Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17726 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17726 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
previsto l’inquadramento nella posizione economica già conseguita nell’ordinamento di provenienza e l’Accordo Integrativo del 25.7.2019, secondo cui, ai sensi dell’art. 18, co. 2 e 3, del CCNL 2006/2009, i passaggi alla fascia retributiva superiore avvenivano con decorrenza fissa dal 1 gennaio di ogni anno;
secondo il ricorrente, tali disposizioni comportavano che l’anzianità di servizio valutabile, così come previsto dall’art. 3 dell’Accordo Integrativo citato era quella maturata sulla base di un calcolo che partisse dal 1989, dal che conseguiva la « presunzione assoluta » che la permanenza nella 3^ fascia dirimente per l’attribuzione del punteggio per la progressione oggetto di causa, non decorreva dal 2010, come ritenuto dal Ministero;
secondo il ricorrente era contraddittori o l’essersi riconosciuto che l’anzianità del ricorrente decorreva dal 1989, ma poi essersi basata la decisione su una decorrenza della fascia economica per la progressione in esame che risaliva solo dal 2010;
nel motivo si sostiene infine che sarebbe stato violato l’art. 2012 c.c. ( rectius , 2112), come richiamato dall’art. 30 del d. lgs. n. 165 del 2001, oltre che dall’art. 10 del CCNL 2006/2009, avendo il ricorrente richiesto con l’atto introduttivo del giudizio il riconoscimento di tutti i diritti derivanti dal suo rapporto di lavoro e specificamente l’acquisizione , anche per la continuità conseguente al trasferimento, di tutte le fasce di appartenenza maturate fin dal 1989, circostanze che il motivo assume essere incontroverse perché non contestate e quindi non richiedenti una specifica dimostrazione;
2.
il ricorrente non denuncia la violazione di norme del CCNL, per quanto le richiami nel motivo sostenendo che in base ad esse i passaggi di fascia sarebbero da considerare automatica conseguenza dell’anzianità di servizio;
l’assunto non può tuttavia essere condiviso;
l’art. 10 del CCNL 2006 -2009 regola, infatti, il reinquadramento del personale nel passaggio dal sistema di fasce economiche del CCNL preesistente a quello del nuovo CCNL e non gli effetti dell’anzianità in sé quale maturata presso un altro ente, sicché l’attribuzione della fascia economica ‘corrispondente’ a quella goduta
‘nell’ordinamento di provenienza’ è priva di rilievo al fine di sorreggere la tesi prospettata in causa, riguardando un fenomeno ben diverso da quello del passaggio dall’una all’altra P.A.;
l’art. 18, co. 2 e 3, del medesimo CCNL 2006/2009 fanno poi riferimento alla decorrenza fissa dei passaggi di fascia, stabilendola a 1° gennaio di ogni anno, nel senso che i passaggi di fascia, quali regolati in modo selettivo dal medesimo art. 18, quando si verificano, operano ogni anno dal 1° gennaio;
anche in questo caso la previsione è priva di rilievo al fine di sorreggere la tesi prospettata in causa, perché essa non contiene alcun automatismo promozionale, ma soltanto fissa la decorrenza temporale della progressione, quando si realizzino i corrispondenti presupposti che sono altri e non consistono nel mero crescere dell’anzianità ‘assoluta’ di servizio, come è reso evidente dalle previsioni sulle modalità di cernita del personale ad opera del comma 6 dello stesso art. 18, che si chiude addirittura affermando -diametralmente in contrasto con quanto ancora sembra sostenere il ricorrente -che « con particolare riferimento all’esperienza professionale occorre, altresì, evitare di considerare la mera anzianità di servizio ed altri riconoscimenti puramente formali, nell’ottica di valorizzare le capacità reali dei dipendenti, selezionati in base alle loro effettive conoscenze e a quello che gli stessi sono in grado di fare »;
meno esplicitamente, ma in senso palesemente analogo, disponeva altresì l’art. 17 del CCNL del 16 febbraio 1999 di comparto, secondo cui le progressioni economiche erano da attribuire « sulla base di criteri -definiti nel contratto integrativo di amministrazione -ispirati alla valutazione dell’impegno, della prestazione dell’arricchimento professionale acquisito, anche attraverso interventi formativi e di aggiornamento »;
i passaggi di fascia hanno dunque, nei diversi CCNL, una loro disciplina, non riconnessa all’anzianità ‘assoluta’, mai ai diversi ed articolati requisiti sulla cui base è da valutare il personale;
2.1
alla contrattazione integrativa è infine demandata (art. 18, cit., co. 7) la possibilità di integrare quei requisiti e viene quindi in evidenza quanto a tal fine disposto dall’Accordo integrativo del 27.5.2019;
la valutazione di tale contrattazione integrativa, che la Corte d’Appello ritiene tale da riportare il rilievo dell’anzianità di servizio all’interno di ogni fascia retributiva – vale a dire che il punteggio per la selezione riguardate la fascia successiva dipende dal momento di attribuzione della fascia precedente – non è profilo che possa essere dedotto tout court come violazione di legge ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. o 63, co. 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non trattandosi di CCNL (Cass. 9 giugno 2017, n. 14449; Cass. 19 marzo 2010, n. 6748);
semmai una violazione sul piano interpretativo avrebbe dovuto essere veicolata attraverso il richiamo ai canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c., ma di ciò non vi è traccia nel motivo;
2.2
anche la censura di contraddittorietà della sentenza impugnata, sulla base di quanto finora detto, mostra -così manifestandosi anche da questo punto di vista come inammissibile – di non avere colto la ratio decidendi ;
