Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 310 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 310 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 11998-2022 proposto da:
C.N.R. – CONSIGLIO RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 734/2021 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 11/11/2021 R.G.N. 58/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/11/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
Impiego pubblico Contratti a tempo determinato Principio di non discriminazione
R.G.N. 11998/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 22/11/2023
CC
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Salerno ha respinto l’appello proposto dal Consiglio Nazionale delle Ricerche avverso la sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore che aveva accolto il ricorso di NOME COGNOME e aveva condannato il resistente a riconoscere alla dipendente l’anzianità di servizio ma turata senza soluzione di continuità a decorrere dal 1° dicembre 2003, ai fini della corretta attribuzione del livello stipendiale spettante, ed a corrispondere le differenze retributive conseguenti alla ricostruzione della carriera;
la Corte distrettuale ha rilevato in punto di fatto che la COGNOME, assunta a tempo indeterminato il 15 dicembre 2008 a seguito della procedura di stabilizzazione ex lege n. 296/2006, in precedenza aveva svolto le mansioni di ricercatrice sulla base di rapporto a termine instaurato con l’Istituto Nazionale per la Fisica della Materia, poi incorporato dal C.N.R.;
ha richiamato giurisprudenza di questa Corte sul diritto dell’assunto a tempo determinato a non essere discriminato nelle condizioni di impiego, fra le quali va incluso il riconoscimento della anzianità ai fini dell’attribuzione di incrementi stipendiali, ed ha aggiunto che il C.N.R., quanto alla sussistenza di ragioni oggettive idonee a giustificare la disparità di trattamento, aveva fatto leva sulla avvenuta instaurazione ex novo del rapporto e sulla natura giuridica della stabilizzazione, senza evidenziare specifici e significativi profili di diversità fra le mansioni svolte prima e dopo la definitiva immissione in ruolo;
ha aggiunto che il C.C.N.L. di comparto equipara i ricercatori a termine a quelli a tempo indeterminato quanto all’attività di ricerca, alle valutazioni, ai diritti ed ai doveri e riconosce espressamente agli stessi la parità di trattamento a fini giuridici ed economici, sicché privo di giustificazione
risulta essere il mancato riconoscimento dell ‘ effettiva anzianità di servizio dopo la stabilizzazione;
5. quanto all’eccepita prescrizione la Corte territoriale ha rilevato che l’anzianità di servizio configura un mero fatto giuridico e non è suscettibile di prescrizione estintiva che può riguardare solo le pretese economiche anteriori alla domanda introduttiva del giudizio di primo grado;
6. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il C.N.R. sulla base di due motivi ai quali NOME COGNOME ha opposto difese con controricorso, illustrato da memoria.
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo il Consiglio Nazionale delle Ricerche denuncia ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. la violazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ. e addebita alla Corte distrettuale di avere ritenuto l’ identità delle mansioni svolte dalla ricercatrice prima e dopo l’immissione in ruolo sebbene la stessa non avesse assolto all’onere della prova posto a suo carico;
aggiunge che l’amministrazione aveva compiutamente argomentato sulla sussistenza di ragioni oggettive idonee a giustificare la diversità di trattamento ed asserisce che il giudice del merito ha indebitamente invertito l’onere della prova;
2. con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2947, 2948 e 2935 cod. civ. ed il ricorrente, dopo avere riportato nel ricorso il contenuto della memoria difensiva di primo grado e dell’appello con il quale l’eccezione di prescrizione era stata reiterata, addebita alla corte territoriale di avere contraddittoriamente, da un lato affermato, che la prescrizione quinquennale può riguardare le pretese economiche connesse al riconoscimento dell’anzianità di servizio, dall’altro respinto l’appello e
confermato la sentenza del Tribunale senza pronunciare sull’eccezione medesima, sebbene la pronuncia di prime cure non si fosse limitata al riconoscimento dell’anzianità di servizio ma avesse anche pronunciato sulle conseguenti differenze retributive, cond annando l’amministrazione al pagamento;
il primo motivo presenta profili di inammissibilità, perché non si confronta pienamente con il decisum della sentenza impugnata ed infondatamente invoca la regola di riparto fissata dall’art. 2697 cod. civ., alla quale la Corte non ha fatto ricorso;
è ius receptum l’orientamento secondo la denuncia di violazione dell’art. 2697 cod. civ. può assumere rilievo ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. solo qualora il giudice del merito, a fronte di un quadro probatorio incerto, abbia fondato la soluzione della controversia sul principio actore non probante reus absolvitur ed abbia errato nella qualificazione del fatto, ritenendolo costitutivo della pretesa mentre, in realtà, lo stesso doveva essere qualificato impeditivo. In tale evenienza, infatti, l’errore condiziona la decisione, poiché fa ricadere l e conseguenze pregiudizievoli dell’incertezza probatoria su una parte diversa da quella che era tenuta, secondo lo schema logico regola-eccezione, a provare il fatto incerto;
diverso è il caso che si verifica allorquando il giudice, valutate le risultanze istruttorie, ritenga provata o non provata una determinata circostanza di fatto rilevante ai fini di causa perché in detta ipotesi la doglianza sulla valutazione espressa, in quanto estranea all’interpretazione della norma, va ricondotta al vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. e, quindi, può essere apprezzata solo nei limiti fissati dalla disposizione, nel testo applicabile ratione temporis e come interpretata dalla costante giurisprudenza di questa Corte che, a partire da Cass. S.U. n. 8053/2014, ha escluso ogni
