Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24415 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 24415 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/09/2025
SENTENZA
sul ricorso 31002-2020 proposto da:
IRAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 199/2020 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 28/05/2020 R.G.N. 488/2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
26/03/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
APE sociale
R.G.N. 31002/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 26/03/2025
PU
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di L’Aquila ha accolto il gravame proposto da COGNOME NOME avverso la sentenza di primo grado che aveva ritenuto corretto il rigetto della domanda amministrativa di APE sociale presentata nel giugno 2017, per essere stato determinato il suo stato di disoccupazione dalla scadenza del contratto a termine, a seguito del quale aveva goduto di NASPI, e non per una delle cause di cui alla lett. a) comma 179, dell’art. 1 della L. n. 232/2016.
L’appellante non condivideva l’interpretazione della norma sopra indicata, atteso che lo stato di disoccupazione da considerare quale requisito per accedere all’APE andasse correlato alla cessazione del suo rapporto di lavoro a seguito di licenziamento collettivo intervenuto il 28/2/2013, mentre i rapporti di lavoro a termine successivamente intrattenuti di durata inferiore a sei mesi non facevano venir meno lo stato di disoccupazione; inoltre, il godimento di NASPI a seguito di contratto di lavoro scaduto nel giugno del 2015 non faceva venir meno il suo stato di disoccupazione. L’appellante in sintesi riteneva di aver diritto al riconoscimento della prestazione, in quanto al momento della presentazione della domanda era disoccupato da almeno tre mesi, era i n possesso di un’anzianità contributiva di trent’anni e non era titolare di pensioni o indennizzi. Per contro, l’appellato INPS sosteneva la carenza di tutti i requisiti per l’anticipo pensionistico (misura sperimentale in vigore dal 1 maggio 2017 al 31 dicembre 2018), in quanto il
richiedente aveva cessato l’ultimo rapporto di lavoro per scadenza naturale del contratto a termine avvenuta il 19 giugno 2015 e non per una delle ipotesi di cui alla lett. a) dell’art.1 comma 179 della L. 232/2016 -e cioè licenziamento collettivo, dimissioni per giusta causa, risoluzione consensuale del rapporto, dovendo far riferimento alla scadenza dell’ultima prestazione di sostegno al reddito e al rapporto di lavoro da cui questa discende; lo stato di disoccupazione, quindi, dovrebbe essere mantenuto per tutto il periodo compreso tra la conclusione dell’intera prestazione di disoccupazione fino all’accesso all’indennità di APE sociale, senza interruzioni dovute a rioccupazione di qualsiasi natura.
La Corte d’appello non ha seguito l’interpretazione fornita dall’INPS basata anche su messaggi e note del Ministero del Lavoro circa la sospensione dello stato di disoccupazione in caso di rapporto di lavoro subordinato di durata inferiore a sei mesi ed in particolare il diniego del diritto dell’attuale ricorrente in quanto fruitore di NASPI dopo l’ultimo rapporto a termine di 43 giorni. Sarebbe stato infatti insensato far dipendere l’accesso all’APE a seconda che la durata dei rapporti di lavoro successivi al licenziamento fossero inferiori o superiori ai trenta giorni, quale limite temporale minimo per beneficare della Naspi a sensi dell’art. 3 lett. c) del D.lgs. n. 22/2015, dovendosi invece ritenere ininfluente sullo stato di disoccupazione la durata inferiore a sei mesi di un rapporto di lavoro.
Avverso la sentenza ricorre l’INPS con un unico articolato motivo cui resiste COGNOME NOME con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità di udienza.
Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta nella quale ha concluso per il rigetto, segnalando che a seguito della Legge di bilancio del 2018 era stato determinato un allargamento della platea dei beneficiari dell’APE sociale a coloro che sono stati occupati con contratti a tempo determinato ed a coloro che dopo la cessazione del rapporto a tempo indeterminato per le causali già previste nella normativa di riferimento siano stati assunti con un contratto a termine di durata superiore ai sei mesi, cui è conseguita la cessazione dello stato di disoccupazione; ha altresì richiamato il principio di diritto enunciato dalla recente pronuncia della Corte di cassazione n. 30258/2024.
