SENTENZA CORTE DI APPELLO DI FIRENZE N. 466 2024 – N. R.G. 00000460 2023 DEL 24 03 2025 PUBBLICATA IL 25 03 2025
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d’Appello di Firenze Sezione Lavoro
composta dai magistrati dott. NOME COGNOME dott. NOME COGNOME dott. NOME COGNOME
presidente consigliera rel. consigliera
All’udienza del 12.9.2024, all’esito della camera di consiglio, come da dispositivo separato, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al N. RG. 460/2023
promossa
da
– appellante –
Avv. NOME COGNOME
contro
– appellato –
Avv.te NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
COGNOME
– appellata –
contumace
Avente ad oggetto: appello avverso la sentenza n. 253/2023 del Tribunale di Arezzo giudice del lavoro, pubblicata il 21.6.2023, non notificata
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
odierna appellante, è dipendente a tempo indeterminato dell’ dal 21.12.1998, da ultimo inquadrata nell’area C, comparto funzioni centrali, livello economico 2, profilo professionale delle attività amministrative. Prima dell’assunzione a tempo indeterminato, l’attrice aveva lavorato per l’ente di previdenza in forza di un contratto a termine, stipulato per la sostituzione di una dipendente in maternità, svoltosi nel periodo 7.1.1998 – 10.12.1998.
Nel 2022 la lavoratrice ha partecipato a una procedura selettiva per titoli, diretta alla progressione economica orizzontale, nell’ambito della quale 341 posti erano riservati alla progressione, con decorrenza dal 1.1.2022, dal livello economico 2 al livello 3 dell’area e del profilo di appartenenza di
In quella procedura l’attrice si è classificata al posto n. 363 della graduatoria, approvata con determinazione DCRU n. 607/2022 e riformulata con determinazione DCRU n. 35/2023, risultando idonea, ma non vincitrice.
E’ poi incontroverso che, quanto al titolo rappresentato dall’anzianità, l’amministrazione abbia valutato unicamente il periodo di servizio prestato dalla lavoratrice dopo l’assunzione a tempo indeterminato , non computandovi invece il lavoro prestato nel corso del contratto a termine. E’ pure pacifico che, ove al contrario quel servizio fosse stato valutato, avrebbe maturato il punteggio finale di 72,75 punti (anziché 71,50) e si sarebbe così collocata alla posizione 316 della graduatoria, tra i vincitori.
Dopo avere contestato stragiudizialmente la legittimità degli esiti della procedura, la lavoratrice ha agito davanti al Tribunale di Arezzo, assumendo la violazione, da parte dell’ , del divieto di discriminazione dei lavoratori assunti a tempo determinato, contenuto nella clausola 4 dell’Accordo quadro attuato con la direttiva 1999/70 CE , che avrebbe imposto, nella specie, all’amministrazione di riconoscerle l’anzianità maturata nel corso del rapporto a termine e di conseguenza di attribuirle una posizione in graduatoria utile alla progressione economica nel livello superiore.
L’attrice ha quindi rivendicato in tesi, in confronto dell’ente e della collega NOME COGNOME, collocatasi in graduatoria alla posizione 341 (l’ultima utile per l’acquisizione della progressione), il proprio diritto al riconoscimento integrale dell’anzianità di servizio e quindi all’attribuzione
del livello economico 3 dell’area C Comparto Funzioni Centrali, profilo professionale delle attività amministrative, con decorrenza dal 1.1.2022. Ha chiesto di conseguenza la condanna del l’ a corrisponderle le differenze tra il trattamento retributivo in godimento e quello che le sarebbe spettato ove fosse stata correttamente inquadrata. In ipotesi ha concluso per la ripetizione della procedura e, in ulteriore subordine, per la condanna dell’ a risarcirle il danno che le avrebbe cagionato l’illegi ttima formulazione della graduatoria, che ha quantificato in una somma corrispondente alle differenze stipendiali tra il livello economico 2 e il livello economico 3 dell’area C Comparto Funzioni Centrali, profilo professionale delle attività amministrative, o in quella diversa comunque ritenuta di giustizia.
