Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22764 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 22764 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 11825-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE BARIRAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1962/2020 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 16/02/2021 R.G.N. 2697/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 11825/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 22/05/2025
CC
RILEVATO CHE
1.Con sentenza in data 16 febbraio 2021 , la Corte d’Appello di Bari, respingendo l’appello proposto, ha confermato la decisione di primo grado che, in parziale accoglimento del ricorso avanzato da NOME COGNOME, aveva condannato l’RAGIONE_SOCIALE al riconoscimento del periodo di guida effettiva (ai fini dell’acquisizione del superiore parametro retributivo) e dell’anzianit à di servizio (ai fini degli aumenti periodici di anzianità) entrambi maturati in relazione ai tre contratti a tempo determinato stipulati con il ricorrente, disattendendo la domanda con riferimento al primo contratto a termine intercorso fra le parti e ai contratti di somministrazione conclusi.
In particolare, la Corte, condividendo l’ iter decisorio del primo giudice, ha ritenuto che la circostanza che il contratto a tempo indeterminato concluso a seguito dei contratti a termine non si caratterizzava come risultato della conversione e/stabilizzazione dei precedenti contratti a termine non fosse preclusiva del riconoscimento della anzianità relativa ai fini degli scatti periodici previsti dalle parti sociali.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’RAGIONE_SOCIALE affidandolo a due motivi.
Resiste, con controricorso, NOME COGNOME.
Entrambe le parti hanno presentato memorie.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo di ricorso si censura la decisione impugnata per violazione degli artt. 2943 ult. co., 2935, 2948, 1362 e 1363 cod. civ. deducendo l’omessa verifica, da parte della Corte, della efficace interruzione della prescrizione da parte del ricorrente.
Con il secondo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della Direttiva 1999/70/CE e la Clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato All. alla Direttiva,
nonché dell’art. 6 del D. Lgs. n. 368 del 2001 e dell’art. 7 CCNL 1976 e AN 25.7.1997 autoferrotranvieri, nonché dell’art. 1362 cod. civ., in rapporto al combinato disposto degli artt. 8 RD 148/1931 e 1 e 19 All. A RD 148/1931 là dove la Corte non ha inte rpretato l’art. 7 del CCNL nel senso di ritenere che il riferimento espresso ai periodi di ‘ruolo avventizio’ fosse un chiaro rimando al R.D. 148/1931 secondo il quale l’immissione in ruolo determina il riconoscimento del trattamento di stabilità, con conseguente esclusione del periodo di prestazioni con contratto a tempo determinato dal computo dell’anzianità di servizio.
Il primo motivo non può trovare accoglimento.
3.1. Occorre, premettere, quanto alla dedotta violazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., che l’interpretazione del regolamento contrattuale è attività riservata al giudice di merito, pertanto sottratta al sindacato di legittimità salvo che per il caso della violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale, tuttavia, non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (sul punto, ex plurimis, Cass. n. 11254 del 10/05/2018).
3.2. Con riferimento al contenuto della censura, avente ad oggetto la dedotta omissione della verifica concernente la efficace interruzione del termine prescrizionale, va rilevato come parte ricorrente aggredisca la decisione di secondo grado per aver omesso di verificare quando il termine di prescrizione relativo al diritto al ricalcolo degli aumenti periodici di anzianità fosse stato validamente interrotto, se con la nota inviata dal lavoratore in data 20 ottobre 2014, ovvero se mediante notifica del ricorso.
Orbene, parte ricorrente, nel motivo proposto, censura l’operato della Corte di merito per non essersi la stessa avveduta del fatto che la nota non contenesse alcuna domanda di ricalcolo degli aumenti periodici di anzianità in ragione della richiesta inclusione dei periodi di contratto a tempo indeterminato nell’anzianità di servizio e, pertanto, non potesse in alcun modo ritenersi validamente interruttiva della prescrizione.
Giova premettere che, come noto, l’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c.,
qualunque sia il tipo di errore (“in procedendo” o “in iudicando”) per cui è proposto, non può essere assolto “per relationem” con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata (fra le tante, Cass. n. 342 del 2021).
Nella specie, dalla lettura della decisione impugnata si evince come le doglianze relative al termine prescrizionale si fossero appuntate esclusivamente sulla decorrenza con riguardo ai singoli contratti a termine intercorsi fra le parti avendo l’appella nte evidenziato essere il primo particolarmente risalente nel tempo e non si rinviene, invece, traccia del riferimento al contenuto dell’atto introduttivo.