All’udienza del 26 marzo 2025, svolta la relazione del Consigliere relatore, udita la requisitoria del Procuratore Generale, e sentiti i difensori delle parti costituite, la Corte si è riservata di decidere.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con un unico motivo di ricorso INPS deduce, in relazione all’art. 360 co.1 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 1 comma 179 lett.a) della L. n. 232 del 2016, per avere la Corte d’appello dichiarato il diritto di COGNOME Federico all’anticipo pensionistico, ritenendo che lo stato di disoccupazione conseguente al licenziamento non venga meno ove l’interessato sia impegnato in rapporti di lavoro a tempo determinato di durata inferiore a sei mesi, al termine dei quali percepisca la prestazione di disoccupazion e. L’Istituto osserva, invero, che l’art. 1 comma 179 lett. a) L.232/2016 individua tre requisiti fondanti il diritto all’APE sociale: che l’istante si trovi in stato di disoccupazione, che la disoccupazione sia determinata da licenziamento,
dimissioni, risoluzione consensuale, e che la disoccupazione sia terminata da almeno tre mesi; tali requisiti si riferirebbero all’ultimo rapporto di lavoro anteriore alla domanda di APE sociale, la cui funzione è quella di ovviare allo stato di bisogno prodotto dalla forzata inoccupazione, ‘ creando una sorta di ponte fra la prestazione di disoccupazione e la pensione ‘. Ne discende, ad avviso del ricorrente, che il rapporto di lavoro rilevante sia quello a cui è riferita l’ultima prestazione goduta per la disoccupazione; e poiché questa, nel caso in esame, era connessa alla cessazione del rapporto a tempo determinato per scadenza del termine, non rientrante nelle ipotesi di cessazione previste dall’art. 1 co.179 lett.a, la prestazione richiesta non era dovuta.
All’argomento svolto dalla Corte di merito secondo cui il rapporto di lavoro a tempo determinato svolto dallo RAGIONE_SOCIALE non avrebbe inciso sul pregresso stato di disoccupazione determinato a seguito di licenziamento collettivo intimatogli nel febbraio 2013, l ‘istituto ricorrente oppone che la normativa di settore è chiara nel subordinare l’APE allo stato di disoccupazione, da intendersi come assenza di un qualsiasi rapporto di lavoro; nella definizione di stato di disoccupazione rientrano, infatti, i soggetti privi di impiego che dichiarano, in forma telematica, al sistema informativo delle politiche del lavoro, la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa (art. 19 co.1 d.lgs. 150/15). Inoltre, nel messaggio INPS n.4195/2017 era stato precisato che eventuali rapporti di lavoro di durata non superiore a sei mesi svolti nel periodo successivo alla conclusione delle prestazioni di disoccupazione non determinano il venir meno dello stato di disoccupazione, il che significa che lo stato di disoccupazione è
quello riferito all’ultima prestazione, e che l’interessato, ai fini della concessione di APE, non lo perde qualora svolga un’attività di lavoro subordinato per un periodo non eccedente i sei mesi, fermo restando che all’esito del rapporto a termine non si a corrisposta la prestazione di disoccupazione. Ancora, l’impugnata pronuncia non aveva considerato che un rapporto di lavoro superiore a 30 giorni può non essere sufficiente a fondare il diritto a NASPI, spettante se ricorre anche la condizione delle 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti la disoccupazione.
Il ricorrente ha anche osservato che con la nuova normativa di cui all’art. 1 comma 162 lett.b) della Legge 205/2017 è stata ampliata la platea dei potenziali fruitori di APE; è stato consentito l’accesso ad APE anche a coloro i quali si trovino in stato di disoccupazione per scadenza del termine del rapporto di lavoro a tempo determinato a condizione che abbiano avuto, nei 36 mesi precedenti la cessazione del rapporto, periodi di lavoro dipendente per almeno 18 mesi ed abbiano terminato la fruizione della prestazione, per cui il richiedente ne avrebbe avuto diritto se il suo contratto a termine fosse scaduto a gennaio 2018 , cioè dopo l’entrata in vigore della nuova disposizione normativa.