La controinteressata è rimasta contumace, mentre si è costituito l per resistere, assumendo la correttezza della graduatoria, in quanto il bando avrebbe previsto la valutazione del solo servizio prestato a tempo indeterminato. Previsione che sarebbe stata del tutto legittima, in quanto il servizio svolto da nel corso del rapporto a termine non sarebbe stato paragonabile a quello di un dipendente a tempo indeterminato, facendosi questione di un contratto concluso ‘ in assenza di qualsivoglia s elezione/valutazione da parte dell’amministrazione, mediante reclutamento dalle liste di collocamento, per sopperire o meglio ‘tamponare’ alle esigenze eccezionali e temporanee inerenti la funzionalità della struttura in questione ‘ (così testualmente la memoria di primo grado dell’istituto di previdenza). Secondo l’ente quindi ‘ temporaneità, specifica modalità di svolgimento e causalità caratterizzanti detto rapporto lavorativo a termine stipulato in sede locale, definito nel tempo e nel contenuto, unitamente all’elemento di cesura intercorso tra detto rapporto ed il successivo contratto di formazione lavoro (finalizzato alla stabilizzazione), nonché l’assenza di modalità di selezione ‘ avrebbero nettamente differenziato il rapporto a termine da quello successivo a
tempo indeterminato intercorso tra le parti e avrebbero pertanto integrato le ‘ ragioni oggettive derogatorie rispetto alla clausola 4 dell’accordo quadro di cui alla direttiva 1990/70UE ‘ (così ancora la memoria dell’ ) .
In ogni caso, secondo l’ente convenuto, la direttiva neppure stata applicabile nella specie, in quanto il contratto a termine si era svolto interamente prima della scadenza del termine previsto per la trasposizione della direttiva stessa. L’ente ha concluso quindi davanti al Tribunale per il rigetto delle domande avversarie.
Il primo giudice ha respinto il ricorso, ritenendo decisivo il fatto che il contratto a termine fosse stato stipulato, e la prestazione svolta, interamente prima della scadenza del termine per la trasposizione della direttiva.
La lavoratrice impugna la decisione davanti a questa Corte e ne chiede la riforma e quindi l’accoglimento delle conclusioni già svolte in primo grado, censurando il decisum in quanto si discosterebbe da una consolidata giurisprudenza, di legittimità e di merito, secondo cui le previsioni della direttiva sarebbero applicabili ‘ anche nell’ipotesi in cui il rapporto a termine sia antecedente alla data … , di entrata in vigore della direttiva, perchè, in assenza di espressa deroga, il diritto dell’Unione si applica agli effetti futuri delle situazioni sorte nella vigenza della precedente disciplina ‘ (così l’atto di appello, citando Cass.15231/2020) .
La parte ha poi richiamato gli ulteriori argomenti svolti nel ricorso di primo grado e rimasti assorbiti (segnatamente quanto all’inesistenza di ragioni oggettive di deroga al principio paritario) e ha concluso come in quell’atto.
Si è costituito l’ , chiedendo il rigetto dell’appello, mentre la controinteressata è rimasta contumace.
Così riassunta la presente vicenda processuale, nel merito la Corte non condivide l’assunto del Tribunale in ordine all’ inapplicabilità nella specie della direttiva 99/70 , in ragione dell’epoca di svolgimento del
rapporto a tempo determinato, che era già esaurito alla scadenza del termine previsto per l’attuazione della direttiva stessa (circostanza questa in fatto del tutto pacifica). La soluzione preferita nella sentenza impugnata contravviene infatti un consolidato indirizzo di legittimità (cui questa Corte convintamente aderisce), secondo cui ‘ ” la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato, recepito dalla direttiva 99/70/CE , di diretta applicazione, impone al datore di lavoro pubblico di riconoscere, ai fini della progressione stipendiale e degli sviluppi di carriera successivi al 10 luglio 2001, l’anzianità di servizio maturata sulla base di contratti a tempo determinato, nella medesima misura prevista per il dipendente assunto “ab origine” a tempo indeterminato, fatta salva la ricorrenza di ragioni oggettive che giustifichino la diversità di trattamento; tale principio è applicabile anche nell’ ipotesi in cui il rapporto a termine sia anteriore all’entrata in vigore della direttiva perché, in assenza di espressa deroga, il diritto dell’Unione si applica agli effetti futuri delle situazioni sorte nella vigenza della precedente disciplina ‘ (così da ultimo, ma ex plurimis Cass. 1845/2023). Da tali principi non vi è ragione di discostarsi, così che, facendosi nella specie questione proprio di effetti attuali di rapporti negoziali sorti prima dell ‘ entrata in vigore della direttiva, deve senz’altro valutarsi la legittimità della condotta dell’amministrazione alla luce del principio di non discriminazione dei lavoratori a termine, portato nella direttiva medesima
Sul punto merita, in primo luogo, rilevare come sia del tutto pacifico che la lavoratrice sia stata inquadrata, sia nel corso del rapporto a termine , sia all’atto dell’assunzione con contratto di formazione, poi trasformato in contratto a tempo indeterminato, nella medesima qualifica (all’epoca la VI qualifica funzionale; cfr. sul punto i docc. 2 e 6 dell ).
