Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15040 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 15040 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 22729-2023 proposto da:
COGNOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrenti –
Oggetto
R.G.N. 22729/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 23/04/2025
CC
avverso la sentenza n. 721/2023 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 02/05/2023 R.G.N. 503/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. Con ricorso dell’8.9.2017 gli attuali ricorrenti per cassazione in epigrafe indicati, tutti pensionati quali ex dipendenti di Enel convenivano in giudizio l’Enel S.p.A, l’RAGIONE_SOCIALE, l’RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE, al fine di ottenere dal Giudice del Lavoro del Tribunale di Bari una pronuncia di accoglimento delle seguenti conclusioni: ‘1. accertare e dichiarare la nullità, l’inefficacia o, comunque, annullare e, in ogni caso, dichiarare priva di effetti nei confronti dei ricorrenti la disdetta comunicata dalla società datrice di lavoro, per il tramite di Enel S.p.ARAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE; 2. accertare e dichiarare il diritto dei ricorrenti alla conservazione del diritto alla riduzione dell’80% della tariffa di vendita della energia elettrica di cui all’art. 33 del ccl dipendenti elettrici dell’Enel del 21/02/1989, secondo i termini e le condizioni ivi stabilite; 3. accertare e dichiarare che la soppressione del diritto alla riduzione tariffaria sulla fornitura di energia elettrica operata dalla società datrice di lavoro nei confronti dei ricorrenti integra un inadempimento contrattuale; 4. ex art. 1453 c.c., condannare la Enel S.p.a. e E-Distribuzione s.p.a., quali condebitori solidali ex art. 2112 c.c., ovvero ciascuno per quanto di rispettiva ragione al ripristino immediato del diritto alla riduzione tariffaria sulla fornitura di energia elettrica, nonché a risarcire i ricorrenti del danno patrimoniale da essi patito, commisurato al controvalore dello sconto di cui essi non hanno fruito dal 01/01/2016 fino al giorno dell’effettivo ripristino,
maggiorato degli accessori come per legge e da quantificarsi in separato giudizio; 5. in via gradata, nella denegata ipotesi di non ritenuta inefficacia della operata disdetta, accertare e dichiarare che la soppressione del diritto alla riduzione tariffaria sulla fornitura di energia elettrica costituisce ingiustificato arricchimento a vantaggio del recedente e, per l’effetto, ex art. 2041 c.c., condannare Enel S.p.aRAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE, quali condebitori solidali ex art. 2112 c.c., ovvero ciascuno per quanto di rispettiva ragione a indennizzare i ricorrenti della correlativa diminuzione patrimoniale, da liquidarsi commisurandolo al controvalore perduto (7.000 kWh x 0,20 cent = 1.400,00 annui; 2.500 kWh x o,20 cent. = € 500,00 annui) proiettato ad una aspettativa di vita di oltre 87 anni del più giovane tra l’ex dipendente e il coniuge; 6. In via estremamente gradata condannare Enel S.p.a. e E-distribuzione s.p.a. al pagamento della c.d. ‘una tantum’ così come quantificata secondo l’età anagrafica compiuta da ciascun ricorrente alla data del 31.12.2015 secondo i criteri stabiliti negli accordi dell’11.05.2011 e del 01.12.2011 o in subordine nella tabella allegata; in ogni caso con vittoria di spese in distrazione e a carico delle convenute in via solidale, ovvero per quanto di rispettiva ragione.
Costituitesi le convenute che contestavano tali domande, con sentenza n. 4484/2019 del 28.10.2019, il Tribunale di Bari rigettava le domande degli attori, compensando integralmente tra le parti le spese di lite.
Con sentenza n. 721/2023 pubbl. il 02/05/2023 la Corte d’appello di Bari, dichiarata cessata la materia del contendere per intervenuta rinuncia in relazione ad alcuni dei lavoratori appellanti rigettava l’appello che gli attuali ricorrenti per
cassazione avevano proposto contro la decisione di primo grado, confermandola e compensando di nuovo le spese del secondo grado.
