Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9135 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 9135 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso 29237-2020 proposto da:
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, NOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in INDIRIZZO
Rep.
Ud. 14/02/2024
CC
presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonchè contro
COGNOME NOME;
– intimata –
e sul RICORSO SUCCESSIVO SENZA N.R.G.:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente successivo –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente al ricorso successivo nonché contro
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-intimati – avverso la sentenza n. 600/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 15/04/2020 R.G.N. 5421/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/02/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa
1.- La Corte d’appello di Roma, con la sentenza in atti, ha rigettato gli appelli proposti da COGNOME NOME e dagli altri litisconsorti indicati in epigrafe confermando la sentenza del tribunale di Roma che aveva respinto integralmente la loro domanda con la quale chiedevano di accertare l’illegittimità della clausola n. 6 dell’ipotesi di accordo/verbale di accordo del 27 giugno 2014, dichiarare l’illegittimità della condotta datoriale ed emettere condanna nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE alla restituzione di quanto indebitamente decurtato dal trattamento economico spettante a ciascuno dei ricorrenti nel periodo medio tempore, dal prospetto di paga di novembre 2014 fino a quello di competenza della data di deposito della sentenza e comunque fino all’effettivo soddisfo per ulteriori periodi di paga medio tempore maturati.
2.Il giudice di primo grado aveva pure rigettato integralmente il ricorso dei lavoratori ritenendo legittimo l’accordo del 27/6/2014 in particolare la clausola n. 6 che, secondo il tribunale, validamente subordina per il solo personale al quale è stato riconosciuto il superminimo individuale, nella dichiarata esigenza di pervenire all’azzeramento dei trattamenti di superminimo individuale, l’opzione della corresponsione dei nuovi istituti ERA 1 ed ERA 2 all’accordo da stipularsi in sede protetta, con cont estuale rinuncia ai superminimi individuali.
3.- La Corte di appello, richiamando il precedente della stessa Corte n.1056/2019, ha sostenuto preliminarmente che il punto 6 dell’accordo sindacale del 27/6/2014 non viola né l’art.2077, comma 2 c.c. (secondo cui le clausole individuali più favorevoli ai lavoratori che trovano fonte nel contratto individuale possono essere modificate solo consensualmente dalle parti), né l’articolo 1372 c.c. (secondo cui il contratto
può essere sciolto solo per mutuo consenso o per altre cause previste dalla legge). Secondo la Corte l’assegno ad personam riconosciuto individualmente agli appellanti non era stato in alcun modo intaccato dal già menzionato accordo, tanto è vero che essi continuavano a percepirlo, non avendo consentito a sottoscrivere la transazione contenente la rinunzia ad esso, in cambio del riconoscimento delle nuove indennità ERA 1 ed ERA 2.
Quello che gli appellanti non percepivano più a seguito del predetto accordo sindacale erano le vecchie indennità mensile, indennità base mensile, elemento di riordino salariale, indennità quadro con incarico di posizione, indennità di presenza, indennità di ristrutturazione, le quali sono state sostituite appunto dalle nuove voci ERA 1 ed ERA 2.
4.Pertanto, non si era in presenza di una clausola individuale più favorevole, modificata da un accordo sindacale aziendale, bensì di un accordo sindacale aziendale che aveva modificato un accordo precedente sopprimendo alcune indennità accessorie alla retribuzione base ed introducendone di nuove, subordinate alla presenza di alcune condizioni.
5.- Ha inoltre evidenziato la Corte che l’attribuzione delle voci ERA 1 ed ERA 2 era sì condizionata alla rinunzia all’assegno ad personam, ma tale condizione è stata apposta non dal datore di lavoro bensì dall’accordo sindacale aziendale, per perseguire interessi meritevoli di tutela. Dunque nessuna causa illecita era ravvisabile; né era ravvisabile disparità di trattamento.
6.Contro la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i ricorrenti in epigrafe indicati con quattro motivi ai quali ha resistito RAGIONE_SOCIALE con controricorso; avverso la medesima sentenza ha proposto un successivo autonomo
ricorso per cassazione COGNOME NOME con tre motivi ai quali resistito RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
Sintesi dei motivi proposti da COGNOME NOME e dagli altri litisconsorti.