E pacifico questo dato, sembra al collegio che non occorra accertare altro ai fini della comparazione tra la posizione dell’odierna appellante e quelle dei dipendenti dell’ente assunti a tempo indeterminato di pari
qualifica, attesa la nozione formale di equivalenza delle mansioni nell’impiego pubblico e neppure effettivamente allegato dall ‘ ente (cioè allegato con una, anche minima, specificità) che non abbia svolto, per tutta la durata del rapporto precario, mansioni proprie della qualifica di appartenenza. Gli elementi in atti consentono quindi di affermare non esservi stata, sul piano delle mansioni, alcuna effettiva differenza tra l’attività svolta dall’attrice nel corso del rapporto a termine e quella dei lavoratori del corrispondente livello e profilo assunti a tempo indeterminato (compresa la stessa attrice, all ‘ atto della sua assunzione a tempo indeterminato).
L’amministrazione assume tuttavia che le posizioni siano diverse, per essere avvenuta l’assunzione a termine di ‘ in assenza di qualsivoglia selezione/valutazione da parte dell’amministra zione, mediante reclutamento dalle liste di collocamento, per sopperire o meglio ‘tamponare’ alle esigenze eccezionali e temporanee inerenti la funzionalità della struttura ‘ .
17.
Si tratta di una prospettazione non condivisibile. La Corte ritiene infatti ancora valida la considerazione già svolta in un proprio precedente reso in una controversia di analogo oggetto (si tratta della sentenza 31.5.2018, conclusiva del procedimento Rg. N. 621/2017, pres.
est. COGNOME), secondo cui né le modalità di selezione né i titoli necessari all’assunzione (anche ove per ipotesi differenti per lavoratori a termine e a tempo indeterminato) potrebbero comunque costituire fattori rilevanti ai fini che interessano. Nella specie infatti si fa questione, non di differenti livelli stipendiali iniziali (che potrebbero per ipotesi essere diversi in dipendenza delle esperienze professionali necessarie e della difficoltà dell’accesso), ma del riconoscimento, a fini economici o normativi, dell’esperienza maturata nello svolgimento di una determinata attività , così che l’unico fattore idoneo a ragionevolmente giustificare
differenze dovrebbe essere quello della natura e complessità delle mansioni.
Mansioni che, quanto alla posizione dell’appellante , si è detto essere state del tutto analoghe a quelle dei lavoratori dipendenti dell’ente assunti a tempo indeterminato di pari qualifica.
Data una simile conclusione, deve pertanto valutarsi la compatibilità con il diritto dell’Unione di un sistema interno delle fonti che disciplini diversamente il trattamento dei dipendenti pubblici a termine rispetto a quello degli assunti a tempo indeterminato comparabili.
In esito a detto esame il collegio ritiene fondate le domande attrici svolte in tesi, alla luce di diversi, specifici precedenti della Corte di Giustizia.
Quanto all’efficacia di tali pronunce merita innanzi tutto rammentare come qualsiasi decisione del giudice dell’Unione che applichi o interpreti ‘ una norma comunitaria ha indubbiamente carattere di sentenza dichiarativa del diritto comunitario, nel senso che la Corte di Giustizia, come interprete qualificato di questo diritto, ne precisa autoritariamente il significato con le proprie sentenze e, per tal via, ne determina, in definitiva, l’ampiezza e il contenuto delle possibilità applicative .. È alla stregua dei principi appena ricordati che si attribuisce alle sentenze della Corte di Giustizia il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità. Tale efficacia va riconosciuta a tutte le sentenze della Corte di Giustizia, sia pregiudiziali ai sensi dell’art. 177 del Trattato (Corte Cost. 113/85), sia che siano emesse in sede contenziosa ai sensi dell’art. 169 dello stesso Trattato (Corte Cost. 389/89, come la precedente richiamata da Corte Cost. 168/91) ‘ (Cass.,
sez. un., 13 febbraio 1998, n. 1312; più di recente, tra le altre, Cass., sez. II, 2 marzo 2005, n. 466).
