Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34866 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34866 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3409/2020 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l ‘Avvocatura centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME unitamente agli avvocati COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 2617/2019 pubblicata il 29/07/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/11/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza n.2617/2019 pubblicata il 29 luglio 2019, ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME nella controversia con l’IRAGIONE_SOCIALE
La controversia ha per oggetto il diritto alla indennità di mobilità con decorrenza dal 30/09/2013 ─ previo accertamento della unicità del rapporto di lavoro alle dipendenze di Alitalia Cai RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE ed Air One s.p.aRAGIONE_SOCIALE o comunque del Gruppo Alitalia come unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro ─ a fronte della eccezione del mancato possesso del requisito della anzianità aziendale previsto dall’art.16 legge n.223/1991.
Il Tribunale di Roma rigettava le domande proposte dal Filosofi.
La corte territoriale ha ritenuto che: a) l’unicità del centro di imputazione dei rapporti giuridici potesse affermarsi solo nel caso di frode alla legge o simulazione, «nella specie neppure allegate»; b) l’interpretazione del giudice di prime cure del combinato disposto degli artt.7 e 16 della legge n.223/1991 non fosse in contrasto con l’art.38 Cost. né con il principio comunitario di non discriminazione, in quanto l’anzianità aziendale minima e la correlativa contribuzione minima versata al medesimo datore di lavoro costituiva una ragione oggettiva tale da giustificare un trattamento diverso; c) non vi fosse alcuna ingiustificata disparità di trattamento rispetto al trasferimento d’azienda, la fusione o incorporazione di società, il cambio appalto o la cessione del contratto di lavoro ex art.1406 cod. civ. per la diversità delle fattispecie in comparazione in quanto solo le prime hanno ad oggetto il trasferimento di un complesso aziendale; d) che il
riferimento alla anzianità aziendale, in luogo della anzianità di servizio, rientrasse nell’ambito della discrezionalità legislativa; e) che il lavoratore non rimane privo di tutela contro la disoccupazione, potendo godere dell’ASPI.
Per la cassazione della sentenza ricorre il Filosofi, con ricorso affidato a tre motivi. I.N.P.S. resiste con controricorso. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt.2697, 2094, 2497 e 1372 cod. civ., con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.. Deduce che la statuizione della corte territoriale con riferimento all’accertamento incidentale dell’imputabilità del rapporto di lavoro al Gruppo Alitalia o ad entrambi i datori di lavoro sia in contrasto con le norme di diritto sopra citate, richiamando la giurisprudenza di legittimità sul punto. Sostiene che la frode alla legge e la simulazione erano state allegate e provate per mezzo della individuazione analitica di tutti gli indici rivelatori tipici stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt.7 e 16 della legge n.223/1991 in relazione agli artt.3 e 38 Cost. e del principio di non discriminazione, con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.. Deduce la insussistenza di ragioni oggettive che giustifichino la disparità di trattamento rispetto al trasferimento d’azienda ex art.2112 cod. civ. ed alle fattispecie analoghe. Sostiene che la ratio sarebbe da rinvenire non nel trasferimento del complesso aziendale, ma nella continuità del rapporto di lavoro con il dipendente. Ritiene che il trattamento di disoccupazione abbia presupposti, misura e finalità diverse dalla indennità di mobilità, e
che pertanto i due trattamenti non possano ritenersi equiparati quanto alle finalità dell’art.38 Cost.
Con il terzo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt.1406 cod. civ. e 16 della legge n.223/1991 con riferimento all’art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ.. Deduce che la cessione del contratto comporta il trasferimento soggettivo del complesso unitario di diritti e di obblighi da esso derivanti, lasciando immutati gli elementi oggettivi essenziali, tra i quali l’anzianità aziendale già maturata.
Il primo motivo è inammissibile per violazione dell’art.366 primo comma n.6 cod. proc. civ. Con riferimento alla asserita unicità del centro di imputazione di rapporti giuridici la corte territoriale non ne ha negato la configurabilità in astratto, ma ha ritenuto la mancanza di allegazione in concreto degli elementi essenziali delle fattispecie astratte.