1.- Col primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 2077 comma 2 c.c. e dell’articolo 1372 c.c. in relazione all’art. 360 numero 3 CPC e dall’art. 1362 c.c.: il contratto collettivo opera come fonte esterna rispetto a quello individuale con divieto di deroga in pejus rispetto agli accordi individuali che hanno efficacia solo tra le parti.
2.- Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 3 del CCNL RAGIONE_SOCIALE e dell’accordo aziendale del 25/7/2015 in relazione all’art. 360 n. 3: violazione del principio di irriducibilità della retribuzione; avendo l’azienda illegittimamente ridotto la retribuzione dei ricorrenti, senza modificare le mansioni, violando il disposto dell’art. 3 del CCNL che contempla nella retribuzione globale l’indennità di funzione di quadro ed il principio di invarianza salariale sancito dagli accordi aziendali dell’8 luglio 2015 e del 25 luglio 2015.
3.- Con il terzo motivo si sostiene la violazione e falsa applicazione dell’art. 1322, comma due, dell’art. 1343, dell’art. 1344 c.c. dell’art. o 2077, comma 2, dell’art. 1175 c.c. e dell’art. 1366 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.: le parti che hanno sottoscritto il contratto aziendale hanno eluso il disposto delle norme imperative di cui agli artt. 1343, 1344, 1175 c.c.
4.Con il quarto motivo si sostiene violazione falsa applicazione dell’art. 2077, comma 2 e dell’art. 8 del decretolegge 138/2011 in relazione all’art. 360, comma 1, numero 3
c.p.c. perché le parti che hanno sottoscritto l’accordo del 27/6/2014 non potevano disporre dei trattamenti economici individuali concordati tra l’azienda e i singoli lavoratori.
Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione, sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE, di inammissibilità del ricorso proposto da NOME COGNOME avendo la stessa depositato un ulteriore ricorso avverso la sentenza emessa nel giudizio monitorio. La questione non è però sufficientemente documentata in questo giudizio e deve essere quindi disattesa, anche in virtù del principio della ragione più liquida.
6.- Nel merito le censure sollevate col ricorso, da esaminare unitariamente per connessione, sono infondate.
7.- Si premette che la clausola n. 6 dell’accordo aziendale del 27 giugno 2014 tra RAGIONE_SOCIALE e le RAGIONE_SOCIALE disponeva che ‘coloro che alla data odierna beneficiano di trattamenti riconosciuti esclusivamente a livello individuale in aggiunta a quanto previsto dalla contrattazione collettiva matureranno il diritto al riconoscimento delle voci ERA1 ed ERA2 solo con decorrenza dal definitivo superamento di detti accordi individuali e dei corrispondenti trattamenti da perfezionare con accordo sottoscritto nelle sedi e con le modalità di cui all’art. 2113 ultimo comma c.c.’
8.- In sostanza l’accordo sindacale del 27 giugno 2014 ha operato su due diversi piani giuridici; perché, anzitutto, ha modificato talune indennità accessorie di natura contrattuale collettiva e le ha rese fruibili solo in caso di presenza in servizio (accorpandole in ERA 1 ed ERA 2), come pure risulta dalla stessa sentenza impugnata.
9.- Questa operazione negoziale appare del tutto legittima perché rientra tra le prerogative dell’autonomia contrattuale collettiva ex art. 2077 c.c.; la quale avrebbe potuto fare anche di più, come ad es. abolire le stesse indennità. Posto che, secondo il noto orientamento giurisprudenziale, pure
richiamato dalla Corte di appello, il lavoratore non può pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da fonte collettiva che più non esiste perché caducata o sostituita da altra successiva, ciò in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contratto individuale, ma operano dall’esterno come fonte eteronoma, concorrente con la fonte individuale.