Assunti questi principi, è poi noto come la materia del contratto a termine sia stata regolata dal diritto dell’Unione a mezzo della direttiva 1999/70/UE, che aveva recepito l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso dalle organizzazioni intercategoriali a carattere generale -Unione delle confederazioni delle industrie della Comunità europea (UNICE), Centro europeo dell’impresa a partecipazione pubblica (CEEP), Confederazione europea dei sindacati (CES) -il 18 marzo 1999, direttiva che trova pacificamente applicazione anche ai rapporti di lavoro a termine con amministrazioni pubbliche (in tal senso cfr. Corte giust. UE 4 luglio 2006, grande sez., in causa c-212/04, e Corte giust. UE, sez. II., 7 settembre 2006, c-53/03, Marrosu e ).
E’ del pari noto come il legislatore italiano abbia inteso dare attuazione alla predetta direttiva con il D.L.gs. 368/2001, contenente una disciplina del contratto a tempo determinato astrattamente applicabile in tutti i settori dell’ordinamento, compreso qu ello del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, poiché in linea di principio una legge interna di trasposizione di una direttiva non può avere che la stessa area di efficacia, salve specifiche esclusioni.
Se così è, è certo che la direttiva 1999/70/UE, in quanto recepita dal legislatore italiano, abbia effetti diretti anche sui rapporti di lavoro dei dipendenti dell’odierno appellato; una diretta vincolatività che opera su tali rapporti negoziali anche per il fatto che ne è parte una pubblica amministrazione (Corte giust. 26 febbraio 1986, c-152/84, Marshall I , p. 49, e 12 luglio 1990, c-188/89, Foster , p. 17).
Ne deriva l’obbligo del giudice nazionale di adottare della normativa interna (cioè delle norme primarie e a fortiori di quelle negoziali
ex lege disciplinanti il trattamento economico e normativo dei pubblici dipendenti) una interpretazione, tra le diverse consentite dal tenore della disciplina interna, conforme al testo ed agli obiettivi della direttiva (v. già Corte giust., 10 aprile 1984, causa c-14/83, e più recentemente, tra le altre, Corte giust., 13 novembre 1990, causa c106/89, Marleasing , 15 maggio 2003, causa c-160/01, Mau , e 4 luglio 2006, causa c-212/04, . In caso diverso, e quindi ove il giudice naz ionale constati l’impossibilità di pervenire ad una soluzione ermeneutica conforme alla direttiva 1999/70/UE, egli è senz’altro tenuto a non applicare la disposizione interna difforme, per dare integrale attuazione all’ordinamento europeo e proteggere i diritti che questo attribuisce ai singoli (Corte giust., 2 maggio 2003, causa c-462/99, Connect Austria Gesellschaft für Telekommunikation ).
Ciò posto, sul punto che più specificamente interessa deve rilevarsi come la clausola 4, punto 1 dell’accordo quadro europeo allegato alla direttiva 99/70, vieti l’applicazione di ‘ condizioni di impiego ‘ deteriori per i lavoratori a termine, determinate dal ‘ solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive ‘. Il punto 4 della stessa clausola dispone inoltre che ‘ i criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro devono essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive ‘.
E la Corte di Giustizia, con due successive decisioni (Corte giust. 13 settembre 2007, causa c-307/05, vs , Corte di Giustizia, 22 dicembre 2010, cause riunite C-444/09 e C-456/09, e vs e ) si è espressa per la incompatibilità con la clausola 4 dell’accordo quadro europeo allegato alla direttiva 99/70, di norme interne che escludevano il
personale a tempo determinato dagli scatti retributivi triennali riconosciuti invece ai dipendenti di ruolo a tempo indeterminato.
Né rileva in alcun modo in contrario la circostanza che il riconoscimento dell’anzianità maturata nel corso dei rapporti a termine sia stata rivendicata (come è accaduto nella specie) dopo la costituzione con l’amministrazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, giacché tale era la condizione datasi anche davanti alla Corte di Giustizia almeno nel procedimento .