quest’ultima non va infatti intesa nel senso che vi sarebbe stato riconoscimento dell’anzianità dal 1989 e poi il disconoscimento di essa al momento della selezione per le progressioni, in quanto la Corte territoriale ha invece ritenuto, tra l’altro del tutto linearmente rispetto alla menzionata disciplina del CCNL, che il passaggio di fascia prevedesse sue regole di valorizzazione dell’anzianità, senza pregiudizio che, ad altri eventuali fini propri del rapporto di lavoro, l’anzianità potesse essere fatta risalire al 1989;
ragionamento la cui logicità, in sé e sul piano giuridico, è evidente;
2.3
d’altra parte, il motivo, continuando ad insistere sull’anzianità ‘assoluta’, non replica al rilievo della Corte d’Appello in ordine alla mancata deduzione delle modalità di progressione tra le fasce economiche quale in concreto verificatasi precedentemente rispetto al momento dell’ultima selezione;
profilo che è invece decisivo al fine dell’applicazione della contrattazione integrativa così come interpretata nella sentenza impugnata e destinata a resistere -per le ragioni sopra dette – al motivo di ricorso qui in esame;
2.4
è infine inammissibile il profilo di censura che richiama l’art. 2012 ( rectius , 2112) c.c.;
va intanto rilevato come l’applicazione dell’art. 2112 c.c., in quanto richiamato dall’art. 31 del d. lgs. n. 165 del 2001, presupporrebbe il verificarsi di un trasferimento di attività o di organizzazione produttiva, di cui il ricorrente non parla nel ricorso per cassazione ove si fa riferimento generico ad una ‘mobilità’ dall’Agenzia del Demanio, che potrebbe far pensare anche ad una mobilità individuale;
al di là di ciò – che è profilo assorbente di inammissibilità per difetto di esplicitazione dei fatti necessari ad inquadrare la fattispecie -il motivo si pone comunque in contrasto con il costante e qui condiviso orientamento di questa S.C., quale riepilogato da Cass. 16 maggio 2022, n. 15589, secondo cui « l’anzianità di servizio, che di per sé non costituisce un diritto che il lavoratore possa fare valere nei confronti del nuovo datore, deve essere salvaguardata in modo assoluto solo nei casi in cui alla stessa si correlino benefici economici ed il mancato riconoscimento della pregressa anzianità comporterebbe un peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto dal lavoratore
trasferito (Cass. n. 18220/2015; Cass. n. 25021/2014; Cass. n. 22745/2011; Cass. n. 10933/2011; Sez. U n. 22800/2010; Cass. n. 17081/2007)», mentre «l’anzianità pregressa … non può essere fatta valere da quest’ultimo per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario (Sez. U n. 22800/2010; Cass. n. 25021/2014 cit.), né può essere opposta al nuovo datore per ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, perché l’ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti, non delle aspettative, già entrati nel patrimonio del lavoratore alla data della cessione del contratto», sicché «il nuovo datore … ben può ai fini della progressione di carriera valorizzare l’esperienza professionale specifica maturata alle proprie dipendenze, differenziandola da quella riferibile alla pregressa fase del rapporto (Cass. n. 17081/2007; Sezioni Unite n. 22800/2010; Cass. n. 22745/2011 citate e, in relazione all’impiego privato, Cass. n. 7202/2009) »;
2.5
ininfluente è altresì il richiamo al principio di non contestazione, sia per la genericità di esso, sia perché l’acquisizione delle fasce superiori è effetto giuridico rispetto al quale quel principio non opera (Cass. 30 gennaio 2024, n. 2844);
3.
il secondo motivo sostiene la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., sul presupposto che il difetto di anzianità nella fascia di provenienza costituisse eccezione sollevata in primo grado dal Ministero e non esaminata dal Tribunale, sicché essa era da aversi per rinunciata, non essendo stata riproposta dall’appellato;
il terzo motivo, facendo logicamente seguito al secondo, denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., l’omessa pronuncia sul motivo di appello con il quale era stato ribadito come l’anzianità da
considerare fosse quella a decorrere dal 1989, per le ragioni esposte anche nel primo motivo del ricorso per cassazione;
4.
i motivi -come già rilevato nella sostanza dalla proposta di definizione ‘accelerata’ non colgono nel segno;
i profili disaminati dalla Corte territoriale non riguardano eccezioni del Ministero, ma i fatti costitutivi del diritto rivendicato, secondo la contrattazione quale ricostruita – in sintesi, ma chiaramente -dalla Corte territoriale;
quindi – anche al di là del fatto che la sintetica motivazione del Tribunale nel senso per cui era legittimo che fosse considerato l’interesse del cessionario a valorizzare specifiche competenze maturate presso di sé non è per nulla in contrasto con quanto poi sostenuto più in specifico dalla Corte d’Appello non vi era nessuna preclusione a che quei profili riguardanti l’assetto della contrattazione fossero disaminati in appello al fine di corroborare e strutturare la conferma della pronuncia reiettiva della domanda (Cass. 19 luglio 2018, n. 19274);
non vi è dunque stata alcuna extrapetizione e va da sé che anche i profili su cui insiste il terzo motivo non hanno pregio, restando assorbiti, in senso sfavorevole al ricorrente, da quanto detto sul secondo motivo e, per gli aspetti sostanziali, sul primo motivo;
5.
il ricorso va dunque rigettato;
la sostanziale coerenza tra quanto qui deciso ed il contenuto della proposta di definizione accelerata comporta le conseguenze di cui all’art. 380 -bis, co. 3, c.p.c.;
peraltro, non avendo il Ministero svolto difese, l’unica misura da applicare è quella di cui all’art. 96, co. 4, c.p.c., oltre alla declaratoria in ordine al c.d. raddoppio del contributo unificato, ai sensi di legge.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di euro 1.000,00. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro