Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8706 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 8706 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/04/2025
SENTENZA
sul ricorso 15952-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
Oggetto
LAVORO SUBORDINATO TRASFERIMENTO DEL LAVORATORE
R.G.N. 15952/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 12/03/2025
PU
avverso la sentenza n. 1107/2023 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 11/01/2024 R.G.N. 500/2023; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del primo motivo e inammissibili gli altri motivi; udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Milano, confermando la pronuncia del giudice di primo grado, ha dichiarato illegittimo il trasferimento disposto dalla società RAGIONE_SOCIALE con provvedimento del 14.4.2022 nei confronti dell’assistente di volo NOME COGNOME alla sede aeroportuale di Milano Malpensa da quella di Venezia Tessera, ed ha ordinato la riassegnazione del dipendente alla sede di Venezia.
La Corte territoriale ha rilevato che il trasferimento era illegittimo perché disposto sulla base di criteri (predisposti nell’Accordo sindacale 25.3.2022, in specie clausola 2.1.2) nulli in quanto discriminatori, con particolare riguardo alla clausola 4, punto 1, dell’Accordo Qua dro di cui alla direttiva 1999/70/CE: invero, detti criteri privilegiavano l’anzianità di servizio computata da un’assunzione a tempo indeterminato, senza computare i periodi prestati in esecuzione di rapporti di lavoro a termine, come si evinceva chiaramente con riguardo al Medaglia, per il quale non erano stati computati (ai fini dell’anzianità di servizio) i contratti a termine svolti nel 2015 e nel 2016 (che erano interrotti da un mese rispetto alla successiva assunzione a termine, del 28.3.2016, che era stata
computata in quanto proseguita, senza soluzione di continuità, in un rapporto a tempo indeterminato).
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società con quattro motivi e il lavoratore ha resistito con controricorso.
La Procura generale ha comunicato memoria con cui ha chiesto il rigetto del primo motivo di ricorso e l’inammissibilità degli altri motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione della clausola 4 dell’Accordo Quadro di cui alla direttiva 1999/70/CE in relazione all’art. 2.1.2 dell’Accordo collettivo del 25.3.2022 avendo, la Corte territoriale, avrebbe erroneamente interpretato ed applicato la nozione alla base del divieto di discriminazione dei lavoratori ossia il periodo di servizio ininterrotto. Invero, il criterio posto a base dell’Accordo sindacale sarebbe quello del continuous service, ossia il periodo continuo di servizio, a prescindere dal fatto che i precedenti rapporti di lavoro (interrotti da periodi di inattività) fossero stati a termine o a tempo indeterminato, criterio del tutto in linea con i principi comunitari.
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia, ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., in correlazione con l’art. 111 Cost., avendo la Corte territoriale adottato una pronuncia con motivazione apparente in quanto afflitta da contrasti logici irriducibili (là dove dapprima rileva che sono stati illegittimamente esclusi i periodi a termine, mentre successivamente ne viene calcolato uno). Nessuna discriminazione è stata operata dalla società la quale ha valutato tutti i rapporti di lavoro a termine dei lavoratori
purché agganciati, senza soluzione di continuità, ad assunzioni a tempo indeterminato. La pronuncia è, altresì, viziata in quanto motivata per relationem.
Con il terzo motivo di ricorso si denunzia, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1369 c.c., in relazione al punto 2.1.2 dell’Accordo aziendale 25.3.2022 avendo, la Corte territoriale, privilegiato -nell’interpretazione dell’atto sindacale il criterio letterale senza far ricorso agli ulteriori criteri ermeneutici forniti dall’Ordinamento: invero, la clausola sindacale non fa alcuna distinzione fra assunzioni a tempo determinato e a tempo indetermin ato ma si limita a modulare l’anzianità, ai fini della graduatoria, in funzione del periodo di servizio prestato ininterrottamente alla data del trasferimento, previo consolidamento a tempo indeterminato del rapporto, elemento che non si pone in contrasto con la direttiva comunitaria. La Corte territoriale, inoltre, ha trascurato di valorizzare le modalità con cui la società ha dato esecuzione alla clausola, in quanto la graduatoria è stata formata tenendo conto della data di assunzione dei lavoratori secondo il criterio del continuous service, criterio che era stato già adottato per altre tipologie di accordi sindacali.
Con il quarto motivo di ricorso si denunzia, ex art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., violazione e falsa applicazione de ll’art. 1322 c.c., in correlazione con l’art. 111 Cost., avendo la Corte territoriale ignorato la libertà negoziale delle parti, libere di adottare criteri che non si pongono in contrasto né con norme di legge nazionali né con fonti comunitarie, come all’evidenza è il criterio della valorizzazione della continuità del servizio.
I motivi, che possono essere trattati congiuntamente per stretta connessione, non meritano accoglimento.
