Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10406 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10406 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 20309/2020 proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso il primo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno , in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso da ll’Avvocatura generale dello Stato e domiciliato in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Bologna n. 818/2019 pubblicata il 6 novembre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Parma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 252/2016, ha rigettato il ricorso con il quale NOME COGNOME ha chiesto l’accertamento del suo diritto alle progressioni economiche indette dal Ministero dell’Interno negli anni dal 2003 al 2010 in ragione dell’anzianità di servizio e di qualifica della quale aveva domandato il riconoscimento.
NOME COGNOME ha esposto che era dipendente del Ministero dell’Interno dal 1° febbraio 1989, con attuale inquadramento nel profilo di funzionario amministrativo, area III e profilo economico F2, e applicazione presso gli uffici della Questura di Parma, e che era stata dipendente del Ministero dell’Interno -Dipartimento di Pubblica Sicurezza, da tale data sino al 14 ottobre 2001, quale appartenente alla Polizia di Stato, arruolata con la qualifica di Agente della Polizia di Stato, inquadrata nel quinto livello e, in seguito, nominata Vice Ispettore, con inquadramento di sesto livello, Ispettore con inquadramento di livello 6 bis e, dal 1° luglio 1998, Ispettore Capo, con inquadramento di settimo livello.
Ha riferito che era transitata, per inabilità e in applicazione del d.P.R. n. 339 del 24 aprile 1982, nei ruoli del personale civile del Ministero dell’Interno, con inquadramento nel profilo professionale di collaboratore amministrativo, area funzionale C, posizione economica C1.
Ha lamentato che, pur avendo maturato, al momento del suo passaggio dai ruoli della Polizia dello Stato ai ruoli civili dello stesso Ministero dell’Interno , un’anzianità complessiva di anni 12, mesi 8 e giorni 15 e un’anzianità nella qualifica del ruolo ricoperto al momento del transito (Ispettore Capo) di anni 3, mesi 3 e giorni 15, non aveva beneficiato della prescritta conservazione dell’anzianità di servi zio maturata, così non ottenendo il riconoscimento della posizione economica superiore rispetto a quella ricoperta in occasione delle procedura di conferimento delle posizioni economiche super.
NOME COGNOME ha proposto appello che la Corte d’appello di Bologna, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 818/2019, ha rigettato.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Il Ministero dell’Interno si è difeso con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 11 d.P.R. n. 339 del 1982, 2 d.P.R. n. 551 del 1981 e 2 del contratto individuale di lavoro da lei stipulato con il Ministero dell’Interno il 15 ottobre 2001 in relazione agli artt. 30 e 45 d.lgs. n. 165 del 2001 e 2112 c.c., 17 CCNL comparto Ministeri 1998-2001 e 10 CCI 1998/2001, 8 CCI 2002-2005, 17 e 18 CCNL comparto Ministeri 2006/2009 e 8 CCI 2006/2009, in relazione agli artt. 30 e 45 d.lgs. n. 165 del 2001, 97 Cost., 1363, 1366, 1367, 1418 e 1419, nonché l’omissione e la contraddittorietà, insufficienza e mera apparenza della motivazione, illogicità e palese erroneità della pronuncia.
Sostiene che la corte territoriale avrebbe errato nel non considerare rilevante l’anzianità di servizio e di ruolo da lei maturata alle dipendenze del Ministero dell’Interno, nei ruoli della Polizia di Stato.
Afferma che il d.P.R. n. 339 del 1982 sarebbe norma speciale emanata al fine di regolare il transito di personale già appartenente ai ruoli della pubblica sicurezza presso altri ruoli, anche di diverse amministrazioni statali, che avrebbe previsto il mantenimento della qualifica rivestita al tempo del trasferimento, dell’anzianità di detta qualifica, dell’anzianità comple ssiva e della posizione economica acquisita. In particolare, l’art. 10 del menzionato d.P.R. non avrebbe avuto solo la funzione di garantire il trattamento economico, che sarebbe stato mantenuto, comunque, in base al disposto degli artt. 30 e 45 d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 2112 c.c., ma, derogando a queste ultime disposizioni, le avrebbe assicurato una piena considerazione della sua anzianità di ruolo e di servizio e la conservazione della qualifica e della posizione economica.