Per quanto qui ancora rileva, la Corte territoriale, nel disattendere tutti i motivi d’appello degli istanti, richiamava integralmente le motivazioni di Cass. sez. lav., 17.01.2023, n.1296 che, dopo aver ricostruito la disciplina collettiva succedutasi ed evolutasi nel senso di un progressivo superamento del quadro originario circa l’agevolazione tariffaria in discorso, giungeva, come il primo giudice, alla conclusione che la disdetta dal beneficio rappresentato dall’agevolazione tariffaria, da quelli contestata sotto diversi profili, non violava diritti quesiti degli stessi, confermando, altresì, che l’agevolazione tariffaria non rivestisse natura retributiva. Quanto alla domanda svolta in via subordinata ex art. 2041 c.c. la Corte ne rilevava in primo luogo l’improponibilità ed in ogni caso l’infondatezza non potendo qualificarsi l’arricchimento della società appellata come ‘ingiustificato’, trovando al contrario la sua fonte nel legittimo esercizio, da parte datoriale, del diritto di recedere unilateralmente da vincoli contrattuali di durata indefinita.
Avverso tale decisione gli istanti sopra specificati hanno proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.
Hanno resistito le intimate società con unico controricorso.
È stata formulata proposta di definizione accelerata del ricorso, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., essendo stata ravvisata la manifesta infondatezza dell’unico motivo di ricorso alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte in relazione al filone contenzioso relativo alle cdd. agevolazioni tariffarie RAGIONE_SOCIALE.
Con memoria depositata ai sensi del medesimo art. 380 bis c.p.c. è stata fatta istanza di decisione.
È stata, quindi, disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c.
Entrambe le parti hanno prodotto memoria.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 1175, 1366 e 1375 cod civ., e dell’art. 3 Cost., in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. per non aver la Corte d’appello correttamente interpretato il ccnl del 1996 che aveva abolito il beneficio a partire dall’1.7.1996, ma solo per i nuovi assunti, attribuendo all’agevolazione la natura non retributiva, senza considerare che il recesso, esercitato solo nel 2015, era contrario a correttezza e buona fede. Per i ricorrenti, quand’anche volesse accedersi alle generali condizioni economico-sociali che possano giustificare il recesso datoriale , questo non venne esercitato in occasione dell’accordo del 23.4.1996, allorché si decise di sopprimere la riduzione tariffaria a partire solo dalle nuove assunzioni (dall’1.8.1996), nei confronti di chi prestava già servizio alle dipendenze dell’Enel (per costoro il CCNL del 23.4.1996 aveva rispettato il ‘diritto quesito’), ragione ulteriore per la quale l’impugnato recesso è contrario a correttezza e buona fede.
In via preliminare va evidenziato che, come di recente chiarito da questa Corte a Sezioni Unite (Sentenza n. 9611 del 10/04/2024, Rv. 670667-01) nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380-bis c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il
consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte – ed eventualmente essere nominato relatore – del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4, e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.
Ciò premesso, sempre in via preliminare, va evidenziato che, mentre l’art. 380-bis, comma 2, cod. proc. civ., nella sua formulazione vigente al momento della proposizione dell’istanza di decisione, prescriveva che questa fosse presentata da difensore “munito di una nuova procura speciale”, in forza della modifica apportata al medesimo comma 2 dell’art. 380 bis c.p.c. dall’art. 3, comma 4, lettera n) del d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, tale ‘nuova procura speciale’ non è più richiesta. Ai sensi dell’art. 7 comma 1 del d.Lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, “Ove non diversamente previsto, le disposizioni del presente decreto si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023”.
3.1. Considerato che il presente giudizio risulta introdotto con ricorso notificato il 2 novembre 2023 e depositato il 22 novembre 2023, deve ritenersi applicabile la suddetta modifica dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c. e, dunque, non più necessaria una nuova procura speciale ai fini della valida presentazione dell’istanza di decisione. Tenuto conto, dunque, che l’istanza
risulta depositata il 5 giugno 2024 nell’interesse di ‘Notario NOME ed altri’ e che nel testo dell’istanza il difensore si limita a dichiarare di non aver potuto ‘acquisire anche da parte di tutti gli altri il mandato aggiuntivo richiesto, e pertanto si allega il mandato sottoscritto dai sigg.ri COGNOME NOME COGNOME COGNOME Michele, NOME COGNOME PaoloCOGNOME Vito, NOME COGNOME, COGNOME Mario, NOME COGNOME e COGNOME Tommaso’, deve ritenersi l’istanza proposta nell’interesse e per conto di tutti gli originari ricorrenti.
