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Adeguamento retributivo: un diritto per i dipendenti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8680/2024, ha stabilito un principio fondamentale per i dipendenti del Ministero degli affari esteri in servizio all’estero. La Corte ha chiarito che l’adeguamento retributivo, previsto dall’art. 157 del d.p.r. n. 18/1967, non è una mera facoltà discrezionale della Pubblica Amministrazione, ma un vero e proprio diritto del lavoratore quando la retribuzione diventa inadeguata. Ribaltando la decisione della Corte d’appello, la Cassazione ha affermato che il giudice ha il potere-dovere di valutare la congruità dello stipendio in base all’art. 36 della Costituzione, anche d’ufficio. Il lavoratore deve solo provare il rapporto di lavoro e l’entità della retribuzione, non la sua insufficienza.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Adeguamento Retributivo: la Cassazione chiarisce che è un Diritto, non Discrezione

L’ordinanza n. 8680/2024 della Corte di Cassazione segna una tappa cruciale in materia di lavoro pubblico all’estero, affermando con forza il principio secondo cui l’adeguamento retributivo non è una concessione lasciata alla discrezionalità dell’amministrazione, ma un diritto fondamentale del lavoratore. Questa decisione, che interviene su una controversia tra alcuni dipendenti del Ministero degli Affari Esteri e il Ministero stesso, ridefinisce i contorni della tutela salariale alla luce dei principi costituzionali.

I Fatti del Caso

Un gruppo di lavoratori, dipendenti del Ministero degli affari esteri in servizio in Germania con contratti regolati dalla legge italiana, aveva avviato un’azione legale per ottenere l’adeguamento del proprio stipendio. La loro richiesta si fondava sull’articolo 157 del d.P.R. n. 18 del 1967, che prevede la possibilità di revisionare la retribuzione in base alle variazioni del costo della vita e delle condizioni del mercato del lavoro locale.

La Corte d’appello di Roma, tuttavia, aveva respinto la loro domanda. Secondo i giudici di secondo grado, la norma in questione non configurava un vero e proprio diritto alla revisione, ma si limitava a indicare una possibilità, rimettendo la decisione finale alla scelta discrezionale dell’amministrazione. Inoltre, la Corte territoriale aveva ritenuto infondata la pretesa basata sull’art. 36 della Costituzione (diritto a una retribuzione equa e sufficiente), poiché i lavoratori non avevano fornito prove specifiche dell’inadeguatezza del loro compenso, limitandosi a lamentare il mancato adeguamento pluriennale.

L’Adeguamento Retributivo alla Luce dei Principi Costituzionali

Contro questa decisione, i lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione, lamentando una violazione e falsa applicazione della legge. La Suprema Corte ha accolto il loro motivo principale, ribaltando completamente l’interpretazione fornita dalla Corte d’appello.

La Cassazione ha chiarito che l’interpretazione della Corte di merito era errata sia nella lettera che nella ratio della norma. L’art. 157 del d.P.R. n. 18/1967, se letto in combinato disposto con l’art. 36 della Costituzione, non può essere interpretato come una mera facoltà. La norma stabilisce che la retribuzione base annua è suscettibile di revisione in relazione a parametri oggettivi, come le variazioni del costo della vita e le condizioni del mercato del lavoro. Questa previsione non può essere rimessa al mero arbitrio del datore di lavoro pubblico.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione richiamando propri precedenti orientamenti (in particolare, Cass. n. 17504/2023). Ha affermato che, al maturare di situazioni di ‘inadeguatezza’ e ‘proporzionalità’ della retribuzione, sorge un vero e proprio diritto all’adeguamento. Questo diritto non scatta automaticamente al mutare di un singolo parametro, ma dipende dal ‘complessivo ricorrere’ di condizioni che rendono lo stipendio non più conforme ai principi dell’art. 36 della Costituzione.

L’errore della Corte d’appello, secondo la Cassazione, è stato duplice:

1. Errata interpretazione della norma: Ha considerato come discrezionale una facoltà che, in realtà, è vincolata al rispetto dei principi costituzionali di adeguatezza e proporzionalità della retribuzione.
2. Errata valutazione dell’onere della prova: Ha addossato ai lavoratori l’onere di dimostrare l’insufficienza dello stipendio. La Cassazione ha invece ribadito che la valutazione sull’adeguatezza della retribuzione ha ‘carattere officioso’. Spetta al giudice, una volta che il lavoratore ha provato il rapporto di lavoro e l’ammontare dello stipendio, verificare la conformità di quest’ultimo ai criteri dell’art. 36 Cost. Il lavoratore non deve provare l’insufficienza, che è un criterio giuridico che il giudice deve applicare d’ufficio.

Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte d’appello di Roma per un nuovo esame. Il principio affermato è di grande importanza: il diritto a una giusta retribuzione, costituzionalmente garantito, implica il diritto all’adeguamento retributivo quando le condizioni economiche mutano a tal punto da renderla inadeguata. La Pubblica Amministrazione non ha il potere discrezionale di ignorare tali variazioni, ma ha l’obbligo di garantire che lo stipendio dei propri dipendenti all’estero rimanga sempre congruo e sufficiente. Questa ordinanza rafforza le tutele per i lavoratori e chiarisce che la valutazione sulla giusta retribuzione è un compito primario del giudice del lavoro.

I dipendenti pubblici all’estero hanno un diritto automatico all’adeguamento dello stipendio?
No, il diritto non è automatico al mutare di un singolo parametro (es. il costo della vita). Sorge quando il complesso delle condizioni economiche rende la retribuzione complessivamente ‘inadeguata’ e ‘sproporzionata’ rispetto ai principi dell’art. 36 della Costituzione.

Cosa deve dimostrare un lavoratore per chiedere l’adeguamento della retribuzione?
Secondo la Corte di Cassazione, il lavoratore deve provare unicamente il rapporto di lavoro svolto e l’entità della retribuzione percepita. Non è tenuto a provare anche l’insufficienza o la non proporzionalità dello stipendio.

La Pubblica Amministrazione può decidere discrezionalmente se adeguare o meno lo stipendio?
No. La Corte ha stabilito che la revisione dello stipendio non è rimessa alla discrezionalità o all’arbitrio della Pubblica Amministrazione. Quando si verificano le condizioni di inadeguatezza, l’adeguamento diventa un obbligo e per il lavoratore sorge un vero e proprio diritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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