Il ricorrente deduce in questa sede di avere non solo allegato, ma anche provato, gli elementi sintomatici dell’unicità del centro di imputazione giusta la giurisprudenza di legittimità specificamente richiamata (tra le altre, Cass. Sez. Lav. 03/12/2019, n.31519; id., 09/01/2019, n.267).
Tuttavia nel ricorso non sono trascritti, in tutto o in parte e/o sintetizzati (oltre che nemmeno localizzati), gli atti processuali nei quali tali allegazioni in fatto sarebbero state svolte. Attività che appare indispensabile in una prospettiva sostanziale, e non solo formale, perché funzionale per l’apprezzamento della effettiva sussistenza della violazione di legge prospettata. Il motivo è poi inammissibile anche perché si sostanzia nel richiedere alla Corte di procedere nuovi apprezzamenti di fatto con riferimento alle allegazioni e prove già svolte dalle parti nel giudizio di merito.
Il secondo e terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, per ragioni di connessione.
8. La questione del requisito della anzianità aziendale, come prevista dall’art.16 della legge n.223/1991, ed in particolare della sua compatibilità con i principi costituzionali dettati dagli artt.3 e 38 Cost. è stata già esaminata funditus dalla Corte costituzionale nella sentenza 18/07/2014, n.215 nei termini che seguono: «Questa Corte, con giurisprudenza costante, ha affermato il principio secondo cui, in materia di previdenza e assistenza sociale, il legislatore gode di ampia discrezionalità che, attraverso un bilanciamento dei valori contrapposti, incontra il solo limite del rispetto dei principi di eguaglianza e ragionevolezza (ex plurimis, sentenze n. 120 e n. 36 del 2012; n. 234 del 2011; n. 234 del 2008 e n. 202 del 1999; ordinanza n. 448 del 1999) (…) L’art. 16, comma 1, della legge n. 223 del 1991, ai fini della indennità di mobilità, richiede una anzianità di servizio di almeno dodici mesi (di cui almeno sei mesi di lavoro effettivamente prestato), con un rapporto di lavoro a titolo continuativo e comunque non a termine (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 23 marzo 2002, n. 4192; Corte di cassazione, sezione unite civili, sentenza 12 marzo 2001, n. 106), presso la medesima impresa che poi abbia attivato la procedura di mobilità (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 16 maggio 2008, n. 12406). La continuità del rapporto di lavoro, ai fini del computo della anzianità aziendale utile per fruire della indennità di mobilità, presuppone lo svolgimento dell’attività lavorativa alle dipendenze del medesimo datore di lavoro che ha azionato la detta procedura. Tale interpretazione, dominante nella giurisprudenza di legittimità, soffre deroghe nei casi di mera trasformazione della società o di trasferimento di azienda ai sensi dell’art. 2112 del codice civile, cioè in ipotesi che non comportano soluzioni di continuità nell’anzianità aziendale dei lavoratori dipendenti (ordinanza n. 367 del 2003), ovvero qualora specifici interventi legislativi riconoscano eccezionali e transitorie deroghe rispetto alla regola stabilita dal
citato art. 16, comma 1, della legge n. 223 del 1991. Tali ipotesi non ricorrono nella vicenda in esame.
