Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9136 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 9136 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso 10106-2022 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3617/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/10/2021 R.G.N. 771/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/02/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza in atti, respingendo il gravame incidentale proposto da COGNOME NOME e in accoglimento dell’appello principale proposto dall’ RAGIONE_SOCIALE , in riforma della sentenza gravata, ha respinto le domande
Rep.
Ud. 14/02/2024
CC
proposte dal lavoratore il quale aveva richiesto di accertare il suo diritto a percepire dal novembre 2015 la nuova voce retributiva detta Era 1; in alternativa dichiarare il suo diritto a godere anche dopo il novembre 2015 delle voci denominate erg , ind. base mensil. e ind. mensil. nel complessivo ammontare di euro 344,66 al mese, comunque dichiarare riassorbibile il trattamento ad personam solo nella misura del differenziale in aumento tra trattamento in godimento all’ottobre 2015 e trattamento conseguente all’applicazione dell’accordo del luglio 2015. La Corte ha anche condannato il ricorrente alle spese del doppio grado.
A fondamento della sentenza la Corte territoriale, nel respingere l’appello incidentale, ha osservato che la sentenza impugnata era corretta nella parte in cui aveva ritenuto che la corresponsione del nuovo emolumento retributivo al COGNOME fosse necessariamente subordinata alla rinuncia da parte sua del superminimo in godimento, così pervenendo alla reiezione di una siffatta pretesa sulla base dello specifico dato fattuale costituito dall’assenza di siffatta rinuncia.
Accoglieva invece il motivo di appello principale con il quale RAGIONE_SOCIALE lamentava che il tribunale avesse affermato che il diritto del ricorrente al mantenimento della sua precedente complessiva retribuzione e quindi il diritto a percepire le voci retributive accessorie denominate erg, ind. base mensile e ind. mensil., nonostante che detti trattamenti retributivi fossero stati soppressi dagli accordi del 27 giugno 2014 e del 17 luglio 2015, in quanto confluite nelle nuove voci retributive ERA 1 ed ERA 2.
Avverso la sentenza proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME con due motivi ai quali ha resistito RAGIONE_SOCIALE Le parti hanno depositato memorie. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo si deduce la violazione, ex art. 360 n. 3, degli artt. 342 e 434 c.p.c. e 324 c.p.c. oltre che violazione dell’art. 112 c.p.c. ex art. 360 n 4 c.p.c. in quanto la causa petendi della domanda svolta era che il diritto a godere della nuova voce retributiva, derivava dal fatto che il contratto aziendale del 17/6/2015 non prevedeva la clausola di necessaria previa rinuncia del superminimo; e comunque andava garantita l’invarianza retributiva.
2.- Con il secondo motivo si prospetta, ex art. 360 n. 3 c.p.c. , la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., comunque dell’art. 2103 c.c. atteso che la Corte d’appello aveva errato a sostenere la sostanziale equivalenza tra i trattamenti individuali di miglior favore già in atto e le voci ERA 1 e ERA 2 in quanto l’accordo che istituiva tale voci era destinato a tutta la platea aziendale e quindi soprattutto a chi non godeva di alcun superminimo; e quindi era un errore giuridico affermare che ERA 1 sostituisse i trattamenti individuali in quanto le parti espressamente avevano affermato il contrario.
Secondo il ricorrente, l’operazione di ermeneutica giuridica che la Corte di merito non aveva fatto era indagare congiuntamente l’effetto delle previsioni collettive perché, da una disamina logica e giuridicamente corretta, la fattispecie che era stata portata al vaglio della Corte territoriale emergeva come quella di un accordo dove al signor COGNOME era stata lasciata la scelta tra vedersi diminuire la retribuzione fissa, a parità di orario e di mansione, di euro 344, 66 mensili, in caso volesse tenersi il super minimo; oppure vedersi diminuire la retribuzione fissa, a parità di
orario e mansioni, di euro 200 in caso volesse godere il nuovo istituto retributivo aziendale ERA
Insomma, secondo il ricorrente, il thema decidendum atteneva solo ai limiti della irriducibilità della retribuzione e di ciò nulla si diceva nella sentenza impugnata limitandosi essa a dire che l’accordo sindacale aziendale in esame non costituiva alcuna frode violando l’art. 2103 c.c. Il quesito che la Corte territoriale avrebbe dovuto affrontare e risolvere era individuare in quali ipotesi sia lecito ridurre la retribuzione fissa e verificare se una o più di esse ricorressero nella presente fattispecie.