In tal senso è appunto la giurisprudenza consolidata di questa Corte la quale afferma (sentenza n. 13960 del 19/06/2014) ‘Nell’ipotesi di successione tra contratti collettivi, le modificazioni “in peius” per il lavoratore sono ammissibili con il solo limite dei diritti quesiti, dovendosi escludere che il lavoratore possa pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente, in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, ma operano dall’esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077 cod. civ.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo ed individuale’ (cui adde sentenza n. 21234 del 10/10/2007).
10.Nel caso in esame, peraltro, l’accordo sindacale non ha abolito le indennità accessorie, ma le ha rese alternative rispetto alla fruizione degli emolumenti ad personam.
Questa la seconda operazione giuridica, pure contemplata dall’accordo citato, che è stata rimessa per intero alla scelta del lavoratore che fruisce dell’ad personam; ed è pure essa legittima alla luce degli artt. 2099, 2103, 2013 c.c. essendo sempre possibile che le parti, dopo aver stabilito in un accordo individuale l’erogazione di un superminimo, ne
prevedano con un accordo successivo l’eliminazione totale o parziale.
Costituiscono in generale diritti disponibili quelli ulteriori e di miglior favore rispetto alle previsioni legali e della contrattazione collettiva, riconosciuti con il contratto individuale. Al lavoratore è perciò sempre data la facoltà di rinunciare validamente al trattamento economico individuale, che non riguardi l’applicazione di disposizioni inderogabili stabilite dalla legge o dai contratti collettivi, né diritti indisponibili ex art. 2113 c.c.
11.- Nel citato verbale sindacale del 27.6.2014 è stato inoltre previsto l’accordo in sede protetta ex art. 2113 c.c. qualora la scelta del lavoratore vada a cadere sulla fruizione delle nuove ERA 1 ed ERA 2; ciò allo scopo di corroborare la validità della rinuncia all’ad personam e garantire nel contempo la sua fungibilità attraverso l’acquisto del nuovo trattamento collettivo.
Al lavoratore è stata quindi affidata la scelta (che presuppone ovviamente una valutazione personale, non solo di natura economica) se riacquistare le indennità accessorie che sono cambiate nella loro natura (e legate alla presenza rendendole meritocratich e) perdendo però l’ad personam mediante accordo assistito in sede protetta; oppure se perderle definitivamente mantenendo l’ad personam.
12.- La perdita delle indennità accessorie è stata quindi disposta direttamente dall’accordo sindacale con la loro trasformazione da elemento accessorio legato al rapporto, ad elemento accessorio legato alla presenza; tutti i lavoratori senza ad personam possono perciò percepire detto elemento accessorio alle condizioni stabilite nell’accordo; non lo percepisce chi ha, ed intende conservare, l’ad personam.
13. -Deve essere pertanto condiviso il corretto ragionamento effettuato dai giudici di merito, il quale essendo ben motivato e rispondente ai principi
dell’ordinamento ed alle norme citate, si sottrae a tutte le censure sollevate con i motivi di ricorso.
14.- Ed invero le complesse valutazioni, anche economiche, effettuate dalle parti anche collettive che hanno stipulato gli accordi appaiono del tutto legittime e devono ritenersi insindacabili in questa sede giurisdizionale nel momento in cui hanno inciso sul trattamento economico accessorio di fonte collettiva.
Quanto al trattamento economico operante sul piano individuale, la valutazione di merito è stata interamente rimessa al lavoratore beneficiario ed è pure essa, come già detto, del tutto rispondente ai principi stabiliti dall’ordinamento.
15.- Nemmeno sono rinvenibili disparità di trattamento, o discriminazioni di sorta ai danni di chi percepisce l’ad personam; posto che l’accordo collettivo non è intervenuto su tale emolumento concordato a livello individuale.
