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Agevolazione tariffaria: no al diritto acquisito

Ex dipendenti di una società energetica ricorrono in Cassazione contro la soppressione della storica agevolazione tariffaria sulle bollette. La Corte rigetta il ricorso, confermando che il beneficio non ha natura retributiva e non costituisce un diritto acquisito, legittimando quindi il recesso della società dal vincolo.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Agevolazione Tariffaria: la Cassazione nega il diritto acquisito

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare chiarezza su una questione di grande interesse nel diritto del lavoro: la natura e la durata dei benefici aziendali. Il caso riguarda la storica agevolazione tariffaria sull’energia elettrica, concessa da una grande società energetica ai propri dipendenti e pensionati. La Suprema Corte ha stabilito che tale beneficio non costituisce un diritto acquisito, legittimando la decisione dell’azienda di revocarlo.

I fatti del caso: la soppressione del beneficio

Un gruppo di ex dipendenti, ormai in pensione, di una nota società energetica ha convenuto in giudizio la loro ex datrice di lavoro. L’oggetto del contendere era la decisione dell’azienda di porre fine, tramite una disdetta, allo sconto sulla tariffa dell’energia elettrica di cui avevano sempre goduto, previsto da un contratto collettivo del 1989. I ricorrenti sostenevano che tale soppressione fosse illegittima, configurando una violazione dei loro diritti quesiti e un inadempimento contrattuale. Chiedevano, quindi, il ripristino del beneficio e il risarcimento dei danni.
Sia il Tribunale di primo grado sia la Corte d’Appello avevano respinto le loro domande, ritenendo che il beneficio non avesse natura retributiva e che l’azienda avesse il diritto di recedere da un’obbligazione a tempo indeterminato.

La decisione della Corte: l’agevolazione tariffaria non è un diritto

La Corte di Cassazione, con una decisione in linea con il suo consolidato orientamento, ha rigettato il ricorso degli ex dipendenti. Gli Ermellini hanno confermato che la pretesa dei lavoratori alla conservazione del beneficio era infondata. La decisione si basa su una distinzione fondamentale tra diritti quesiti, che sono intangibili, e mere aspettative, che possono essere modificate dalla contrattazione collettiva o da atti unilaterali legittimi, come la disdetta in questione.

Le motivazioni: perché l’agevolazione tariffaria non è retribuzione

La Corte ha dettagliatamente spiegato le ragioni giuridiche alla base della sua decisione.

La natura non retributiva del beneficio

Il punto centrale dell’argomentazione è che l’agevolazione tariffaria non ha natura retributiva. Non si tratta, cioè, di una parte dello stipendio. Lo sconto era concesso indipendentemente dalla qualità e quantità della prestazione lavorativa del singolo dipendente. Era un beneficio slegato dal parametro di corrispettività, esteso anche a soggetti non dipendenti come vedove e vedovi, e legato piuttosto all’uso domestico dell’energia. Il fatto che il valore del beneficio fosse incluso nel CUD a fini fiscali non ne altera la natura giuslavoristica, poiché la legge tributaria ha finalità diverse, legate alla capacità contributiva.

La differenza tra diritto quesito e mera aspettativa

Di conseguenza, non essendo retribuzione, il beneficio non può essere considerato un ‘diritto quesito’. I diritti quesiti sono quelli già entrati nel patrimonio del lavoratore, come la retribuzione per un lavoro già svolto. L’agevolazione per i consumi futuri, invece, rappresenta una mera aspettativa al mantenimento di una normativa collettiva più favorevole, che però può cambiare nel tempo. La contrattazione collettiva, per sua natura, evolve e può anche prevedere condizioni meno vantaggiose per il futuro.

La legittimità del recesso datoriale

La Corte ha infine affermato un principio generale: il recesso unilaterale è uno strumento ordinario per estinguere un rapporto di durata a tempo indeterminato. Questo principio, valido nei negozi privati, si applica anche alla contrattazione collettiva per evitare la perpetuità di un vincolo obbligatorio. L’azienda, pertanto, ha legittimamente esercitato il suo diritto di recedere dal beneficio, agendo nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, senza che ciò costituisse un inadempimento.

Le conclusioni: implicazioni per i lavoratori

L’ordinanza ribadisce un principio consolidato: i benefici accessori, non legati direttamente alla prestazione lavorativa, non sono ‘per sempre’. Essi dipendono dalla fonte che li ha istituiti, come un contratto collettivo, e possono essere modificati o soppressi secondo le regole di quest’ultimo. Per i lavoratori, ciò significa che la stabilità di tali vantaggi non è garantita e che essi rappresentano un’aspettativa legittima ma non un diritto intangibile. La decisione sottolinea anche l’abuso del processo da parte dei ricorrenti, condannandoli a un ulteriore pagamento per aver intrapreso un’azione legale manifestamente infondata alla luce della giurisprudenza costante.

L’agevolazione tariffaria sulla bolletta elettrica per i dipendenti costituisce un diritto acquisito?
No, secondo la Corte di Cassazione, l’agevolazione tariffaria non è un diritto quesito. Essa è un beneficio derivante dalla contrattazione collettiva che può essere modificato o soppresso, rappresentando una mera aspettativa al mantenimento di una norma più favorevole.

Lo sconto in bolletta per i lavoratori di un’azienda energetica è da considerarsi parte dello stipendio?
No, la Corte ha escluso la natura retributiva del beneficio. Lo sconto non è legato alla qualità o quantità della prestazione lavorativa, ma è un vantaggio slegato dal parametro di corrispettività, quindi non fa parte della retribuzione.

Un’azienda può legittimamente revocare un beneficio concesso ai propri dipendenti a tempo indeterminato?
Sì, l’ordinanza afferma che va estesa ai contratti collettivi la regola secondo cui il recesso unilaterale è una causa ordinaria di estinzione di un rapporto di durata a tempo indeterminato, per evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio. Tale recesso è legittimo se non viola i principi di buona fede.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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