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Accredito contributi omessi: diritti del lavoratore

Un lavoratore ha citato in giudizio l’ente previdenziale per ottenere l’accredito dei contributi omessi dal suo ex datore di lavoro. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 701/2024, ha respinto il ricorso, chiarendo che il lavoratore non ha un diritto ad agire contro l’ente per ottenere l’accredito contributi omessi. Il sistema tutela il lavoratore attraverso il principio di automaticità delle prestazioni e l’azione risarcitoria contro il datore di lavoro inadempiente, ma non con un’azione di condanna all’accredito nei confronti dell’ente.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Accredito Contributi Omessi: La Cassazione Chiarisce i Diritti del Lavoratore

L’omissione del versamento dei contributi previdenziali da parte del datore di lavoro rappresenta un grave inadempimento che può compromettere il futuro pensionistico del lavoratore. Ma quali sono gli strumenti a disposizione del dipendente per tutelarsi? È possibile agire direttamente contro l’ente previdenziale per ottenere l’accredito contributi omessi? Con la recente sentenza n. 701 del 9 gennaio 2024, la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti fondamentali su questo tema, delineando i confini delle tutele offerte dall’ordinamento.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un lavoratore che, dopo aver denunciato all’ente previdenziale l’omissione contributiva da parte del suo ex datore di lavoro per il periodo settembre 2012 – agosto 2013, aveva avviato un’azione legale esclusivamente nei confronti dell’ente stesso. La sua richiesta era chiara: ottenere la condanna dell’istituto alla regolarizzazione della propria posizione assicurativa, con il conseguente accredito dei contributi mancanti. Sia in primo grado che in appello, la sua domanda era stata respinta. I giudici di merito, pur riconoscendo che i contributi non erano ancora prescritti, avevano affermato che al lavoratore non spetta un’azione diretta contro l’ente per ottenere l’accredito, residuando in suo favore solo l’azione di risarcimento del danno contro il datore di lavoro (art. 2116 c.c.) o l’azione per la costituzione di una rendita vitalizia (art. 13, L. 1338/1962).

La Decisione della Corte: Nessun Diritto Diretto all’Accredito Contributi Omessi

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando la linea dei giudici di merito e consolidando un principio di diritto cruciale. L’ordinamento giuridico italiano non prevede un’azione del lavoratore volta a condannare l’ente previdenziale alla regolarizzazione della posizione contributiva, neanche quando l’ente, pur informato dell’inadempimento, non si sia attivato per il recupero dei crediti.

Il fulcro della decisione risiede nella netta distinzione tra due rapporti giuridici distinti:
1. Il rapporto contributivo: Intercorre tra il datore di lavoro (soggetto passivo, obbligato al versamento) e l’ente previdenziale (soggetto attivo, titolare del credito).
2. Il rapporto previdenziale: Intercorre tra il lavoratore (beneficiario delle prestazioni) e l’ente previdenziale.

Il lavoratore è estraneo al primo rapporto. Di conseguenza, non può vantare un diritto diretto a che i contributi vengano versati o accreditati. La sua tutela è affidata ad altri strumenti.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha dettagliatamente motivato la sua decisione, basandosi su diversi pilastri normativi e giurisprudenziali.

Il Principio di Automaticità delle Prestazioni

L’art. 2116, comma 1, del Codice Civile stabilisce il cosiddetto “principio di automaticità delle prestazioni”. Questo significa che le prestazioni previdenziali (come la pensione) sono dovute al lavoratore anche se l’imprenditore non ha versato i contributi. La funzione di questa norma è proprio quella di proteggere il lavoratore, trasferendo il rischio dell’inadempimento datoriale sull’ente previdenziale. Tuttavia, la Corte sottolinea che questo automatismo riguarda le “prestazioni”, non la “contribuzione”. Non genera, quindi, un obbligo per l’ente di accreditare d’ufficio i contributi omessi su semplice denuncia del lavoratore.

L’Azione Risarcitoria come Rimedio Principale contro il Datore di Lavoro

Il secondo comma dell’art. 2116 c.c. prevede che, nei casi in cui il principio di automaticità non operi (ad esempio, perché i contributi sono prescritti), “l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro”. Questo è il rimedio cardine a disposizione del lavoratore: un’azione di risarcimento danni nei confronti del datore di lavoro inadempiente. Il danno consiste nella perdita, totale o parziale, della prestazione previdenziale.

I Limiti del Diritto all’Informazione

Il ricorrente aveva invocato anche l’art. 54 della Legge n. 88/1989, che garantisce al lavoratore il diritto a una corretta informazione sulla propria posizione contributiva. La Corte ha chiarito che la violazione di questo obbligo informativo può generare una responsabilità dell’ente per i danni derivanti dall’inesatta comunicazione, ma non può trasformare l’ente nel responsabile per i contributi non versati dal datore. Un’interpretazione diversa stravolgerebbe l’intero sistema, che individua nel datore di lavoro l’unico responsabile dell’omissione.

Le conclusioni

La sentenza n. 701/2024 ribadisce con forza la struttura del sistema previdenziale italiano. Il lavoratore che scopre un’omissione contributiva non può citare in giudizio l’ente previdenziale per ottenere una condanna all’accredito dei contributi. La sua tutela è affidata a un percorso diverso:

1. Denuncia all’ente previdenziale: È il primo passo, necessario per informare l’ente e interrompere i termini di prescrizione del credito contributivo.
2. Azione contro il datore di lavoro: Il lavoratore può agire contro il datore di lavoro per ottenere il risarcimento del danno derivante dalla perdita della futura pensione. Questa azione può essere esercitata anche prima del pensionamento.
3. Costituzione di rendita vitalizia: Se i contributi sono ormai prescritti, il lavoratore può chiedere all’ente previdenziale di costituire una rendita vitalizia, pagandone il relativo onere, e poi chiedere al datore di lavoro il rimborso di tale somma a titolo di risarcimento.

In conclusione, la tutela del lavoratore è robusta ma segue canali ben definiti. La responsabilità per l’omissione contributiva è e rimane in capo al datore di lavoro, mentre l’ente previdenziale garantisce le prestazioni finali, non la regolarizzazione del percorso contributivo.

Un lavoratore può fare causa all’ente previdenziale per obbligarlo ad accreditare i contributi non versati dal datore di lavoro?
No. Secondo la sentenza, l’ordinamento non prevede un’azione diretta del lavoratore contro l’ente previdenziale per ottenere la condanna alla regolarizzazione della posizione contributiva. Il lavoratore è considerato estraneo al rapporto contributivo che esiste solo tra datore di lavoro ed ente.

Quali sono le tutele per un lavoratore se il datore di lavoro omette il versamento dei contributi?
Il lavoratore è tutelato principalmente da due strumenti: 1) Il principio di automaticità delle prestazioni (art. 2116, co. 1, c.c.), che gli garantisce il diritto alla pensione anche con contributi omessi (purché non prescritti). 2) L’azione di risarcimento del danno nei confronti del datore di lavoro inadempiente per la perdita totale o parziale della prestazione previdenziale.

Il lavoratore deve sempre citare in giudizio sia l’ente previdenziale che il datore di lavoro?
No. La Corte chiarisce che il litisconsorzio necessario (cioè la presenza obbligatoria di tutte le parti) tra lavoratore, datore di lavoro ed ente previdenziale sussiste solo quando il lavoratore chiede la condanna del datore di lavoro a versare i contributi all’ente. Se, come nel caso di specie, il lavoratore agisce solo contro l’ente per la regolarizzazione, non vi è litisconsorzio necessario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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