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Anzianità di servizio: sì al calcolo del precariato

Una ricercatrice, dopo essere stata stabilizzata da un ente di ricerca pubblico, ha chiesto il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata durante il precedente contratto a termine. La Cassazione ha respinto il ricorso dell’ente, confermando che, in assenza di prove su una diversità di mansioni, vige il principio di non discriminazione. L’anzianità di servizio pregressa deve quindi essere riconosciuta ai fini retributivi, e l’onere di provare ragioni oggettive per un trattamento diverso spetta al datore di lavoro.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Anzianità di servizio: sì al riconoscimento del periodo a termine

L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n. 310 del 2024, affronta una questione cruciale nel diritto del lavoro pubblico: il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata durante i contratti a tempo determinato ai fini della ricostruzione di carriera dopo la stabilizzazione. Questa decisione ribadisce con forza il principio di non discriminazione, ponendo chiari paletti sull’onere della prova a carico del datore di lavoro.

I fatti del caso: dalla stabilizzazione al ricorso in tribunale

Una ricercatrice, assunta a tempo indeterminato da un prestigioso Ente Nazionale di Ricerca a seguito di una procedura di stabilizzazione, si è vista negare il riconoscimento, ai fini stipendiali, di tutto il servizio prestato in precedenza con contratti a termine. L’ente sosteneva che il nuovo rapporto di lavoro a tempo indeterminato fosse completamente slegato dai precedenti, giustificando così una “partenza da zero” nella progressione di carriera. La lavoratrice ha quindi agito in giudizio per ottenere la corretta attribuzione del livello stipendiale, tenendo conto di tutta l’esperienza maturata, e il pagamento delle relative differenze retributive. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello le hanno dato ragione, condannando l’ente di ricerca. Quest’ultimo ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

Anzianità di servizio e onere della prova

Il cuore della difesa dell’ente si basava su due punti principali: l’errata applicazione delle regole sull’onere della prova e la prescrizione dei diritti economici. L’ente sosteneva che spettasse alla lavoratrice dimostrare la perfetta identità delle mansioni svolte prima e dopo la stabilizzazione. Inoltre, riteneva che il diritto al riconoscimento fosse ormai prescritto. La Corte di Cassazione ha smontato entrambe le argomentazioni. Ha chiarito che, in base al principio di non discriminazione tra lavoratori a termine e a tempo indeterminato, l’onere della prova è invertito. Non è il lavoratore a dover dimostrare che le mansioni erano identiche, ma è il datore di lavoro a dover provare l’esistenza di “ragioni oggettive” che giustifichino un trattamento diverso. La semplice instaurazione di un nuovo contratto non costituisce, di per sé, una ragione oggettiva valida.

La questione della prescrizione

Anche sul tema della prescrizione, la Corte ha fornito una precisazione fondamentale. Il diritto al riconoscimento dell’anzianità di servizio non è una mera pretesa economica, ma attiene a uno status del lavoratore. In quanto tale, è un “mero fatto giuridico” non soggetto a prescrizione estintiva. Ciò che può cadere in prescrizione sono unicamente le conseguenze economiche di tale riconoscimento, ovvero le differenze retributive. Queste ultime si prescrivono nel termine di cinque anni, calcolati a ritroso dalla data della domanda giudiziale, ma il diritto a veder riconosciuta la propria anzianità resta impregiudicato.

Le motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione sul principio di non discriminazione, recepito dalla normativa nazionale (d.lgs. 368/2001 e d.lgs. 81/2015) in attuazione della direttiva europea sul lavoro a tempo determinato. Secondo questo principio, i lavoratori a termine non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto a termine, a meno che non sussistano ragioni oggettive. La Corte ha stabilito che la “stabilizzazione” non azzera il passato professionale del lavoratore. Pertanto, l’onere di dimostrare che le mansioni erano diverse o che esistevano altre ragioni oggettive per differenziare il trattamento (ad esempio, diversi requisiti di accesso o diverse responsabilità) grava interamente sul datore di lavoro. In assenza di tale prova, l’anzianità pregressa deve essere pienamente valorizzata.

Le conclusioni

Con questa ordinanza, la Cassazione consolida un orientamento a tutela dei lavoratori stabilizzati nel pubblico impiego. Viene riaffermato che il servizio prestato con contratti a termine ha pieno valore e deve essere computato nella ricostruzione di carriera, salvo che l’amministrazione non dimostri, con prove concrete e specifiche, l’esistenza di elementi oggettivi che giustifichino una disparità di trattamento. La decisione rappresenta un importante baluardo contro le discriminazioni e garantisce che l’esperienza e la professionalità acquisite nel tempo vengano correttamente riconosciute anche sotto il profilo economico.

Un lavoratore stabilizzato ha diritto al riconoscimento dell’anzianità maturata con contratti a termine?
Sì, secondo la Corte, il lavoratore ha diritto al riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata durante i rapporti a termine precedenti la stabilizzazione, ai fini della corretta attribuzione del livello stipendiale e della ricostruzione di carriera.

A chi spetta l’onere di provare che le mansioni svolte prima e dopo la stabilizzazione erano diverse?
L’onere della prova spetta al datore di lavoro. È l’amministrazione che, per negare il riconoscimento dell’anzianità, deve dimostrare l’esistenza di ragioni oggettive, come una significativa diversità nelle mansioni svolte, che giustifichino un trattamento differente.

Il diritto al riconoscimento dell’anzianità di servizio può cadere in prescrizione?
No, il diritto al riconoscimento dell’anzianità in sé è considerato un “mero fatto giuridico” e non è soggetto a prescrizione. Tuttavia, le pretese economiche che ne derivano (cioè le differenze retributive) sono soggette alla prescrizione quinquennale, che decorre a ritroso dalla data della domanda giudiziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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