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Aggravamento malattia: diritto alla rendita anche dopo anni

Un lavoratore, già beneficiario di un indennizzo per patologie professionali, ha ottenuto un aumento della prestazione a seguito di un aggravamento malattia. L’istituto assicuratore ha impugnato la decisione, sostenendo che il peggioramento fosse dovuto al normale invecchiamento e non al lavoro pregresso. La Corte d’Appello ha respinto il ricorso, affermando che la naturale evoluzione di una malattia professionale già riconosciuta costituisce causa legittima per l’aumento della rendita, anche a distanza di anni dalla cessazione dell’attività rischiosa, in base all’art. 137 del D.P.R. 1124/1965.

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Pubblicato il 14 aprile 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Aggravamento Malattia Professionale: Diritto all’Aumento della Rendita Anche a Distanza di Anni

Quando una malattia professionale, già riconosciuta e indennizzata, peggiora nel tempo, il lavoratore ha diritto a un aumento della rendita? E cosa succede se questo peggioramento si manifesta anni dopo la cessazione dell’attività lavorativa che l’ha causata? Una recente sentenza della Corte d’Appello fornisce chiarimenti cruciali su questo tema, focalizzandosi sul concetto di aggravamento malattia e distinguendolo nettamente dall’insorgenza di una nuova patologia. La decisione conferma che la naturale evoluzione peggiorativa di una malattia professionale già accertata legittima la revisione dell’indennizzo, anche in assenza di una continua esposizione al rischio lavorativo.

I Fatti del Caso: dal Riconoscimento Iniziale all’Appello

Un lavoratore, impiegato per decenni in mansioni usuranti come taglialegna e operaio edile, aveva già ottenuto il riconoscimento di un danno biologico dell’11% per patologie alla colonna lombo-sacrale e alle ginocchia, oltre che per epicondilite. Anni dopo, a fronte di un peggioramento delle sue condizioni e dell’insorgenza di una nuova patologia alle spalle, si era rivolto al Tribunale.

In primo grado, il giudice, basandosi su una consulenza tecnica d’ufficio (CTU), aveva accertato la natura professionale della nuova patologia alle spalle e l’effettivo aggravamento di quelle preesistenti alla colonna e alle ginocchia. Di conseguenza, il danno biologico complessivo era stato ricalcolato al 25%, con conseguente condanna dell’Istituto assicuratore a costituire la relativa rendita.

L’Istituto, tuttavia, ha proposto appello, contestando specificamente la correlazione tra l’attività lavorativa passata e l’aggravamento delle patologie alla colonna e alle ginocchia. Secondo l’ente, essendo trascorso un considerevole intervallo di tempo dalla cessazione del lavoro a rischio, il peggioramento doveva essere attribuito esclusivamente alla fisiologica senescenza e non a cause professionali.

La Questione Giuridica sull’Aggravamento Malattia

Il nucleo della controversia ruotava attorno all’interpretazione delle norme che regolano le malattie professionali. L’Istituto appellante sosteneva che i termini massimi di indennizzabilità previsti dal D.M. 9 aprile 2008 (un anno per la patologia lombare e due per quella agli arti inferiori dalla cessazione dell’esposizione al rischio) dovessero applicarsi anche ai casi di aggravamento. Superati tali termini, ogni peggioramento sarebbe da considerarsi slegato dall’origine professionale.

La Corte d’Appello ha respinto questa tesi, operando una distinzione fondamentale tra due diverse fattispecie.

La Differenza tra Nuova Malattia ed Evoluzione di una Patologia Esistente

Il punto centrale della decisione è la distinzione tra:
1. Insorgenza ex novo di una malattia professionale: si tratta della prima manifestazione di una patologia. In questo caso, le norme sulle malattie tabellate e i relativi termini massimi di indennizzabilità sono pienamente applicabili.
2. Aggravamento di una malattia già riconosciuta: riguarda il peggioramento di una patologia la cui origine professionale è già stata accertata. Questa ipotesi è disciplinata da una norma specifica, l’art. 137 del D.P.R. n. 1124/1965 (Testo Unico sull’assicurazione contro gli infortuni).