Quest’ultima questione è stata poi affrontata specificamente dalla Corte nella successiva pronuncia 8 settembre 2011 (causa n. C-177/10,
dell’Unione ha espressamente assunto che ‘ la sola circostanza che il ricorrente nella causa principale abbia acquisito la qualità di dipendente pubblico di ruolo e che il suo accesso ad una procedura di selezione per via interna sia subordinato al possesso di tale qualità non esclude che abbia la possibilità di avvalersi, in talune circostanze, del principio di non discriminazione enunciato nella clausola 4 dell’accordo quadro…Poiché la discriminazione contraria alla clausola 4 dell’accordo qu adro di cui asserisce essere vittima il ricorrente nella causa principale riguarda i periodi di servizio prestati in qualità di dipendente pubblico temporaneo, è priva di rilievo la circostanza che nel frattempo sia divenuto dipendente pubblico di ruolo’. In contrario ‘escludere a priori l’applicazione dell’accordo quadro in una situazione come quella di cui alla causa principale, … significherebbe limitare, ignorando l’obiettivo attribuito a detta clausola 4, l’ambito della protezione concessa ai lavoratori interessat i contro le discriminazioni e porterebbe ad un’interpretazione indebitamente restrittiva di tale clausola, contraria alla giurisprudenza della Corte ).
Inoltre nella decisione 13.9.2007 la Corte, premesso che la direttiva 1999/70 deve ritenersi applicabile quanto a tutti i lavoratori che forniscono prestazioni retribuite in un rapporto d’impiego a tempo determinato vincolante nei confronti del datore di lavoro (p. 28), ha escluso che, per la sua finalità protettiva, il principio di non discriminazione contenuto nell’accordo quadro principio di diritto sociale comunitario -possa essere interpretato restrittivamente (p. 38), così che il concetto di ‘ condizioni di impiego ‘ di cui alla citata clausola 4.1 va letta ‘ nel senso che essa può servire da fondamento ad una pretesa come quella .. che mira all’attribuzione, ad un lavoratore a tempo determinato, di scatti di anzianità che l’ordinamento interno riserva ai soli lavoratori a tempo indeterminato ‘ (p. 48).
E il divieto contenuto nella clausola 4.1 è stato ritenuto incondizionato e sufficientemente preciso da non richiedere atti di trasposizione interna della direttiva, con la sola riserva relativa alle giustificazioni fondate su ragioni oggettive, le quali, tuttavia, sono soggette al sindacato giurisdizionale (Corte giust. Impact , p. 65 e 68; Corte Giustizia, , p. da 78 a 81 ).
Quanto alla natura di dette ‘ ragioni oggettive ‘ idonee a consentire ‘ condizioni di impiego ‘ differenziate dei lavoratori a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato, nella stessa pronuncia la Corte ha richiamato la giurisprudenza formatasi sull’identica espressione contenuta nella successiva clausola 5.1, lett. a ) dell’accordo quadro, e posta a giustificazione del rinnovo di contratti o rapporti di lavoro a termine (cfr. in particolare, Corte giust., Adeneler ).
E ha ritenuto che al pari di quest’ultima, anche la prima vada riferita a circostanze ‘ precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività’ (p. 53-58), mentre tali requisiti non possono essere
soddisfatti da una disposizione nazionale, generale ed astratta, di fonte legislativa o negoziale, che stabilisca la disparità di trattamento (p. 57).
Ancora, non ha il minimo rilievo, ai fini di causa la circostanza che la lavoratrice, dopo la conclusione del rapporto a termine, abbia instaurato con l’amministrazione un rapporto nuovo e diverso dalla precedente relazione negoziale precaria.
Infatti nella sentenza 18.10.2012 (cause riunite da C -302/11 a C -305/11, Valenza contro Autorità garante della concorrenza e del mercato ), a fronte della difesa dello Stato italiano fatta propria anche dall’amministrazione appellata nel presente giudizio e relativa all’alterità tra rapporti precari e rapporti a tempo indeterminato, costituitisi per effetto di nuovi contratti, la Corte di Giustizia ha affermato che ‘ il principio di non discriminazione enunciato nella clausola 4 dell’accordo quadro sarebbe privato di qualsiasi contenuto se il semplice fatto che un rapporto di lavoro sia nuovo in base al diritto nazionale fosse idoneo a configurare una «ragione oggettiva» ai sensi della clausola suddetta, atta a giustificare una diversità di trattamento, … riguardante la presa in considerazione al moment o dell’assunzione a tempo indeterminato, da parte di un’autorità pubblica, di lavoratori a tempo determinato -dell’anzianità acquisita da questi ultimi presso tale autorità nell’ambito dei loro contratti di lavoro a termine ‘.