Tale argomento è stato ripreso nella memoria illustrativa dell’INPS in cui si evidenzia l’inapplicabilità ratione temporis della novella integrativa, entrata in vigore l’1/1/2018 (a fronte di una domanda amministrativa presentata il 19/6/2017); una volta accertato che lo stato di disoccupazione sia stato determinato dalla naturale scadenza del rapporto di lavoro a tempo determinato, e che la prestazione sia stata richiesta prima della entrata in vigore della norma che consente l’accesso
all’APE sociale anche a fronte di disoccupazione indotta dalla scadenza del termine del rapporto di lavoro a tempo determinato, la domanda del richiedente doveva ritenersi infondata.
Nel controricorso l’interessato sostiene che la sentenza ha offerto un’interpretazione sistematica della disciplina per cui in definitiva sono disoccupati coloro che dichiarano la propria immediata disponibilità al lavoro, e in caso di rapporti di lavoro inferiori a 6 mesi, non viene meno lo stato di disoccupazione, è prevista solo la sua sospensione; un’ interpretazione estensiva non dovrebbe restringere le possibilità di accesso ad APE, non dovrebbe escludere coloro che si sono attivati per trovare un lavoro. L’anticipo pensionistico, sostiene il controricorrente, non è uno strumento volto a disincentivare l’occupazione, pertanto i requisiti non devono riferirsi sempre all’ultimo rapporto di lavoro anteriore alla domanda APE. Ad esempio, lavori brevissimi (inferiori a 30 gg.) che non consentono accesso a NASPI, non impediscono l’accesso a APE; invece, è importante che non vi sia compatibilità con i trattamenti di sostegno al reddito connessi allo stato di disoccupazione involontaria (art. 8 DPCM 88/17), perciò è indefettibile condizione l’aver concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione da almeno 3 mesi. Nelle memorie depositate in prossimità di udienza richiama un successivo orientamento giurisprudenziale a favore.
Il ricorso è infondato e va respinto.
L’indennità di anticipo pensionistico (cd. APE sociale), introdotta in via sperimentale dall’art. 1 comma 179 della Legge n. 232/2016 (Legge di bilancio 2017) e prorogata di anno in anno, è una misura di sostegno ai lavoratori iscritti all’AGO alle
forme sostitutive ed esclusive della medesima e alla Gestione separata di cu i all’art. 2 co.26 della L. n.335/1995, che si trovano in stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale nell’ambito della procedura di cui all’art. della L. n. 604/66, che hanno concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante da almeno tre mesi e sono in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 30 anni; l’art. 1 co. 162 lett. b) della Legge n.205 del 27/12/2017 ha poi ampliato le categorie dei beneficiari inserendo anche i lavoratori cessati dal rapporto di lavoro per scadenza del termine del rapporto a tempo determinato a condizione che abbiano avuto, nei trentasei mesi precedenti la cessazione del rapporto, periodi di lavoro dipendente per almeno diciotto mesi.
4.1 La misura è di sostegno ai lavoratori in stato di disoccupazione, che non percepiscono l’indennità di disoccupazione, e che si avviano verso l’età pensionabile avendo compiuto 63 anni di età ed avendo maturato già trenta anni di anzianità contributiva; il sostentamento economico ha una durata limitata, coprendo un periodo non superiore a quello intercorrente tra la data di accesso al beneficio e il conseguimento dell’età anagrafica prevista per l’accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia di cu i all’art. 24 co.6 del d.l. n.201/2011 conv. con mod. dalla L. n. 214/2011.