Un ulteriore argomento per escludere la possibilità di considerare, ai fini della concessione della indennità di mobilità, un’anzianità aziendale anche solo in parte imputabile al rapporto di lavoro con un’impresa fornitrice o somministratrice, è ravvisabile nel rilievo che, ai sensi del censurato art. 16, comma 1, possono godere della indennità di mobilità, al maturarsi di una determinata anzianità aziendale, i lavoratori licenziati da imprese rientranti nel campo di applicazione della disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale (imprese industriali che occupino più di quindici dipendenti, salvo i casi eccezionali di prevista estensione della disciplina della integrazione salariale straordinaria), mentre le imprese fornitrici o somministratrici sono inquadrate nel «settore terziario» ai sensi dell’art. 49 della legge 9 marzo 1989, n. 88 «Ristrutturazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro» (richiamato dall’art. 9 della legge n. 196 del 1997 e dall’art. 25 del d.lgs. n. 276 del 2003), e, dunque, sono fuori dal campo di applicazione della detta normativa. La eterogeneità delle fattispecie messe a confronto, dunque, rende priva di fondamento la censura in ordine alla assunta violazione del principio di «parità di trattamento» all’interno dell’impresa utilizzatrice, sicché non risulta violato l’art. 3 Cost. (sentenze n. 108 del 2013; n. 234 del 2008; n. 184 del 2000 e n. 413 del 1995; ordinanza n. 92 del 2009). 4.2. -Il contrasto con l’art. 38 Cost. è prospettato sotto il profilo della irragionevole esclusione del requisito della ‘continuità’ del rapporto di lavoro -quale elemento fondante il diritto alla indennità di mobilità -per i lavoratori interinali il cui rapporto sia stato successivamente stabilizzato, con ingiustificata privazione della tutela della indennità di mobilità, quale prestazione assistenziale a carattere generale (sentenza n. 285 del 2003), per i
lavoratori che si trovano in situazioni analoghe a quelli assunti direttamente dall’impresa (utilizzatrice) a tempo indeterminato.
Neanche tale parametro costituzionale risulta essere stato violato.
Sul punto, si deve osservare che l’art. 38, secondo comma, Cost., rimette alla discrezionalità del legislatore la determinazione dei tempi, dei modi e della misura delle prestazioni sociali sulla base di un razionale contemperamento con la soddisfazione di altri diritti, anch’essi costituzionalmente garantiti, e nei limiti delle compatibilità finanziarie (sentenza n. 426 del 2006). L’art. 38, secondo comma, Cost., che è immediatamente operante nell’ordinamento giuridico e rilevante, in particolare, ai fini del sindacato di costituzionalità sulle leggi ordinarie, attribuendo valore di principio fondamentale al diritto dei lavoratori a che siano «preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria», impone che, in caso di eventi, i quali incidono sfavorevolmente sull’attività lavorativa, siano ai lavoratori assicurate provvidenze atte a garantire la soddisfazione delle loro esigenze di vita (sentenza n. 22 del 1969). Ma tale disposizione non va intesa in senso letterale e con valore assoluto. È il sistema delle assicurazioni nel suo complesso, infatti, che è chiamato a far fronte e obbedisce alle esigenze garantite dal precetto costituzionale (sentenza n. 80 del 1971). Per cui questo non risulta violato se, come nell’ipotesi prevista dalla norma oggetto della denuncia, in maniera specifica siano poste regole, con cui, nel rispetto degli altri precetti e principi costituzionali, viene condizionata l’insorgenza di dati diritti o di questi è disciplinato l’esercizio. In particolare, l’indennità di mobilità rientra nel più ampio genus delle assicurazioni sociali contro la disoccupazione ed, in particolare, nell’ambito dei cosiddetti ‘ammortizzatori sociali’ (sentenza n. 184 del 2000), essendo -a differenza della Cassa integrazione guadagni, connessa ad uno stato transitorio di crisi
dell’impresa finalizzata a favorire il ricollocamento del lavoratore in altre imprese e, dunque, collegata ad una crisi irreversibile del datore di lavoro. Essa, cioè, deve considerarsi un vero e proprio trattamento di disoccupazione (sentenza n. 234 del 2011). La norma censurata rappresenta una esplicazione della discrezionalità non irragionevole del legislatore. Infatti, l’avere condizionato l’insorgenza del diritto del lavoratore disoccupato alla indennità di mobilità alla sussistenza di una serie di condizioni prestabilite (anzianità aziendale di almeno dodici mesi, di cui almeno sei di lavoro effettivamente prestato, con un rapporto di lavoro a carattere continuativo e non a termine), costituisce una regola non irragionevole con cui il legislatore stesso ha contemperato e bilanciato un trattamento (speciale) di disoccupazione maggiormente consistente, per importo e durata, rispetto a quello ordinario, con la necessità di una anzianità lavorativa minima, alle dipendenze del medesimo datore di lavoro, specificamente indicata dalle norme di legge. 4.3. -In conclusione, la norma censurata costituisce il frutto di una razionale scelta discrezionale del legislatore, nel rispetto degli artt. 3 e 38 Cost.».