Passando, dunque, all’esame del motivo di ricorso, esso deve essere respinto in continuità con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, già menzionata nella proposta di definizione anticipata, che si richiama anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., la quale, nello scrutinare le medesime questioni poste dal motivo in esame, ha confermato la infondatezza della pretesa degli ex dipendenti Enel alla conservazione del beneficio delle agevolazioni tariffarie sui consumi dell’energia elettrica, dopo la disdetta dell’ottobre 2015 da parte di ENEL (Cass. nn. 3878, 3881, 3882, 3883 del 2022 e 1281, 1289, 1296, 1309, 1596, 1597, 9513, 10138, 10206, 10726, 11342, 11550, 11557, 12604, 12638, 12684, 23433, 23440, 25504 e 26369 del 2023 nonché da ultimo n. 25238 del 2024) da cui non si ritiene discostarsi in mancanza di valide argomentazioni che ne impongano una rivisitazione.
Invero, questa Corte, come anche rilevato nella sentenza impugnata, che ha espressamente richiamato, riproducendolo testualmente, il precedente (Cass. n. 1296 del 2023) ha evidenziato che, da un punto di vista storico, l’agevolazione tariffaria sull’energia elettrica venne introdotta per la prima volta nel contratto collettivo post corporativo a favore dei
dipendenti delle aziende elettriche private con la finalità di attribuire un beneficio alle famiglie dei dipendenti che si servivano per uso domestico della energia erogata dal proprio datore di lavoro. La misura in oggetto fu strettamente collegata all’uso familiare dell’abitazione principale del dipendente tanto che in presenza di più dipendenti ENEL componenti del medesimo nucleo familiare, l’agevolazione tariffaria spettava per una sola utenza e comunque entro determinati limiti; essa venne estesa agli ex dipendenti posti in quiescenza e riconosciuta anche in favore di soggetti non dipendenti quali le vedove e i vedovi dei dipendenti.
6. Tanto premesso, in relazione alle specifiche questioni poste dal motivo in esame si osserva che è condivisibile la sentenza impugnata laddove esclude la natura retributiva del beneficio. La relativa verifica, condotta alla luce delle caratteristiche dell’istituto quale regolato dalle norme collettive induce ad escludere ogni rapporto di corrispettività tra l’agevolazione tariffaria e la prestazione del singolo lavoratore; lo sconto sui consumi di energia elettrica e la relativa misura erano previsti a prescindere dalla qualità e quantità della prestazione lavorativa resa dal singolo dipendente nonché dalla durata del pregresso rapporto e dalla posizione che il lavoratore aveva assunto in azienda; esso quindi era del tutto sganciato dal parametro di corrispettività con la prestazione lavorativa ed in quanto tale sottratto al rispetto del canone di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Cost. configurandosi come un beneficio che trovava origine nel complessivo regolamento del rapporto di lavoro senza essere specificamente destinato alla remunerazione della prestazione resa dal dipendente. In senso contrario a tale approdo non sono utilmente invocabili alcuni
precedenti di questa Corte (Cass. n. 24268 del 2013 e Cass. n. 24533 del 2013), che hanno scrutinato fattispecie non sovrapponibili a quella in esame, in quanto nelle richiamate decisioni l’affermazione della natura retributiva dell’agevolazione tariffaria concessa ai lavoratori si connetteva al carattere alternativo che tale agevolazione aveva assunto rispetto al riconoscimento di un assegno ad personam non assorbibile, di pacifica natura retributiva. Neppure può valere a sorreggere l’affermazione della natura retributiva dell’agevolazione tariffaria in oggetto la circostanza del suo inserimento nel CUD e la sua qualificazione come reddito da lavoro ai fini IRPEF (Cass. n. 586 del 2017; Cass. n. 11414 del 2015), tenuto conto delle specifiche finalità della legge tributaria per la quale ciò che rileva è che una determinata erogazione (o il suo controvalore) costituisca indice di capacità contributiva che lo renda assoggettabile a prelievo fiscale; tanto esclude che dalla qualificazione a fini fiscali dell’agevolazione tariffaria possano trarsi indicazioni destinate ad incidere sulla configurazione dell’istituto in oggetto nell’ambito del rapporto di lavoro. Analogamente, nel senso dell’irrilevanza ai fini della questione controversa, depone la circostanza dell’assoggettamento a contribuzione del beneficio ai sensi dell’art. 12 Legge n. 153/1969, atteso che il principio secondo il quale l’ammontare della retribuzione assoggettata a contribuzione assicurativa obbligatoria è sottratto all’autonomia negoziale delle parti ed è direttamente determinato dall’art. 12 della legge 30 aprile 1969 n. 153, il quale, dopo aver incluso in esso ogni importo che il lavoratore riceva dal datore di lavoro “in dipendenza del rapporto di lavoro” (cioè in adempimento di obbligazioni che trovano titolo nel contratto di lavoro, anche senza specifica correlazione con la prestazione lavorativa),
introduce, con elencazione tassativa, una serie di eccezioni (ex plurimis, Cass. Sez. Un. 3232 del 1985), non interferisce con la possibilità di disdettare il beneficio che trovi il suo riconoscimento nella fonte collettiva.
