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Acqua non potabile: rimborso garantito dalla Cassazione

Un utente ha citato in giudizio la propria società idrica per aver ricevuto acqua non potabile per un triennio. Dopo aver pagato le bollette per intero a seguito di una diffida, ha richiesto il rimborso del 50%. I tribunali di merito avevano respinto la domanda, applicando la prescrizione breve di un anno per i vizi della cosa. La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione, stabilendo che la fornitura di acqua non potabile non è un vizio, ma un grave inadempimento contrattuale (aliud pro alio), soggetto alla prescrizione ordinaria di dieci anni. Il caso è stato rinviato al Tribunale per un nuovo esame.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

Acqua non potabile in bolletta: la Cassazione stabilisce il diritto al rimborso

La fornitura di servizi essenziali, come l’acqua, è alla base della vita quotidiana. Ma cosa succede quando il servizio pagato non rispetta gli standard minimi di qualità? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fatto luce su un caso emblematico di fornitura di acqua non potabile, stabilendo un principio fondamentale a tutela dei consumatori: non si tratta di un semplice difetto, ma di un grave inadempimento contrattuale.

I fatti del caso: la richiesta di rimborso

Un cittadino, titolare di un’utenza idrica, si è trovato a ricevere per circa tre anni acqua dichiarata non potabile dall’autorità sanitaria locale. Consapevole del disservizio, l’utente aveva inizialmente pagato le bollette solo al 50%. Tuttavia, a seguito di una diffida da parte della società fornitrice, si era visto costretto a saldare anche il restante 50%.

Ritenendo ingiusto il pagamento integrale per un servizio palesemente inadeguato, l’utente ha deciso di agire in giudizio per ottenere la restituzione della seconda metà dell’importo versato, pari a circa 241 euro, oltre a un risarcimento per i danni subiti.

Il percorso giudiziario e l’errore dei primi gradi

Sia il Giudice di Pace che, in seguito, il Tribunale in sede di appello, hanno respinto la domanda dell’utente. La loro decisione si basava su un’interpretazione restrittiva della legge, assimilando la fornitura di acqua non idonea a un semplice ‘vizio della cosa venduta’. Di conseguenza, hanno applicato la disciplina prevista dall’articolo 1495 del Codice Civile, che impone termini molto brevi per denunciare i difetti (decadenza) e per agire in giudizio (prescrizione di un anno).

Secondo i giudici di merito, il diritto dell’utente si era quindi estinto per prescrizione, non essendo stata intrapresa l’azione legale entro l’anno.

La fornitura di acqua non potabile è inadempimento: la svolta della Cassazione

La Corte di Cassazione ha completamente ribaltato questa visione. Accogliendo il ricorso dell’utente, i giudici supremi hanno chiarito che fornire acqua non potabile al posto di quella potabile, oggetto del contratto di somministrazione, non è un semplice vizio. Si tratta, invece, di una fattispecie ben più grave, nota in diritto come ‘aliud pro alio’ (letteralmente, ‘una cosa per un’altra’).

Consegnare un bene radicalmente diverso da quello pattuito, inidoneo a svolgere la sua funzione essenziale, costituisce un vero e proprio inadempimento contrattuale. Questo cambia radicalmente le carte in tavola per quanto riguarda i termini per far valere i propri diritti.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione richiamando un suo precedente orientamento (Cass. ord. n. 26897/2023). La distinzione tra vizio e ‘aliud pro alio’ è cruciale: mentre il vizio riguarda difetti di qualità o produzione di un bene che rimane comunque quello pattuito, l’aliud pro alio si verifica quando il bene consegnato appartiene a un genere completamente diverso o è privo delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente.

L’acqua potabile e quella non potabile sono due beni giuridicamente ed economicamente distinti. La prima è destinata al consumo umano, la seconda no. La fornitura di quest’ultima al posto della prima integra, pertanto, un’ipotesi di inadempimento contrattuale soggetto non alla prescrizione breve di un anno (art. 1495 c.c.), ma al termine di prescrizione ordinario di dieci anni (art. 2946 c.c.).

Le conclusioni

Questa ordinanza rappresenta una vittoria importante per i diritti dei consumatori. Le implicazioni pratiche sono significative:

1. Maggiore Tutela: Gli utenti che ricevono un servizio idrico non conforme agli standard hanno a disposizione un periodo di tempo molto più lungo (dieci anni) per contestare e chiedere rimborsi o risarcimenti.
2. Chiarezza Giuridica: Viene stabilito con forza che la fornitura di un bene essenziale come l’acqua deve rispettare standard di qualità non negoziabili. La non potabilità non è un difetto tollerabile, ma una violazione fondamentale del contratto.
3. Responsabilità dei Fornitori: Le società di somministrazione idrica sono chiamate a una maggiore responsabilità, non potendo più fare affidamento su termini di prescrizione brevi per eludere le proprie obbligazioni contrattuali.

La Corte ha quindi cassato la sentenza del Tribunale e ha rinviato il caso ad un nuovo giudice, che dovrà ora decidere nel merito attenendosi a questo fondamentale principio di diritto.

La fornitura di acqua non potabile è considerata un semplice difetto del servizio?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che fornire acqua non potabile al posto di quella potabile pattuita non è un vizio, ma la consegna di una cosa completamente diversa (aliud pro alio), configurando un grave inadempimento contrattuale.

Qual è il termine di prescrizione per richiedere un rimborso in caso di acqua non potabile?
Poiché si tratta di inadempimento contrattuale e non di un vizio della cosa, non si applica il termine breve di un anno previsto dall’art. 1495 c.c. Si applica, invece, il termine di prescrizione ordinario di dieci anni.

Cosa significa che la Corte ha cassato la sentenza con rinvio?
Significa che la Corte Suprema ha annullato la decisione del tribunale precedente perché errata in diritto. Il caso non è concluso, ma viene ‘rinviato’, cioè rimandato allo stesso tribunale (in diversa composizione) che dovrà decidere nuovamente la questione, ma questa volta applicando il principio giuridico corretto indicato dalla Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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