rilevanza dell’omesso esame di documenti o di risultanze probatorie ove il ‘fatto storico’ sia stato comunque apprezzato e valutato dal giudice del merito (cfr. fra le tante Cass. n. 21005/2023 e Cass. n. 32553/2022);
nella fattispecie la Corte territoriale, come già anticipato, ha effettuato un accertamento positivo sulla identità delle mansioni, desunta dalla documentazione in atti e dalla disciplina dettata dal CCNL di comparto, ed avvalorato detto convincimento evidenziando che il C.N.R. non aveva neppure allegato l’esistenza di differenze oggettive che giustificassero la diversità di trattamento;
così ragionando il giudice d’appello non è incorso nel vizio denunciato e non si è discostato dall’orientamento espresso da questa Corte (cfr. Cass. n. 705/2021) secondo cui, qualora venga in rilievo il corretto adempimento degli obblighi imposti dalla cla usola 4 dell’Accordo Quadro, recepita dall’art. 6 del d.lgs. n. 368/2001 ( secondo cui « Al prestatore di lavoro con contratto a tempo determinato spettano le ferie e la gratifica natalizia o la tredicesima mensilità, il trattamento di fine rapporto e ogni altro trattamento in atto nell’impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili, intendendosi per tali quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva, ed in proporzione al periodo lavorativo prestato sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine») e, successivamente, nell’art. 25 del d.lgs. n. 81/2015 , sul piano contrattuale è posta a carico del datore di lavoro una obbligazione, ossia quella di riservare all’assunto a tempo determinato le medesime condizioni previste per i dipendenti a tempo indeterminato comparabili, sicché l’onere probatorio, in caso di denunciato inadempimento, si ripartisce fra i contraenti sulla base della regola generale indicata dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 13533/2001) e, pertanto, spetterà al datore di
lavoro dimostrare o di avere esattamente adempiuto la prestazione, assicurando l’uniformità imposta dal diritto nazionale e eurounitario, o di non essere tenuto a farlo per la sussistenza di ragioni oggettive che consentono di derogare alla regola generale;
queste ultime costituiscono un fatto impeditivo all’applicabilità del regime ordinario della necessaria equiparazione del rapporto a termine a quello a tempo indeterminato, con la conseguenza che l’onere della prova non può che gravare sul soggetto che lo allega, per sottrarsi all’adempimento;
il motivo, quindi, non può trovare accoglimento;
ad analoghe conclusioni si perviene quanto alla seconda censura;
il giudice del merito ha espressamente pronunciato sul motivo di appello con il quale l’eccezione di prescrizione era stata riproposta, sicché non è incorsa nel vizio di omessa pronuncia (peraltro non denunciato nelle forme richieste da Cass. S.U. n. 17931/2013) al quale il C.N.R. fa cenno nel corpo del motivo;
nello storico di lite si è evidenziato che la sentenza qui impugnata richiama l’orientamento espresso da questa Corte a partire da Cass. 2232/2020, secondo cui l’effettiva anzianità di servizio può essere sempre accertata in giudizio, ed il limite quinquennale di prescrizione può riguardare solo le pretese economiche che su quella anzianità si fondano; non sussiste, pertanto, il vizio di violazione di legge fatto la pronuncia è corretta ed evidentemente presuppone un implicito accertamento sulla non maturazione, nella fattispecie concreta, del termine quinquennale, al quale il giudice d’appello ha fatto esplicito valere dal ricorrente perché in iure riferimento;
il motivo, con il quale si sostiene che, al contrario, la prescrizione sarebbe maturata in relazione alle differenze
retributive rivendicate per il periodo antecedente al quinquennio, da calcolare a ritroso a partire dalla data di notifica del ricorso introduttivo, prospetta una questione che non è giuridica (tenuto conto della correttezza del principio di diritto sulla base del quale la Corte distrettuale ha respinto l’impugnazione) e, pertanto, non può essere fatta valere nel giudizio di legittimità, atteso che l’ accertamento della prescrizione è riservato al giudice del merito, qualora l’indagine di fatto non sia stata inficiata da un error in iudicando inerente al termine applicato, ai criteri sulla base dei quali va individuato il dies a quo di decorrenza, ai requisiti che devono ricorrere affinché un atto possa avere efficacia sospensiva o interruttiva della prescrizione medesima;
il vizio motivazionale, al quale si fa cenno solo nel corpo del motivo, che , tra l’altro, non eccepisce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., non è configurabile nella fattispecie perché, come evidenziato da Cass. S.U. n. 8053/2014, all’esito della riformulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., la motivazione deve essere apprezzata in sé ed esula dal vizio di violazione di legge costituzionalmente rilevante « la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti , implicante un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito.»;
in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo;
non occorre dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002 perché la norma non può trovare applicazione nei confronti di
quelle parti che mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass. S.U. n. 9938/2014; Cass. n. 1778/2016; Cass. n. 28250/2017).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in € 4.000,00 per competenze professionali ed in € 200,00 per esborsi, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.
Così deciso nella Adunanza camerale del 22 novembre 2023