Nell’ambito del predetto quadro normativo, si precisa che la questione controversa inerisce non al requisito anagrafico e contributivo, bensì a quello socio-economico, concernente lo stato di disoccupazione ed il trattamento indennitario per la disoccupazione, il primo collegato ad uno dei tre eventi previsti
nell’originario testo dell’art. 1 comma 179 vigente all’epoca della domanda amministrativa (presentata il 19/6/2017, prima dell’entrata in vigore della citata Legge n. 205/2017), ossia scaturito da licenziamento collettivo, dimissioni per giusta causa, o risoluzione consensuale, il secondo avente un connotato negativo nel senso che per poter accedere al beneficio APE occorre che il richiedente non fruisca dei trattamenti indennitari collegati alla disoccupazione (NASPI, DisColl), con i quali la misura in esame è, quindi, incompatibile; la distanza temporale di almeno tre mesi dalla conclusione del trattamento di disoccupazione involontaria giustifica la finalità di sostentamento allo stato di bisogno di colui che ha perso l’occupazione in prossimità dell’età pensionabile.
6. La disciplina normativa non contempla l’ipotesi di instaurazione, medio tempore, di eventuali rapporti di lavoro di breve durata, che non facciano venir meno lo stato di disoccupazione, come nel caso di contratti a termine di durata infrasemestrale, in presenza dei quali il trattamento di disoccupazione, eventualmente già in corso di erogazione, resta sospeso (sulla compatibilità della NASpI con il lavoro subordinato di durata non superiore a sei mesi, si rimanda all’art. 9 D.Lgs. 22/2015; e sulla assenz a di trattamento per lavori brevi di durata inferiore a trenta giorni, si veda art. 3 co.1 lett. c, d.lgs. 22/15). Trattandosi di un requisito socioeconomico, rileva, ai fini della sua ostatività a fruire del trattamento di APE sociale, la sua esistenza, coeva alla domanda, non già la sua diretta derivazione da uno degli eventi causativi dello stato di disoccupazione. Non v’è propedeuticità dell’indennità di disoccupazione al trattamento di APE sociale, ne verrebbero penalizzati coloro che per qualsiasi ragione non
possano godere della prestazione di disoccupazione (come nel caso, innanzi citato, dei contratti di lavoro di durata inferiore a 30 giorni, svolti in costanza di stato di disoccupazione ma inidonei a costituire il terzo requisito dell’ar.t 3 L.22/85 per il riconoscimento dell’indennità di NASpI).
7. Sul punto, questa Corte ha già osservato che ai fini del riconoscimen to del diritto al godimento dell’ anticipo pensionistico ex art. 1, comma 179, della L. n. 232 del 2016, il richiedente deve essere disoccupato e non percepire più quando ne abbia in precedenza beneficiato- l’indennità di disoccupazione (cfr. sent. n. 24950/2024). Ivi è stato precisato che: ‘ 6. Una interpretazione letterale e logica della norma milita nel senso che è richiesto il requisito della distanza temporale tra la disoccupazione e l’APE sociale solo dove sia stata fruita concretamente l’indennità di disoccupazione, laddove tale fruizione non condiziona affatto il diritto all’APE. 7. Invero, la lettera della norma non prevede la condizione positiva della fruizione dell’indennità di disoccupazione, ma solo la condizione negativa della cessazione della fruizione della stessa. Del resto, la norma richiama una contribuzione di 30 anni e dunque ammette implicitamente che i requisiti dell’APE sociale sono diversi da quelli della disoccupazione. 8. La norma, peraltro, non collega l’APE all’indennità di disoccupazione anche perché, se ciò avesse voluto fare, avrebbe posto in continuità le due prestazioni, laddove invece impone una cesura tra le stesse. 9. Invero, proprio il richiamo alla cessazione della fruizione dell’indennità di disoccupazione evidenzia -alla base dell’intervento previdenziale di sostegno – uno stato di bisogno della persona, che evidentemente il legislatore ritiene meritevole della tutela e della protezione con la prestazione in
discorso. Ciò tanto più in considerazione che il soggetto beneficiario maggiormente della tutela in discorso è proprio il soggetto che non ha fruito neppure dell’indennità di disoccupazione. 10. Può dunque affermarsi che il diritto all’APE sociale, in appl icazione dell’articolo 1, comma 179, legge n. 232 del 2016, richiede -tra gli altri requisitiuno stato di disoccupazione in capo al beneficiario, ma non postula che lo stesso abbia anche beneficiato dell’indennità di disoccupazione, prevedendo soltanto che, ove l’interessato abbia beneficiato della detta indennità, la stessa sia cessata .’
7.1 – Il godimento della indennità di disoccupazione involontaria costituisce, dunque, un requisito negativo, nel senso che per fruire della APE occorre che il richiedente non fruisca dei trattamenti indennitari collegati alla disoccupazione, con il quali la misura in esame è, quindi, incompatibile.
Non occorre cioè focalizzare l’attenzione sulla ragione ed occasione della erogazione della NASpI, di cui il richiedente abbia goduto in conseguenza della cessazione di un rapporto di lavoro a tempo determinato di durata infrasemestrale, bensì verificare la causa dello stato di disoccupazione, rientrante o meno dei casi previsti dall’art. 1 co. 179, rispetto al quale l’assunzione in lavoro subordinato per un breve periodo resta indifferente, ed è centrale non il godimento -non coevodell’indennità NASpI ma la permanenza dello stato di disoccupazione susseguente alla cessazione di un rapporto durato almeno 18 mesi nell’ultimo triennio.
Anche sotto questo profilo la Corte si è già di recente pronunciata sostenendo che, fra i requisiti per l’accesso alla provvidenza sussistenti prima di essa, è irrilevante la
rioccupazione per periodi inferiori a sei mesi dopo la cessazione del rapporto di lavoro durato 18 mesi nei trentasei precedenti; con sentenza n. 30258/2024, questa Corte ha affermato, esaminando anche altri profili analogamente introdotti dall’istituto ricorrente nel presente giudizio, che: ‘ 7. La disposizione di accesso all’APE sociale invero prevede che possano accedere alla provvidenza i soggetti che si trovano in stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale dell’ambito della procedura ex art. 7 l. 604/66. 8. In tale contesto il messaggio INPS 4195 del 25 ottobre 2017 (in continuità con la nota Ministeriale n. 7214 del 13 ottobre 2017) aveva precisato che eventuali rapporti di lavoro subordinato di durata non superiore a sei mesi, svolti dal richiedente nel periodo successivo alla corresponsione della prestazione, non determinano il venir meno dello stato di disoccupazione e non ostano perc iò all’accesso all’APE sociale. 9. Ciò è peraltro conforme alla disciplina della indennità di disoccupazione, richiamata dalla corte territoriale, che esclude che lo stato di disoccupazione venga meno (restando solo sospeso) durante il periodo di svolgimento di lavori temporanei o precari. 10. Su tale contesto normativo non hanno inciso in alcun modo le previsioni della legge di bilancio per il 2018 (art. 1 co. 162 L . 205/17) richiamate dall’INPS, le quali hanno ampliato l’accesso all’APE sociale ai lavorat ori a termine, ma non hanno in alcun modo né modificato i requisiti di accesso alla prestazione per i lavoratori già inclusi, né hanno tolto agli stessi il diritto alla prestazione alle condizioni di legge. ‘ Nel caso in esame, tuttavia, non si discorre della applicazione della novella legislativa entrata in vigore dall’1/1/2018 che ha ampliato la platea dei beneficiari dell’APE sociale , norma sopravvenuta alla
domanda amministrativa; ma, tenuto conto che il lavoratore ha chiesto la prestazione in discorso in relazione al rapporto di lavoro a tempo indeterminato che era cessato per licenziamento del 28.02.2013 e che è pacifico che in relazione ad esso il lavoratore possedeva tutti i requisiti richiesti dalla disciplina per beneficiare della prestazione, può affermarsi, come asserito nella pronuncia innanzi citata, che in tema di APE sociale di cui all’art . 1 co. 179 lettera a) L. n.232/2016, ‘ i requisiti di accesso alla prestazione (occupazione per 18 mesi nei 36 mesi precedenti alla cessazione del rapporto, e successiva disoccupazione) vanno riferiti all’ultimo dei lavori -a tempo indeterminato o a tempo determinato con durata superiore a sei mesi- precedenti la prestazione, restando irrilevante che dopo la cessazione del detto rapporto vi sia stata rioccupazione per periodi inferiori a sei mesi ‘.