Il motivo di appello, per come riportato in ricorso, induce a ritenere corretta l’interpretazione da parte della Corte, rinvenendosi esclusivamente un riferimento non chiaro e meramente incidentale al contenuto della lettera interruttiva che si vorrebbe oggi oggetto di diversa valutazione in sede di legittimità.
Vi si legge, infatti, ‘ Ne consegue l’evidente errore in cui è incorso il giudice, il quale evidentemente intendeva riferirsi esclusivamente ai tre contratti a tempo determinato sorti il 28.12.2010, il 7.4.2011 ed il 27.4.2012. Tra il primo contratto a termine (dal 19.06.2005 al 18.09.2005) ed il secondo sono trascorsi peraltro oltre cinque anni, e anche a voler prescindere dal contenuto della lettera del 20.10.2014, da ritenersi comunque priva di efficacia, l’intervenuta prescrizione quinquennale deve riten ersi indiscussa’.
Deve concludersi, al riguardo, che parte ricorrente, nel formulare la censura in oggetto e nel dedurre l’omessa verifica da parte della Corte d’appello del contenuto del mentovato atto interruttivo, non si è conformata a quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi ex artt. 360 co. 1 nn.3 e 5 e, cioè, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l ‘ apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 34476 del 2021).
4. Il secondo motivo è infondato.
Come noto, la clausola 4 dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP del 18 marzo 1999, allegato alla direttiva n. 99/70/CE sancisce il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato comparabili per quanto riguarda le condizioni di impiego. Qualsiasi differenza di trattamento deve essere giustificata da ragioni oggettive. Introduce inoltre il principio del “pro rata temporis” ove appropriato e rimanda agli Stati membri e/o alle parti sociali la definizione delle modalità di applicazione, nel rispetto delle normative, dei contratti collettivi e delle prassi nazionali. Infine, stabilisce che anche i criteri relativi all’anzianità devono essere gli stessi, salvo giustificazioni oggettive.
Posto che, per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive, al n. 4 si prevede che i criteri relativi al periodo di anzianità per quanto riguarda particolari condizioni di impiego dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive.
La Corte di giustizia ha affermato, già a partire dalla sentenza del 15 aprile 2008 nella causa C-268/06, Impact che la clausola 4 si applica a tutte le condizioni di impiego, inclusi i criteri di anzianità per l’accesso a particolari benefici. Ha inoltre chiarito che la nozione di “ragioni oggettive” che possono giustificare una disparità di trattamento deve essere interpretata restrittivamente e si riferisce a differenze sostanziali e non temporanee tra le situazioni dei lavoratori a tempo determinato e indeterminato.
Nella giurisprudenza successiva, che muove dalla sentenza del 13 marzo 2014 nella causa C-595/12, NOME COGNOME la Corte ha ribadito che il principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 osta a una normativa nazionale che esclude in modo generale ed automatico i lavoratori a tempo determinato dal computo dell’anzianità di servizio ai fini della progressione economica, senza che tale esclusione sia giustificata da ragioni oggettive.
Questa Corte ha, in numerose pronunzie, adeguato la nomofilachia interna ai principi del diritto europeo affermando che la clausola 4 dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP del 18 marzo 1999,
allegato alla direttiva n. 99/70/CE, impone al datore di lavoro di assicurare loro la parità di trattamento con i dipendenti assunti ab origine a tempo indeterminato ( ex plurimis, Cass. n. 30784 2024) e, per quanto qui interessa, impone al datore di lavoro di riservare all’assunto a tempo determinato il medesimo trattamento previsto per l’assunto a tempo indeterminato e, pertanto, il datore di lavoro sarà tenuto ad includere nel calcolo, ai fini dell’anzianità, anche il servizio prestato sulla base di rapporti a tempo determinato (fra le tante, Cass. n. 7584 del 2022).
A fronte di tale previsione, di ormai consolidata interpretazione, il generico riferimento alle peculiarità del servizio autoferrotramviario in assenza di puntuale indicazione quanto alle ragioni oggettive – su cui la Corte d’appello ha espresso una valuta zione insuscettibile di riesame in sede di legittimità – non consente di condividere l’opzione interpretativa avanzata da parte ricorrente atteso che, secondo l’interpretazione di Corte, la discriminazione basata unicamente sulla durata del contratto è vietata, le ragioni oggettive devono essere concrete, specifiche e legate a reali esigenze dell’organizzazione del lavoro o alle peculiarità delle mansioni svolte non è sufficiente invocare genericamente la “precarietà” del rapporto a termine (sul punto, ex plurimis, Cass. 20407 del 2018)
Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto.
4.1. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
S ussistono i presupposti processuali per il versamento, dalla parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dell’ articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
PQM
La Corte respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 5.500,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 22 maggio 2025.