Nell’interpretare la norma collettiva aziendale, appare utile richiamare il principio, secondo cui il giudice del merito può limitarsi a ricercare la comune intenzione delle parti sulla base del tenore letterale della disposizione soltanto se esso riveli l’intenzione delle parti con evidenza tale da non lasciare alcuna perplessità sull’effettiva portata della clausola, dovendo ricorrere, in caso contrario, alla valutazione del comportamento successivo delle parti nella sua applicazione e alla considerazione di tutti gli altri criteri ermeneutici indicati dagli art. 1362 ss. c.c. (Cass. 4 gennaio 2013, n. 110); in particolare, se è vero che l’art. 1362 c.c., sia sotto il profilo del ‘chiaro tenore letterale’ del testo, sia sotto il profilo della ‘comune intenzione delle parti’, costituisce criterio ermeneutico che deve prevalere quando riveli con chiarezza e univocità la volontà comune delle parti, al punto che non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti (Cass. 28 agosto 2007, n. 18180; Cass. 21 agosto 2013, n. 19357; Cass. 4 maggio 2017, n. 10850), è anche vero che esso non è necessariamente decisivo ai fini della ricostruzione dell’accordo; e ciò perché il significato delle dichiarazioni negoziali non è un prius , ma l’esito di un processo interpretativo che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extra testuali, indicati dal legislatore (Cass. 15 luglio 2016, n. 14432), anche secondo una interpretazione orientata dal criterio di buona fede, a norma dell’art. 1366 c.c., avuto riguardo allo ‘scopo pratico’ perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto, e quindi della relativa ‘causa
concreta’ (Cass. 17 novembre 2021, n. 34795; Cass. 25 gennaio 2022, n. 2173); in definitiva, il percorso ermeneutico deve articolarsi, da un punto di vista logico, in una circolarità che impone all’interprete, dopo aver compiuto l’esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l’intenzione dei contraenti e di verificare se quest’ultima sia coerente con le restanti disposizioni dell’accordo (secondo la previsione dell’art 1363 c.c.) e con la condotta complessiva tenuta dai contraenti medesimi (Cass. 14 settembre 2021, n. 24699), coordinando tra loro le singole clausole alla ricerca di un significato coerente.
Ebbene, la Corte territoriale ha ricostruito -secondo un corretto percorso circolare -il significato dell’Accordo aziendale del 25.3.2022 avvalendosi di tutti i criteri esegetici forniti dall’Ordinamento, in particolare del tenore lessicale e dell’interpretazione sistematica (‘ per via della sua inequivocabile formulazione comportante un solo possibile significato -quello cioè di dover tenere conto solo dei rapporti a tempo indeterminato’ : v. pag. 7 della sentenza impugnata) nonché del comportamento successivo (la formazione della graduatoria, ai fini dei trasferimenti, ‘ lasciando di fatto fuori dalla computabilità ai fini dell’anzianità le altre fattispecie a termine di cui aveva goduto l’odierno a ppellato tra il 2015 e il 2016’ : v. pag. 7), criteri che hanno consentito di verificare chiaramente che il suddetto Accordo istituiva un criterio discriminatorio a danno della computabilità di periodi di lavoro a termine.
Le valutazioni del giudice di merito in ordine all’interpretazione degli atti negoziali soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo
della sussistenza di una motivazione logica e coerente ( ex plurimis , Cass. n. 4851 del 2009; Cass. n. 3187 del 2009; Cass. n. 15339 del 2008; Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 6724 del 2003; Cass. n. 17427 del 2003), non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 28319 del 2017; conforme, da ultimo, Cass. n. 16987 del 2018; Cass. n. 30137 del 2021; Cass. n. 34687 del 2023).
9. La clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato, recepito dalla direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone al datore di lavoro di riconoscere, ai fini della progressione stipendiale e degli sviluppi di carriera (successivi al 10 luglio 2001), l’anzianità di servizio maturata sulla base di contratti a tempo determinato, nella medesima misura prevista per il dipendente assunto ab origine a tempo indeterminato, fatta salva la ricorrenza di ragioni oggettive che giustifichino la diversità di trattamento; il criterio dettato dall’Accordo aziendale in esame si pone chiaramente in contrasto con questo principio, creando -di fatto -una discriminazione a danno del personale che ha maturato anzianità di servizio anche grazie a pregressi contratti a tempo determinato; l’elemento distintivo, che potrebbe valere a giustificare il diverso trattamento, non può risiedere nel carattere temporaneo del rapporto, bensì unicamente nelle
caratteristiche e nella qualità della prestazione, rispetto alle quali la società non ha illustrato né dimostrato alcunché, al di là del chiaro tenore discriminatorio dell’Accordo aziendale.
In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese di lite del presente giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquidata in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 12 marzo 2025.