La ricorrente contesta pure il richiamo all’art. 11 del d.P.R. n. 339 del 1982 e all’art. 2 del d.P.R. n. 551 del 1981, che, a suo avviso, non limiterebbero assolutamente la portata dell’art. 10 del d.P.R. n. 339 del 1982 .
Peraltro, osserva che il passaggio tra le diverse posizioni economiche di una delle quattro aree nelle quali era stato articolato il sistema classificatorio del lavoro pubblico a partire dal CCNL 1998/2001 del comparto Ministeri sarebbe stato una mera progressione economica all’interno della stessa area, con la conseguenza che l’art. 11 del d.P.R. n. 339 del 1982 e l’art. 2 del d.P.R. n. 551 del 1981 avrebbero dovuto essere interpretati come se si riferissero non alle progressioni economiche interne a una stessa area funzionale, ma alle progression i di carriera e all’accesso alla qualifica funzionale di livello superiore.
Inoltre, sostiene che il suo contratto individuale stipulato con il Ministero dell’Interno il 15 gennaio 2001 sarebbe stato assoggettato esclusivamente alle disposizioni del d.P.R. n. 339 del 1982 e non le avrebbe garantito il solo mantenimento del trattamento economico acquisito presso la P.A. di provenienza.
Una differente interpretazione avrebbe comportato un peggioramento delle sue condizioni economiche in conseguenza del trasferimento da un’amministrazione all’altra.
La ricorrente lamenta, poi, un’erronea lettura del CCNL e dei contratti collettivi integrativi rilevanti, affermando che questi ultimi non potrebbero modificare arbitrariamente i criteri indicati dal primo. In realtà, nella specie, secondo la sua ricostruzione, i contratti integrativi avrebbero previsto come unico riferimento per la valutazione del passaggio alla fascia retributiva superiore l’anzianità maturata nel solo comparto Ministeri , escludendo, quindi, il rilievo dell’anzianità già maturata nelle precedenti fasi lavorative. In questo modo, però, si sarebbero contrapposti all’art. 17, comma 2, del CCNL 1998/2001, che valorizzava le reali capacità professionali del dipendente, ma non consentiva di dare peso esclusivamente all’attività lavorativa svolta nel profilo professionale di appartenenza all’atto della selezione.
Al contrario, l’art. 10 del contratto integrativo 1998/2001 avrebbe assegnato 1 o 0,50 per anno con riguardo all’anzianità di servizio e di qualifica maturata dal dipendente nel comparto Ministeri, e 0,10 agli altri requisiti di formazione e mansione superiore, così violando il CCNL.
Lo stesso ragionamento avrebbe dovuto valere anche con riguardo ai successivi contratti collettivi nazionali.
D’altronde, la contrattazione collettiva nazionale sarebbe stata tenuta, comunque, a rispettare l’art. 45 del d.lgs. n. 165 del 2001, che vieterebbe una regolamentazione pattizia che produca, in casi come quello in esame, un trattamento differente rispetto a quello degli altri lavoratori assunti presso la medesima P.A., ove questa non sia supportata da giustificazioni ragionevoli.
In ogni caso, non vi sarebbero state valide ragioni per non dare rilievo alla sua precedente esperienza professionale.
La principale questione oggetto di causa attiene alla corretta interpretazione del disposto degli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 339 del 1982.
Secondo la ricorrente, queste disposizioni consentirebbero ai dipendenti che, come lei, hanno abbandonato, su richiesta, per inabilità a svolgere il loro lavoro il ruolo della Polizia di Stato presso il Ministero dell’Interno per transitare nel ruolo civile del medesimo Ministero di vedersi riconosciute a ogni effetto l’anzianità, di ruolo e di servizio, la qualifica e la posizione economica da loro guadagnate nel periodo anteriore al passaggio, con rilevanza anche ai fini della successiva progressione economica (nella specie, orizzontale) e a prescindere dalla regolamentazione prevista dall’ ordinamento della P.A. di destinazione.
La P.A. propone l’interpretazione opposta e la sua tesi è stata condivisa dalle corti di merito.
La censura è infondata.
