi per cui è causa è stato stipulato in epoca coeva ad una cessione di ramo d ‘azienda che era stata giudizialmente ritenuta non conforme all’art. 2112 c.c. in precedenti giudizi di cui i lavoratori odierni resistenti pacificamente non sono stati parte’;
i ricorsi di entrambe le società, che sviluppano censure in larga parte comuni, non possono trovare accoglimento;
3.1. il primo motivo di entrambi i ricorsi è infondato; la sentenza impugnata sul punto è conforme al principio secondo cui: ‘Il doppio termine di decadenza dall’impugnazione (stragiudiziale e giudiziale) previsto dal combinato disposto degli artt. 6, commi 1 e 2, della l. n. 604 del 1966 e 32, comma 4, lett. d), della l. n. 183 del 2010, non si applica all’azione del lavoratore -ancora formalmente inquadrato come dipendente di un appaltatore -intesa ad ottenere, in base all’asserita illiceità dell’appalto in quanto di mera manodopera, l’accertamento del proprio rapporto di lavoro subordinato in capo al committente, in assenza di una comunicazione scritta equipollente ad un atto di recesso’ (Cass. n. 30490 del 2021; v. pure Cass. n. 13194 del 2022; Cass. n. 20294 del 2022; Cass. n. 22168 del 2022; Cass. n. 24437 del 2022; Cass. n. 5346 del 2023; da ultimo, diffusamente, Cass. n. 6266 del 2024);
certamente, non può essere considerato atto equipollente al recesso dal rapporto la comunicazione iniziale al lavoratore
del trasferimento del rapporto ad altro datore di lavoro, atteso che l’eventuale illiceità dell’appalto non può che essere verificata nella concretezza del suo svolgimento;
3.2. il secondo e il terzo motivo del ricorso RAGIONE_SOCIALE così come il secondo e terzo motivo del ricorso RAGIONE_SOCIALE, da valutarsi congiuntamente per connessione, non possono trovare accoglimento;
in materia operano consolidati princìpi dai quali la Corte territoriale non si è discostata (da ultimo v. Cass. n. 17647 del 2023; tra le altre, anche Cass. n. 12551 del 2020; Cass. n. 12807 del 2020; ancora prima: Cass n. 11729 del 2009; Cass. n. 7898 del 2011; Cass. n. 7820 del 2013; Cass. n. 12357 del 2014; ai quali precedenti si rinvia, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per ogni aspetto ulteriore qui non approfondito);
in particolare, va ribadito che dal combinato disposto degli artt. 1655 c.c. e 29 d.lgs. n. 276 del 2003 si desume che, ai fini della liceità dell’appalto di opere o di servizi , sia necessaria la sussistenza di entrambi i requisiti costitutivi del contratto, rappresentati, da una parte, dall’organizzazione autonoma e dal rischio di impresa (necessari ai fini all’esistenza dell’impresa appaltatrice e dell’azienda a monte) e, dall’altra, dell’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto (necessari ai fini all’individuazione del datore di lavoro);
di modo che la mancanza anche soltanto di uno dei due elementi in discorso (organizzazione di impresa con assunzione del rischio economico o direzione autonoma del personale) genera il risultato vietato dalla legge;
anche nell’ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (c.d. labour intensive ) è necessario verificare che ‘all’appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una
effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d’impresa, dovendosi invece ravvisare un’interposizione illeci ta di manodopera nel caso in cui il potere direttivo o organizzativo sia interamente affidato al formale committente’ (di recente, Cass. n. 18455 del 2023); con le plurime censure ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., contenute nei motivi in esame, le parti ricorrenti, lungi dall’individuare realmente gli errori di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, piuttosto criticano l’apprezzamento di merit o compiuto dai giudici ai quali esso compete, proponendo una diversa ‘lettura’ della vicenda storica, come è reso manifesto dal diffuso riferimento ai materiali e ai fatti di causa, sollecitando però un sindacato estraneo al giudizio di legittimità;
in particolare, compete ai giudici del merito, sulla base dell’apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto acquisite al giudizio, valutare se il potere conformativo del committente, compatibile con un appalto lecito, sia tracimato invece in un potere direttivo e di controllo del lavoro altrui, espressione di un appalto vietato;
3.3. parimenti inammissibili le censure prospettate nel quarto motivo di entrambi i ricorsi, atteso che, per risalente insegnamento di questa Corte, spetta esclusivamente al giudice del merito valutare gli elementi di prova già acquisiti e la pertinenza di quelli richiesti – senza che possa neanche essere invocata la lesione dell’art. 6, primo comma, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo al fine di censurare l’ammissibilità di mezzi di prova concretamente decisa dal giudice nazionale (Cass. n. 13603 del 2011; Cass. n. 17004 del 2018) -con una valutazione che non è sindacabile nel giudizio di legittimità al di fuori dei rigorosi limiti imposti dalla
novellata formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite (cfr. Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014); in particolare, la mancata ammissione della prova testimoniale può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Cass. n. 11457 del 2007; Cass. n. 4369 del 2009; Cass. n. 5377 del 2011; Cass. n. 16214 del 2019), il che certamente non ricorre nella specie, anche per la pluralità e la varietà delle circostanze di fatto capitolate nelle richieste istruttorie e considerato che la Corte territoriale ha formato il suo convincimento sulla base della documentazione acquisita al giudizio, esprimendo una motivazione che supera il cd. ‘ minimum costituzionale’;
3.4. infine, inammissibile risulta l’ultimo motivo del ricorso RAGIONE_SOCIALE, comune all’ultimo motivo del ricorso della società RAGIONE_SOCIALE;
con le doglianze si censura un passaggio della motivazione impugnata in cui la Corte, dopo avere compiutamente spiegato le ragioni della decisione, ‘aggiunge una ulteriore considerazione’; si tratta chiaramente di un argomentare ad abundantiam , come tale insuscettibile di autonoma impugnazione, in quanto non costituente la ratio decidendi posta a fondamento della motivazione, che sorregge la decisione sulla base di ben altri assunti (cfr. Cass. n. 23635 del 2010; Cass. n. 24591 del 2005; Cass. n. 7074 del 2006);
4. in conclusione, entrambi i ricorsi delle società devono essere respinti, con condanna al pagamento delle spese liquidate come da dispositivo e con attribuzione ai procuratori dei controricorrenti che si sono dichiarati antistatari; ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’u lteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta entrambi i ricorsi delle società e condanna ciascuna al pagamento delle spese liquidate in favore dei controricorrenti in euro 18.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 20 marzo