Alla luce delle superiori considerazioni è da escludere la configurabilità di un diritto quesito al mantenimento del beneficio. A riguardo occorre premettere che, secondo l’orientamento di questa Corte, nell’ambito del rapporto di lavoro sono configurabili diritti quesiti, che non possono essere incisi dalla contrattazione collettiva in mancanza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte dei singoli lavoratori, solo con riferimento a situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato, come nel caso dei corrispettivi di prestazioni già rese, e non invece in presenza di quelle situazioni future o in via di consolidamento, che sono frequenti nel contratto di lavoro, da cui scaturisce un rapporto di durata con prestazioni ad esecuzione periodica o continuativa, autonome tra loro e suscettibili come tali di essere differentemente regolate in caso di successione di contratti collettivi (Cass. n. 14944 del 2014; Cass. n 20838 del 2009). Pertanto, gli unici diritti intangibili sono quelli che sono già entrati a far parte del patrimonio del lavoratore, quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già eseguita, situazioni queste non configurabili in relazione alla pretesa azionata dagli odierni ricorrenti, espressione di una mera aspettativa al mantenimento nel tempo della più favorevole normativa collettiva che tale beneficio ha previsto.
In questa prospettiva prive di pregio risultano le deduzioni articolate dagli odierni ricorrenti, con l’unico motivo di ricorso,
deduzioni intese a denunziare la pretesa non conformità a correttezza e buona fede della disdetta datoriale. La Corte di merito, infatti, ha escluso la configurabilità di un diritto quesito al beneficio tariffario e ritenuto legittimo il recesso considerato che alla contrattazione collettiva ‘va estesa la regola, di generale applicazione nei negozi privati, secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, che risponde all’esigenza di evitare – nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto – la perpetuità del vincolo obbligatorio’.
8.1. Premesso che gli obblighi di correttezza e buona fede vanno individuati con il rispetto del complesso di regole in cui si sostanzia la società in un certo contesto storico – sociale, che vengono quindi ad assumere la consistenza di “standard”, la valutazione di rispondenza a detti standard, istituzionalmente riservata al giudice di merito, in quanto logicamente e ampiamente motivata, sfugge al sindacato della Corte di cassazione.
8.2. Inammissibile è poi il motivo nella parte in cui vi si lamenta la violazione dell’art. 1366 c.c., non essendo specificato anche nello sviluppo della censura in relazione a quale oggetto di natura negoziale sarebbe stato violato il principio della ‘Interpretazione di buona fede’, sancito dalla citata norma, e come.
Per i motivi esposti il ricorso deve essere rigettato in sostanziale corrispondenza al provvedimento di proposta di definizione anticipata. Al rigetto del ricorso consegue il regolamento, secondo soccombenza, delle spese di lite.
10. Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta, va disposta la condanna dei ricorrenti a norma dell’art. 96, comma 3 e comma 4, c.p.c. Vale, infatti, rammentare che, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380-bis, comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, codificando un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass. Sez. U. 13 ottobre 2023, n. 28540).
11. In tal senso, i ricorrenti vanno condannati, nei confronti della controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di € 3.000,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
12. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente Trenitalia s.p.a. delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 6.000 per compensi, oltre
alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.
Condanna altresì i ricorrenti al pagamento della somma di 3.000 euro in favore della controricorrente e al pagamento dell’ulteriore somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Quarta Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 23 aprile 2025.
LA PRESIDENTE
NOME COGNOME