Le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale appaiono non solo condivisibili, ma anche suscettibili di generare il principio di diritto applicabile al caso in esame.
10. L’effetto tipico della cessione del contratto ex art.1406 e segg. cod. civ. è quello della successione a titolo particolare di un soggetto (cessionario) nella stessa posizione giuridica contrattuale di un altro soggetto (cedente); posizione giuridica che è più ampia dei diritti ed obblighi che conseguono al regolamento contrattuale, in quanto comprende anche i diritti potestativi, le aspettative e le azioni che derivano e trovano fondamento nel contratto.
Tale nozione, propria della dottrina civilistica, deve però confrontarsi con il principio della autonomia del rapporto previdenziale, ed avuto riguardo al caso in esame con i requisiti
richiesti dall’art.16 comma 1 legge n.223/1991 per la indennità di mobilità (nel testo pro tempore applicabile).
12. La disposizione prevede che: «Nel caso di disoccupazione derivante da licenziamento per riduzione di personale ai sensi dell’articolo 24 da parte delle imprese, diverse da quelle edili, rientranti nel campo di applicazione della disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale il lavoratore, operaio, impiegato o quadro, qualora possa far valere una anzianità aziendale di almeno dodici mesi, di cui almeno sei di lavoro effettivamente prestato, ivi compresi i periodi di sospensione del lavoro derivanti da ferie, festività e infortuni, con un rapporto di lavoro a carattere continuativo o comunque non a termine, ha diritto alla indennità di mobilità ai sensi dell’articolo 7».
13. Il presupposto della prestazione previdenziale oggetto di causa, ed in particolare la «anzianità aziendale di almeno dodici mesi» è una situazione giuridica che trova fondamento nel contratto di lavoro concluso con l’originario datore di lavoro, contratto che ben può essere suscettibile di cessione ex art.1406 cod. civ..
14. Tuttavia deve escludersi che tale situazione giuridica rientri nell’insieme di quelle interessate dal fenomeno successorio perché ciò non è consentito dal nesso indissolubile che deve sussistere tra anzianità aziendale ed azienda rispetto alla quale viene avviata la procedura di mobilità. Il riferimento legislativo non è infatti relativo alla mera anzianità di servizio, che ben potrebbe formare oggetto d cessione ex art.1406 cod. civ., ma alla anzianità aziendale. E tale riferimento è sintomatico del nesso indissolubile tra anzianità ed azienda, non consentendo alcuna soluzione di continuità. Ed in modo coerente con tale ricostruzione si consente il computo di anzianità maturate presso datori di lavoro diversi nel caso di circolazione dell’azienda ex art.2112 cod. civ.
15. La corte territoriale ha dunque fatto esatta applicazione dell’art.16 della legge n.223/1991, escludendo la possibilità di
interpretare il requisito della anzianità aziendale sino al punto da ricomprendervi la anzianità di servizio maturata presso una azienda diversa.
16. Per le stesse ragioni deve anche ritenersi che l’applicazione dell’art.16 cit. al caso di specie da parte della corte territoriale non si risolva in un contrasto con i principi costituzionali invocati dal ricorrente, e più in generale con il principio di discriminazione e la disparità di trattamento rispetto a fattispecie analoghe. Come ritenuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n.215/2014 l’art.16 della legge n.223/1991 costituisce un trattamento speciale di disoccupazione maggiormente consistente, per importo e durata, rispetto a quello ordinario. Ciò rende del tutto ragionevole la necessità di una anzianità lavorativa minima, alle dipendenze del medesimo datore di lavoro.
Per questi motivi il ricorso deve essere rigettato. La particolarità della questione impone la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26/11/2024.