16.- Inoltre, come affermato dalla gravata sentenza, il punto 6 dell’accordo sindacale aziendale in esame non costituisce alcuna frode alla legge ed in particolare agli artt. 36 Cost., 2077, 1372, 2103 c.c. e, lungi dall’intaccare unilateralmente i trattamenti individuali riconosciuti ai singoli, ha solo disciplinato le modalità di erogazione delle nuove indennità accessorie, così come riordinate, in un’ottica di omogeneizzazione delle retribuzioni e di premialità della presenza al lavoro; tutto ciò alla luce dell’esigenza, ritenuta meritevole di tutela dalle parti sociali, di operare una riduzione dei costi equilibrata e coerente con la situazione di crisi aziendale, superando stratificazioni retributive distorcenti, al fine di garantire la continuità aziendale e scongiurare possibili ricadute negative sul piano economico ed occupazionale. E nel complessivo disegno di riordino, di quella che è stata definita, la giungla retributiva dei dipendenti RAGIONE_SOCIALE, le parti sociali hanno voluto ristrutturare le
voci retributive accessorie e legarle in ogni caso alla presenza in servizio; ed in tale ottica, unita a quella del conseguimento di un risparmio di spesa per il personale, la clausola 6 è certamente da ritenersi valida.
Peraltro, come opportunamente rimarcato nella stessa sentenza di appello -con accertamento anche in fatto non censurabile in questa sede – , discutendosi di voci retributive accessorie, esse fuoriescono dall’ambito della garanzia di sufficienza e di proporzionalità ex art. 36 Cost. ed altresì dall’ambito della garanzia di tutela della professionalità, che è stata niente affatto incisa.
18.- Giova ribadire, infine, che la causa dell’accordo sindacale in esame non è affatto illecita anche perché persegue interessi meritevoli di tutela: come il riordino del sistema retributivo, la razionalizzazione della spesa per il personale, il conseguente migliore monitoraggio del costo del lavoro ed un possibile risparmio di spesa.
Sintesi dei motivi del ricorso proposto da COGNOME NOME
19.- La sig.ra COGNOME NOME impugna la sentenza con i seguenti motivi:
20.Con il primo motivo deduce l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c. essendo la Corte palesemente incorsa in errore nel porre a fondamento della propria decisione un elemento di fatto ampiamente dibattuto tra le parti delle precedenti fasi di giudizio nella parte in cui ha ritenuto che la posizione delle dott. COGNOME non fosse peculiare rispetto a quella degli altri appellanti.
20.- Trattando tutti alla stessa stregua, la Corte di merito sarebbe finita per omettere la verifica circa la sussistenza di un effettivo elemento distintivo sull’erroneo presupposto che non fosse in contestazione la condizione di quadro della
dott.ssa COGNOME, né che si fosse in presenza di modifiche organizzative bensì di una mera rimodulazione in termini collettivi di accessori retributivi. Se la Corte avesse effettivamente trattato la posizione della dottNOME COGNOME in via autonoma rispetto alle altre, non avrebbe potuto non avvedersi di come nel caso della dottNOME COGNOME non si versasse in ipotesi di rimodulazione in termini collettivi di accessori retributivi, bensì di una vera e propria decurtazione della retribuzione individualmente pattuita tra le parti che, come tale, avrebbe dovuto essere ritenuta illegittima perché posta in essere in violazione di legge.
21.- Con il secondo motivo è stata denunciata la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, in specie violazione degli artt. 36 Cost., 2099, 2077 comma 2, 1372 c.c. ex art. 360 n. 3 c.p.c. posto che, partendo dal presupposto erroneo che la decurtazione della retribuzione della ricorrente non avesse riguardato elementi fissi della retribuzione individualmente pattuita dunque quesita, bensì elementi accessori della retribuzione derivante dalla contrattazione collettiva precedente, poi superata dal successivo accordo aziendale del 27/6/2014, la Corte territoriale non ha ritenuto violate le disposizioni normative richiamate in ricorso; sulla base quindi di un presupposto sbagliato.
22.I due motivi di ricorso possono essere trattati unitariamente per connessione e devono essere disattesi.
23.Anzitutto va ribadito che la Corte di appello ha ripetutamente affermato, in conformità all’accordo sindacale del 27/6/2014, che esso fosse intervenuto sulla parte accessoria di fonte collettiva del trattamento retributivo e sul trattamento individuale nei termini, alternativi, già descritti.