Ai sensi dell’art. 1 del d.P.R. n. 339 del 1982, ‘
L’art. 10 del d.P.R. n. 339 del 1982 dispone che ‘ i art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1981, n. 551 ‘ .
Innanzitutto, si evidenzia come il transito dai ruoli della Polizia di Stato a quelli civili del Ministero dell’Interno sia da qualificare come un passaggio fra differenti amministrazioni.
Infatti, Polizia di Stato è una forza di polizia ad ordinamento civile a statuto speciale, che fa parte delle forze di polizia italiane direttamente dipendente dal Dipartimento della pubblica sicurezza, del Ministero dell’Interno . Per questo motivo, ha una propria carriera autonoma e rientra nel comparto della SicurezzaDifesa e Soccorso pubblico e non in quello Ministeri.
Diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, il personale dei ruoli della Polizia di Stato che transiti in quelli civili del Ministero dell’Interno mantiene, ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 339 del 1982, il diritto all’inquadramento in base alla qualifica e alla posizione economica ottenute nella P.A. di provenienza e al riconoscimento dell’anzianità ai fini del mantenimento di un trattamento economico non inferiore a quello precedente, ma, una volta passato nella nuova P.A., il regime giuridico da applicare è quello di quest’ultima , come stabilito dall’art. 11 del d.P.R. n. 339 del 1982, disposizione del tutto coerente con l’ art. 10 del medesimo d.P.R. n. 339 del 1982 e con i principi desumibili dagli artt. 30, 31 e 45 d.lgs. n. 165 del 2001 e 2112 c.c..
A sostegno della tesi della P.A. depongono argomenti sia formali sia sistematici.
L’interpretazione letterale induce a evidenziare che il testo dell’art. 11 del d.P.R. n. 339 del 1982 si riferisce chiaramente
del Presidente della Repubblica 24 luglio 1981, n. 551. L’art. 2 da ultimo menzionato, poi, conferma che ‘
Infatti, l’assetto complessivo del d.P.R. n. 339 del 1982 , fatte salve le debite differenziazioni, tende a conformarsi, per quel che qui rileva, ai principi generali in tema di mobilità permanente su richiesta dell’interessato prevista dal l’art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001 (istituto con il quale presenta analogie) che, al comma 1, nel testo vigente all’epoca della stipula del contratto della ricorrente, stabiliva che ‘
.
Si tratta di una forma di cessione del contratto, che, per legge, prescinde, nella specie, dal consenso delle Amministrazioni interessate, che è caratterizzata, quindi, dalla conservazione dell’anzianità e dal mantenimento del trattamento economico goduto presso l’amministrazione di provenienza (Cass., n. 10145/2018).
Per l’esattezza, detta mobilità, risolvendosi in una modificazione meramente soggettiva del rapporto, comporta il diritto alla conservazione dell ‘anzianità , della qualifica e del trattamento economico del dipendente (Cass., n. 16846/2016).
Ciò, peraltro, deve tenere conto della circostanza che, in base alla ricostruzione dell’istituto fatta dalla giurisprudenza più recente, in ipotesi di mobilità permanente al dipendente transitato si applica il trattamento giuridico ed
accessorio previsto dai contratti collettivi del comparto di destinazione, non giustificandosi una disparità tra dipendenti dello stesso ente in ragione della provenienza, salvo che per gli assegni ad personam , attribuiti al fine di rispettare il divieto di reformatio in peius , riassorbibili in ragione degli incrementi del trattamento economico complessivo dei dipendenti dell ‘ amministrazione cessionaria (Cass., n. 13318/2024).
I dipendenti trasferiti, quindi, non sono sottratti al trattamento giuridico ed economico previsto dai contratti collettivi del comparto dell ‘ Amministrazione cessionaria, salvi gli assegni ad personam attribuiti al fine di rispettare il divieto di reformatio in peius del trattamento economico già acquisito, che sono destinati ad essere riassorbiti negli incrementi del trattamento economico complessivo spettante ai dipendenti dell’Amministrazione cessionaria (Cass., n. 5959/2012).
La normativa vigente, allora, garantisce una continuità giuridica del rapporto, che, però, implica la conservazione dell’ anzianità di servizio sin dall’assunzione presso l’amministrazione di provenienza, ma con il rilievo che essa assume nella nuova organizzazione (Cass., n. 19039/2017).
Ne consegue che il lavoratore non può pretendere di ottenere dal nuovo datore di lavoro il riconoscimento ‘ ai fini giuridici ‘ dell ‘anzianità pregressa maturata al momento dell ‘ immissione nel nuovo ruolo, dovendosi procedere, in considerazione del mutamento del datore di lavoro e della disciplina del rapporto di lavoro, all ‘ inquadramento del dipendente sulla base della posizione già posseduta nella precedente fase del rapporto con individuazione dello status ad esso maggiormente corrispondente nel quadro della disciplina legale e contrattuale applicabile nell ‘ amministrazione di destinazione, assumendo rilievo l ‘anzianità complessiva – come pure quelle specifiche maturate in precedenza, nonché le concrete professionalità acquisite ed ogni altro eventuale elemento significativo – nei limiti derivanti (se del caso sulla base di congrue assimilazioni) dalla disciplina vigente presso il nuovo datore di lavoro, senza ricostruzioni di carriera (Cass., SU, n. 22800/2010).
L’anzianità di servizio, che di per sé non costituisce un diritto che il lavoratore possa fare valere nei confronti del nuovo datore, deve essere salvaguardata in
modo assoluto solo nei casi in cui alla stessa si correlino benefici economici e il mancato riconoscimento della pregressa anzianità possa comportare un peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto dal lavoratore trasferito. L ‘ anzianità pregressa, invece, non può essere fatta valere da quest ‘ ultimo per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario (Cass., SU, n. 22800/2010; Cass n. 25021/2014) e non può essere opposta al nuovo datore per ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, perché l’ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti, non delle aspettative, già entrati nel patrimonio del lavoratore alla data della cessione del contratto (Cass., n. 4389/2020; Cass., n. 18220/2015; Cass., n. 25021/2014; Cass., n. 22745/2011; Cass., n. 10933/2011; Cass., SU, n. 22800/2010; Cass., n. 17081/2007).
Il nuovo datore, pertanto, ben può, ai fini della progressione di carriera, valorizzare l’esperienza professionale specifica maturata alle proprie dipendenze, differenziandola da quella riferibile alla pregressa fase del rapporto (Cass., n. 10528/2018; Cass., n. 18220/2015; Cass, n. 17081/2007; Cass., SU, n. 22800/2010; Cass., n. 22745/2011; in relazione all’impiego privato, Cass., n. 7202/2009).
Le conclusioni alle quali questa Corte è pervenuta trovano conforto nella giurisprudenza della CGUE che, a prescindere dall’applicabilità o meno al trasferimento di attività che qui viene in rilievo della Direttiva 2001/23/CE, deve orientare nell ‘ interpretazione della norma interna con la quale il legislatore ha adeguato il diritto nazionale a quello dell’Unione (l’art. 2112 c.c. è stato modificato dal d.lgs. n.18 del 2001 in attuazione della Direttiva 98/50/CE, poi sostituita dalla Direttiva 2001/23/CE).
La Corte di Giustizia con la recente pronuncia del 6 aprile 2017 in causa C 336/2015, ha ribadito che lo scopo della direttiva è solo quello di assicurare il mantenimento dei diritti già acquisiti dai lavoratori trasferiti e che l’anzianità maturata pres so il cedente non costituisce di per sé ‘un diritto di cui i lavoratori possano avvalersi nei confronti del cessionario allo stesso modo del cedente’
(punti 21 e 22 nei quali la Corte richiama le sentenze 6.9.2011, Scattolon, C 108/2010 e 14.9.2000, COGNOME e COGNOME, C – 343/98).
Quanto sopra, quindi, induce a ritenere che la presente vicenda sia disciplinata dall’art. 11 del d.P.R. n. 339 del 1982, in perfetta coerenza con le previsioni degli artt. 30 e 45 d.lgs. n. 165 del 2001 e 2112 c.c.
Questo esito rende priva di rilievo l’affermazione della ricorrente secondo la quale il contratto individuale da lei stipulato con il Ministero dell’Interno il 15 gennaio 2001 sarebbe stato assoggettato esclusivamente alle disposizioni del d.P.R. n. 339 del 1982 e non le avrebbe garantito il solo mantenimento del trattamento economico acquisito presso la P.A. di provenienza anche perché, diversamente, avrebbe subito un peggioramento delle sue condizioni economiche in conseguenza del trasferimento da un’amministrazione all’altra.
Al contrario, è proprio dall’applicazione del d.P.R. n. 339 del 1982 che deriva la sottoposizione delle progressioni economiche orizzontali della lavoratrice alla disciplina vigente presso la P.A. di destinazione.
In ordine al peggioramento delle condizioni economiche, poi, si evidenzia che, dalla disciplina richiamata, il non peggioramento va garantito al momento dell’inquadramento nella nuova P.A., ma l’eventuale corresponsione di un assegno ad personam è riassorbibile nel tempo.
Ne consegue che l’anzianità pregressa della ricorrente non può venire più direttamente in rilievo, ai fini economici, dopo tale inquadramento.
Da queste considerazioni si ricava che le progressioni economiche orizzontali reclamate dalla ricorrente sono regolate, come previsto dall’art. 2 del d.P.R. n. 551 del 1981,
Le progressioni de quibus , pertanto, sono soggette alla regolamentazione del CCNL Ministeri 1998 – 2001, CCNL normativo 1998 – 2001 economico 1998 1999, del 6 febbraio 1999, e successive modifiche, per l’esattezza alla previsione dell’art. 17, intitolato Sviluppi economici all’interno delle aree, in base a cui:
«1. Nelle aree A e B è previsto uno sviluppo economico per la posizione apicale. Analogo sviluppo è previsto anche per la posizione economica iniziale e per quella apicale dell’area C. Tali sviluppi, come indicato nella tabella C, sono denominati ‘super’, assumendo rispettivamente la sigla ‘A1 S’, ‘B3 S’, ‘C1 S’, ‘C3 S’.
Gli sviluppi economici sono progressione della posizione economica apicale o iniziale di riferimento e sono attribuiti sulla base di criteri – definiti nel contratto collettivo integrativo di amministrazione ispirati alla valutazione dell’impegno, della prestazione e dell’arricchimento professionale acquisito, anche attraverso interventi formativi e di aggiornamento » .
Per l’esattezza, nel sistema di classificazione del personale delineato dal CCNL Ministeri 1999, fondato sulla previsione di aree di inquadramento alle quali ricondurre i profili professionali che, se esprimenti differenti gradi di complessità e di contenuto della prestazione, possono essere collocati in posizioni economiche diverse ( art. 13), la progressione economica in senso stretto rimane circoscritta alle posizioni super, rispetto alle quali l’art. 17 prescrive che le stesse devono essere attribuite ‘ sulla base di criteri – definiti nel contratto collettivo integrativo di amministrazione ispirati alla valutazione dell’impegno, della prestazione e dell’arricchimento professionale acquisito, anche attraverso interventi formativi e di aggiornamento ‘ (Cass., n. 814/2020).
La ricorrente lamenta, altresì , un’erronea lettura del CCNL e dei contratti collettivi integrativi rilevanti, affermando che questi ultimi non potrebbero modificare arbitrariamente i criteri indicati dal primo. In realtà, nella specie, secondo la sua ricostruzione, i contratti integrativi avrebbero previsto come unico riferimento per la valutazione del passaggio alla fascia retributiva superiore l’anzianità maturata nel solo comparto Ministeri, escludendo, quindi, il rilievo dell’anzianità già maturata nell e precedenti fasi lavorative. In questo modo, però, si sarebbero contrapposti all’art. 17, comma 2, del CCNL 1998/2001, che valorizzava le reali capacità professionali del dipendente, ma non consentiva di dare peso esclusivamente all’attività lavorativa sv olta ne profilo professionale di appartenenza all’atto della selezione.
Al contrario, l’art. 10 del contratto integrativo 1998/2001 avrebbe assegnato 1 o 0,50 per anno con riguardo all’anzianità di servizio e di qualifica maturata dal dipendente nel comparto Ministeri, e 0,10 agli altri requisiti di formazione e mansione superiore, così violando il CCNL.
Lo stesso ragionamento avrebbe dovuto valere anche con riguardo ai successivi contratti collettivi nazionali.
Si tratta di rilievo privo di pregio.
L’art. 17, comma 2, del CCNL Ministeri 1998 – 2001, CCNL normativo 1998 2001 economico 1998 1999, del 6 febbraio 1999, stabilisce che ‘Gli sviluppi economici sono progressione della posizione economica apicale o iniziale di riferimento e sono attribuiti sulla base di criteri – definiti nel contratto collettivo integrativo di amministrazione ispirati alla valutazione dell’impegno, della prestazione e dell’arricchimento professionale acquisito, anche attraverso interventi formativi e di aggiornamento’.
Già la lettera di tale art. 17, comma 2, è contraria alla tesi della ricorrente.
Il riferimento alla ‘progressione della posizione economica apicale o iniziale di riferimento’ indica chiaramente che la contrattazione integrativa può privilegiare il servizio interno rispetto a quello pregresso presso altre amministrazioni, essendo il primo oggetto di detta posizione, atteso che vengono in questione profili denominati ‘super’ .
Inoltre, i criteri de quibus devono essere ‘ispirati alla valutazione dell’impegno, della prestazione e dell’arricchimento professionale acquisito’, tutti profili che attengono, essenzialmente , all’attività nell’attuale P.A.
Infine, non può non considerarsi che il testo del comma menzionato riconosce una sfera di intervento assai ampia alla detta contrattazione integrativa.
La giurisprudenza ha ben evidenziato (Cass., n. 16577/2014) che il CCNL del 16 febbraio 1999 per il Comparto Ministeri, stipulato per il triennio 1998-2001, nel prevedere che l ‘ accesso del personale alla posizione C3 avvenga dalle posizioni C1, C1S e C2, ne rimette le relative procedure ai criteri stabiliti dalle singole amministrazioni.
Allo stesso esito porta l’interpretazione sistematica.
Come osservato dalla giurisprudenza, l’applicazione della contrattazione del cessionario non esclude che le organizzazioni sindacali possano disciplinare il rilievo dell’anzianità pregressa dei lavoratori nel nuovo contesto organizzativo.
In particolare, il contratto collettivo ben può regolare il rilievo dell’anzianità, non essendo precluso alle parti sociali di precisare gli aspetti inerenti al rapporto di lavoro rispetto al quale non è configurabile un diritto quesito del lavoratore, essendo solo un fatto giuridico e non un bene suscettibile di atti di disposizione. Ha chiarito, infatti, questa Corte (Cass., n. 477/1999; Cass., n. 224/2001) che l’anzianità di servizio non è uno status od un elemento costitutivo di uno status del lavoratore subordinato né un distinto bene della vita oggetto di autonomo diritto, ma rappresenta la dimensione temporale del rapporto di lavoro, nel cui ambito integra il presupposto di fatto di specifici diritti (quali quelli all’indennità di fine rapporto o al risarcimento del danno per omissioni contributive); essa, pertanto, come non può essere oggetto di atti di disposizione (traslativi o abdicativi), così non è suscettibile di autonoma prescrizione distinta da quella di ciascuno dei singoli diritti che su di essa si fondano e può essere sempre oggetto di accertamento giudiziale, purché sussista nel ricorrente l’interesse ad agire, che va valutato in ordine alla concreta azionabilità dei singoli diritti di cui l’anzianità di servizio costituisce il presupposto (Cass., n. 18220/2015).
D’altronde, la prosecuzione giuridica del rapporto di lavoro nel passaggio in esame non fa venire meno la diversità fra le due fasi di svolgimento del rapporto medesimo, sempre che il trattamento differenziato non implichi la mortificazione di un diritto già acquisito dal lavoratore, sicché può risultare irrilevante, ai fini della progressione di carriera, l’anzianità maturata presso l’ente di provenienza, ove il nuovo datore di lavoro abbia inteso valorizzare, con il bando di selezione, l’esperienza profes sionale specifica maturata alle proprie dipendenze, differenziandola da quella riferibile alla pregressa fase del rapporto (Cass., n. 10528/2018).
Nella specie, la normativa menzionata ha garantito alla ricorrente la conservazione degli effetti economici dell’anzianità maturata, ma, al di là degli aspetti economici, non esiste nel nostro ordinamento il principio di conservazione
dell’anzianità pregressa. Al contrario, l’unico principio affermato in giurisprudenza è quello della salvezza dei livelli retributivi.
La giurisprudenza ha evidenziato, infatti, che la disciplina concernente il diritto del lavoratore a conservare l’anzianità maturata presso altra P.A. al fine di ottenere la progressione economica nell’ambito della stessa categoria di inquadramento, può essere rimessa dal CCNL alla contrattazione decentrata, senza che dei limiti siano desumibili dagli artt. 30 e 45 del d.lgs. n. 165 del 2001, i quali non contengono alcuna regolamentazione al riguardo, dovendosi ritenere che, nell’attuale sistema delle progressioni economiche orizzontali, si sia inteso salvaguardare la specificità delle situazioni presenti nei singoli enti (Cass., n. 19938/2010, che riguarda il personale del Comparto Regioni Autonomie locali).
In ogni caso, il criterio scelto dalla contrattazione collettiva integrativa, per come riportato nel ricorso, è obiettivo e risulta ragionevole, in quanto non esclude del tutto l’anzianità pregressa, ma si limita a privilegiare il concreto svolgimento delle mansioni tipiche della P.A. di destinazione.
Stando così le cose, è infondato l’ulteriore argomento della ricorrente, per la quale la contrattazione collettiva nazionale sarebbe stata tenuta, comunque, a rispettare l’art. 45 del d.lgs. n. 165 del 2001, che vieterebbe una regolamentazione pattizia che produca, in casi come quello in esame, un trattamento differente rispetto a quello degli altri lavoratori assunti presso la medesima P.A., ove questa non sia supportata da giustificazioni ragionevoli.
Al contrario, sarebbe proprio l’interpretazione propugnata dalla lavoratrice a rendere possibili delle disparità di trattamento in suo favore.
Quanto all’ultima considerazione della dipendente per cui, in ogni caso, non vi sarebbero state valide ragioni per non dare rilievo alla sua precedente esperienza professionale, sul punto la corte territoriale si è espressa con un accertamento di fatto a pagina 9 che, in questa sede, non è più contestabile come tale.
Con il secondo motivo la ricorrente contesta la violazione degli artt. 115, 116 e 132, comma 2, n. 4, per omesso esame di un fatto decisivo, omissione e contraddittorietà della motivazione, insufficiente e meramente apparente,
illogica ed erronea in quanto il Ministero dell’Interno avrebbe riconosciuto la sua integrale anzianità di servizio maturata prima del trasferimento.
La censura è inammissibile, atteso che l’omesso esame di un fatto decisivo non può essere prospettato in presenza di una c.d. doppia conforme e che, comunque, la ricorrente non ha chiarito in che termini tale riconoscimento sarebbe avvenuto, considerato che, come esposto in precedenza, nulla vieta di tenere conto, a certi specifici fini (ma non a quelli che vengono rilievo nella specie), dell’anzianità pregressa di un lavoratore presso altra P.A.
3) Il ricorso è rigettato in applicazione del seguente principio di diritto:
‘ Il personale dei ruoli della Polizia di Stato che transiti in quelli civili del Ministero dell’Interno mantiene, ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 339 del 1982, il diritto all’inquadramento in base alla qualifica e alla posizione economica ottenute nella P.A. di provenienza e al riconoscimento dell’anzianità ai fini del mantenimento di un trattamento economico non inferiore a quello precedente, ma, una volta passato nella nuova P.A., il regime giuridico da applicare è quello di quest’ultima . Ne deriva che le progressioni economiche orizzontali successive al trasferimento saranno disciplinate ex artt. 11 del d.P.R. n. 339 del 1982 e 2 del d.P.R. n. 551 del 1981 dalla contrattazione collettiva, nazionale e integrativa, dell’amministrazione di destinazione, che potrà attribuire un maggior valore al servizio reso alle proprie dipendenze rispetto all’attività lavorativa svolta presso la Polizia di Stato’.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte, – rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in € 3.000,00 per compenso professionale e in € 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge e alle spese generali nella misura del 15%;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 5 marzo