L’art. 137 prevede espressamente la possibilità di rivedere la rendita in caso di modificazioni delle condizioni fisiche del titolare, purché il peggioramento derivi dalla malattia professionale che ha dato luogo alla liquidazione iniziale. La norma, come interpretata dalla giurisprudenza costante, si riferisce proprio all’aggravamento conseguente alla naturale evoluzione della patologia originaria.

Le Motivazioni della Corte d’Appello

La Corte ha ritenuto l’appello infondato, confermando integralmente la sentenza di primo grado. I giudici hanno sottolineato che la tesi dell’Istituto assicuratore, volta ad applicare i termini di indennizzabilità previsti per le nuove malattie anche agli aggravamenti, è errata. Tali termini sono pensati per creare una presunzione di nesso causale per le patologie che insorgono entro un certo periodo dalla fine del lavoro, ma non hanno alcuna attinenza con l’evoluzione di una malattia già conclamata e riconosciuta.

Nel caso specifico, la CTU aveva accertato che il peggioramento delle condizioni del lavoratore (dal 4% al 6% sia per la colonna che per le ginocchia) rientrava nel normale e fisiologico processo evolutivo di tali affezioni. Queste patologie tendono a un progressivo aggravamento, un processo che può essere influenzato anche dall’invecchiamento, ma la cui radice causale resta quella professionale originaria. La coesistenza di fattori extraprofessionali, come la senescenza, non esclude il nesso con la malattia professionale, a meno che non si dimostri che tali fattori siano stati l’unica ed esclusiva causa del peggioramento, cosa che l’Istituto non è riuscito a fare.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia ribadisce un principio di fondamentale importanza per la tutela dei lavoratori affetti da malattie professionali. L’aggravamento malattia, inteso come evoluzione naturale della patologia, non è soggetto ai termini massimi di indennizzabilità previsti per la prima diagnosi. Il diritto del lavoratore a vedere adeguata la propria rendita alle sue peggiorate condizioni di salute è tutelato dall’art. 137 del Testo Unico e non può essere negato solo perché è trascorso del tempo dalla fine dell’esposizione al rischio. La sentenza chiarisce che una volta stabilito il nesso professionale di una malattia, i suoi sviluppi successivi, anche a distanza di anni, rimangono nell’alveo della tutela assicurativa, salvo la prova di una causa alternativa ed esclusiva che interrompa tale nesso.

L’aggravamento di una malattia professionale dà diritto a un aumento della rendita anche se è passato molto tempo dalla fine dell’attività lavorativa rischiosa?
Sì. La Corte ha stabilito che l’aggravamento che deriva dalla naturale evoluzione della malattia professionale già riconosciuta dà diritto alla revisione della rendita, a prescindere dal tempo trascorso dalla cessazione dell’esposizione al rischio.

I limiti temporali previsti dalle tabelle delle malattie professionali si applicano anche ai casi di aggravamento?
No. Secondo la sentenza, tali limiti si applicano solo all’insorgenza di una nuova malattia professionale, non all’aggravamento di una patologia preesistente e già indennizzata, la cui disciplina è dettata dall’art. 137 del D.P.R. 1124/1965.

Se il peggioramento della malattia è causato anche dall’invecchiamento, il lavoratore perde il diritto all’aumento della rendita?
No. La Corte ha chiarito che, se la malattia ha un’origine professionale accertata, il suo peggioramento, anche se favorito da fattori extraprofessionali come l’invecchiamento, è comunque riconducibile alla patologia iniziale. L’ente assicuratore, per negare l’aumento, dovrebbe dimostrare l’esistenza di un fattore causale alternativo ed esclusivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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