U n’ulteriore conferma della mancanza di correlazione necessaria tra prestazione APE ed indennità di disoccupazione, in favore del diretto collegamento del trattamento richiesto con lo stato di disoccupazione, emerge dalla recente sentenza di questa Corte, n. 7846/2025, laddove è stato riconosciuto il diritto all’APE sociale non solo coloro che hanno beneficiato in precedenza dell’indennità di disoccupazione, ma anche quelli che, pur trovandosi in condizione di disoccupazione ed in possesso degli ulteriori requisiti anagrafici e di anzianità contributiva descritti dalla norma, non ne hanno usufruito perché non spettante. Ivi si afferma che ‘ la lettera della norma non istituisce alcuna correlazione positiva tra la percezione dell’indennità di disoccupazione e la fruizione dell’APE sociale: diversi sono infatti i requisiti contributivi per l’accesso alle due prestazioni, né è prevista alcuna continuità tra di esse, ché anzi
ove si sia percepita l’una debbono trascorrere almeno tre mesi per poter beneficiare dell’altra; ed è proprio tale correlazione meramente negativa ad indurre a ritenere che il riferimento alla cessazione da almeno tre mesi della fruizione dell’indennità di disoccupazione valga semplicemente ad evidenziare un particolare stato di bisogno della persona che il legislatore ha ritenuto meritevole di tutela e protezione e che, ovviamente, è tanto più rilevante allorché non si sia nemmeno fruito dell’indennità di disoccupazione ‘.
10.1 – Per contro, ipotizzare il diniego di accesso all’APE sociale a coloro che non hanno fruito dell’indennità di disoccupazione sul presupposto che non ne avessero diritto, vuoi in relazione all’attività lavorativa esercitata, vuoi per non essere in possesso del prescritto requisito contributivo, indurrebbe a sospettare una disparità di trattamento degli assicurati a fronte di una situazione di bisogno che, per coloro che non hanno potuto avere accesso alla tutela per la disoccupazione, è perfino più grave di coloro che, invece, hanno potuto beneficiarne.
11. In conclusione, tutti i rilievi sollevati da INPS sulla ipotizzata violazione della disposizione normativa di cui all’art. 1 co.179 L.232/2016 si sono dimostrati infondati. Si aggiunga che anche l’argomento trattato in memorie illustrative è privo di pre gio, vuoi perché la questione è stata positivamente risolta anche sotto il profilo interpretativo, logico-sistematico, ancorato al solo testo originario del 2016, vuoi perché nella nuova ipotesi introdotta a partire dal 2018 non sarebbe comunque sussumibile quella in esame in mancanza di disposizione transitoria con efficacia retroattiva ed in presenza di un diverso argomento sulla non ostatività alla fruizione della prestazione previdenziale di una assunzione lavorativa a termine per periodi
inferiori a sei mesi, che, in presenza degli altri requisiti, non esclude lo stato di disoccupazione rilevante bensì ne consente la sola sospensione, ex art. 19 L.150/2015.
Da tanto discende il rigetto del ricorso, conformemente alla requisitoria del PG.
Le spese vanno compensate tenuto conto del consolidamento del citato orientamento giurisprudenziale di legittimità in epoca successiva alla proposizione del ricorso in cassazione. Sussistono, infine, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Compensa le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’udienza pubblica del 26 marzo