Mentre anche l’obiettivo di non penalizzare chi sia stato assunto per pubblico concorso non varrebbe comunque a giustificare ‘ una normativa nazionale sproporzionata quale quella in questione …, la quale esclude totalmente e in ogni circostanza la presa in considerazione di tutti i periodi di servizio compiuti da lavoratori nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato ai fini della determinazione della loro anzianità in sede di assunzione a tempo indeterminato e, dunque, del loro livello di retribuzione. Infatti, una siffatta esclusione totale e assoluta è
intrinsecamente fondata sulla premessa generale secondo cui la durata indeterminata del rapporto di lavoro di alcuni dipendenti pubblici giustifica di per sé stessa una diversità di trattamento rispetto ai dipendenti pubblici assunti a tempo determinato, svuotando così di sostanza gli obiettivi della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro’ (così ancora CGUE, Valenza, cit.).
Deve quindi concludersi che le previsioni del bando, dirette a valorizzare, quale titolo di servizio, ai fini della progressione economica di cui è causa, la sola anzianità maturata dai candidati nel corso di rapporti a tempo indeterminato, siano illegittime, in quanto pregiudicano i lavoratori a termine, addetti, come lo era stata l’attrice, a mansioni del tutto analoghe a quelle di colleghi assunti a tempo indeterminato di pari qualifica e profilo, e quindi in assenza di qualsiasi ragione oggettiva di differenziazione, nel senso inteso dalla norma dell’Unione. La domanda svolta in tesi in ricorso è pertanto fondata e deve di conseguenza affermarsi il diritto dell’appellante a vedersi riconosciuta, nell’ambito della procedura selettiva indetta con determinazione 9.6.2022 del direttore delle risorse umane dell’ , l’anzianità di servizio maturata alle dipendenze dell’istituto di previdenza per la d urata del rapporto di lavoro a termine svoltosi tra le parti dal 7.1.1998 al 10.12.1998.
Per l’effetto , poiché non è contestato che, in esito al riconoscimento della maggiore anzianità, l’attrice abbia maturato un punteggio idoneo a consentirle di collocarsi tra i vincitori della selezione di cui è causa, deve dichiararsi il diritto di alla progressione economica dal livello economico 2 al livello economico 3 dell’area C comparto funzioni centrali, profilo professionale delle attività amministrative (oggetto della procedura selettiva di cui si è appena detto) con decorrenza dal 1.1.2022 . L’ente d i previdenza deve pertanto essere condannato a corrispondere alla lavoratrice le differenze tra il trattamento retributivo in godimento e quello
corrispondente al livello superiore a lei spettante, a decorrere dal 1.1.2022, oltre accessori di legge.
Le spese del doppio grado devono essere integralmente compensate quanto alla posizione della controinteressata, cui non è in alcun modo riferibile al violazione che ha determinato il presente giudizio, mentre l’amministrazione deve essere condannata a rifondere quelle, del doppio grado, di pertinenza dell’appellante , nella misura quantificata in dispositivo e da distrarsi in favore del difensore.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente decidendo, ogni altra domanda ed eccezione disattesa, in accoglimento delle domande svolte in tesi nell’atto di appello e in totale riforma della decisione impugnata: a) dichiara il diritto dell’appellante a vedersi riconosciuta, nell’ambito della procedura selettiva indetta con determinazione 9.6.2022 del direttore delle risorse umane dell’ , l’anzianità di servizio maturata alle dipendenze dell’istituto di previdenza per la durata del rapporto di lavoro a termine svoltosi tra le parti dal 7.1.1998 al 10.12.1998 ; b) per l’effetto dichiara il diritto di alla progressione economica dal livello economico 2 al li vello economico 3 dell’area C comparto funzioni centrali, profilo professionale delle attività amministrative (oggetto della procedura selettiva di cui al punto che precede) con decorrenza dal 1.1.2022; c) condanna quindi l’ a corrispondere a le differenze tra il trattamento retributivo in godimento e quello corrispondente al livello superiore di cui sub b) a decorrere da 1.1.2022, oltre accessori di legge.
Dichiara compensate le spese del doppio grado della controinteressata e condanna l’ a rifondere quelle del doppio grado di pertinenza dell’appellante, che liquida in € 3.609,00 oltre accessori di legge per il primo grado e in € 3.473,00 oltre accesso ri di legge per il presente grado, somme tutte da distrarsi in favore del difensore dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Firenze, nella camera di consiglio del 12.9.2024
Il Presidente Dott. NOME COGNOME
La consigliera est. dott. NOME COGNOME