24.- Con riguardo specifico alla posizione dell’appellante COGNOME, la Corte di appello romana ha affermato che essa non si distingueva affatto da quella degli altri lavoratori, non fosse
altro per il fatto che la lettera di assunzione dalla stessa invocata, in cui le veniva attribuita la retribuzione in cui erano inclusi quali emolumenti che sarebbero stati mantenuti ‘ anche nell’eventualità di modifiche organizzative che comportino il venir meno della sua condizione di quadro ‘, l’indennità incarico di posizione, il premio per obiettivi annuali e il premio di risultato individuale, non era idonea a rendere diversa la posizione della medesima; infatti, non era qui controversa la condizione di quadro della COGNOME né modifiche organizzative comportanti la modifica delle stesse, ma la rimodulazione in termini collettivi di accessori retributivi.
25.- Ora con i due motivi di ricorso richiamati in esordio, la ricorrente sostiene l’opposto contestando sostanzialmente l’accertamento di fatto operato dalla Corte di appello in ordine all’assimilabilità della sua posizione a quella degli altri lavoratori; e, con censure dal tenore meramente contrappositivo, essa mira a capovolgere la valutazione dei fatti di causa operata dai giudici di merito anche relativamente alla natura degli emolumenti in discussione, lamentando in sostanza di aver subito una lesione sul piano della retribuzione pattuita a livello individuale, negata dai giudici di merito.
26.Ma nella parte in cui la ricorrente denuncia l’esistenza del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. la censura risulta preclusa per la ricorrenza di una c.d. ‘doppia conforme’ (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), senza che siano state dalla ricorrente indicate le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse fossero tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019).
Mentre, nella parte in cui contesta la valutazione inerente ai presupposti, sostenendo di aver subito una lesione sul piano del trattamento rinveniente dal contratto individuale, la censura, oltre a non essere ritualmente denunciata con la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, appare parimenti inammissibile posto che, com’è noto, anche l’accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto (tra molte, Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), riservato all’esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006). E tali valutazioni del giudice di merito soggiacciono sì, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato circa la verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale; ma la stessa denuncia della violazione delle regole che presiedono all’interpretazione dei contratti non può certo risolversi nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (tra le innumerevoli: Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 12468 del 2004; Cass. n. 22979 del 2004, Cass. n. 7740 del 2003; Cass. n. 12366 del 2002; Cass. n. 11053 del 2000).
29. Nella specie, al cospetto dell’approdo esegetico cui è pervenuta la Corte distrettuale, la parte ricorrente, nella sostanza, si limita, in mancanza di rituale deduzione, a rivendicare un’alternativa interpretazione più favorevole; ma per sottrarsi al sindacato di legittimità quella data dal giudice al testo negoziale non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di un testo negoziale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 10131 e 18735 del 2006).
27.- Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, erronea applicazione del D.M. 20 luglio 2012 n. 140 emanato ai sensi dell’art. 9 del d. l. del 24 gennaio 2012 n. 1 convertito in legge 24 marzo 2012 n. 127, in relazione agli art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. avendo il giudice d’appello proceduto all’erronea liquidazione delle spese di primo e secondo grado del giudizio, non avendo specificato i parametri e gli scaglioni adottati.
28.- Il motivo è inammissibile perché generico nella parte in cui non specifica su cosa la liquidazione giudiziale delle spese processuali si sia allontanata dalle tariffe di legge. La liquidazione delle spese rientra invero nella discrezionalità del giudice di merito, salva la violazione dei limiti minimi e massimi previsti dalla legge e del principio di soccombenza. Sicché anche il potere di compensazione, pure cesurato in ricorso, rientra nella discrezionalità del giudice di merito e non può essere sindacato in sede di legittimità.
29.- In conclusione, sulla scorta dei motivi fin qui esposti, i due ricorsi proposti dai lavoratori indicati in epigrafe devono essere entrambi complessivamente rigettati.
30.- Le spese del giudizio di cassazione possono essere interamente compensate tra le parti ex art 92 c.p.c. in considerazione della assoluta novità della questione trattata; segue il raddoppio del contributo unificato, ove spettante, nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi proposti da COGNOME NOME e dagli altri litisconsorti e da COGNOME NOME. Compensa le spese processuali Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto
per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in camera di consiglio, all’adunanza del 14.2.2024