4.- I due motivi di ricorso, da esaminare unitariamente per connessione, sono infondati.
5.- Va premesso che la Corte di appello ha deciso la causa in modo conforme ai numerosi precedenti (richiamati anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.) che avevano esaminato la specifica questione della rimodulazione dei trattamenti economici accessori del personale RAGIONE_SOCIALE regolata in sede collettiva a partire dal verbale sindacale del 27 giugno 2014 tra RAGIONE_SOCIALE e le OO.SS.
6.- Nel richiamare tali precedenti la Corte di appello, ha sostenuto preliminarmente che il punto 6 dell’accordo sindacale del 27/6/2014 non viola né l’art.2077, comma 2 c.c. (secondo cui le clausole individuali più favorevoli ai lavoratori che trovano fonte nel contratto individuale possono essere modificate solo consensualmente dalle parti), né l’articolo 1372 c.c. (secondo cui il contratto può essere sciolto solo per mutuo consenso o per altre cause previste dalla legge). Secondo la Corte l’assegno ad personam riconosciuto individualmente ai lavoratori RAGIONE_SOCIALE non era stato in alcun modo intaccato dal già menzionato accordo, tanto è vero che essi continuavano a percepirlo, nell’ipotesi in cui non avessero consentito a sottoscrivere la transazione
contenente la rinunzia ad esso, in cambio del riconoscimento delle nuove indennità ERA 1 ed ERA 2.
Quello che gli stessi lavoratori non percepivano più a seguito del predetto accordo sindacale erano le vecchie indennità mensile, indennità base mensile, elemento di riordino salariale, indennità quadro con incarico di posizione, indennità di presenza, indennità di ristrutturazione, le quali sono state sostituite appunto dalle nuove voci ERA 1 ed ERA 2.
7.Pertanto, non si era in presenza di una clausola individuale più favorevole, modificata da un accordo sindacale aziendale, bensì di un accordo sindacale aziendale che aveva modificato un accordo precedente sopprimendo alcune indennità accessorie alla retribuzione base ed introducendone di nuove, subordinate alla presenza di alcune condizioni.
8.Ha inoltre evidenziato la Corte territoriale che l’attribuzione delle nuove voci ERA 1 ed ERA 2 era sì condizionata alla rinunzia all’assegno ad personam, ma tale condizione è stata apposta non dal datore di lavoro bensì dall’accordo sindacale aziendale, per perseguire interessi meritevoli di tutela. Dunque, nessuna causa illecita era ravvisabile; né era ravvisabile disparità di trattamento.
9.- Tanto premesso sul contenuto della sentenza appellata, deve essere qui rilevato che la clausola n. 6 il punto 6 dell’accordo sindacale del 27/6/2014 stabilisce che ‘coloro che alla data odierna beneficiano di trattamenti riconosciuti esclusivamente a livello individuale in aggiunta a quanto previsto dalla contrattazione collettiva matureranno il diritto al riconoscimento delle voci ERA1 ed ERA2 solo con decorrenza dal definitivo superamento di detti accordi individuali e dei corrispondenti trattamenti da perfezionare con accordo sottoscritto nelle sedi e con le modalità di cui all’art. 2113 ultimo comma c.c.’
10.- In sostanza l’accordo sindacale del 27 giugno 2014 ha operato su due diversi piani giuridici; perché, anzitutto, ha modificato talune indennità accessorie di natura contrattuale collettiva e le ha rese fruibili solo in caso di presenza in servizio (accorpandole in ERA 1 ed ERA 2), come pure risulta dalla stessa sentenza impugnata.
11.- Questa operazione negoziale appare del tutto legittima perché rientra tra le prerogative dell’autonomia contrattuale collettiva ex art. 2077 c.c.; la quale avrebbe potuto fare anche di più, come ad es. abolire le stesse indennità. Posto che secondo il noto orientamento giurisprudenziale, pure richiamato dalla Corte di appello, il lavoratore non può pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da fonte collettiva che più non esiste perché caducata o sostituita da altra successiva, ciò in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contratto individuale, ma operano dall’esterno come fonte eteronoma, concorrente con la fonte individuale.
In tal senso è appunto la giurisprudenza consolidata di questa Corte la quale afferma (sentenza n. 13960 del 19/06/2014) ‘Nell’ipotesi di successione tra contratti collettivi, le modificazioni “in peius” per il lavoratore sono ammissibili con il solo limite dei diritti quesiti, dovendosi escludere che il lavoratore possa pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente, in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, ma operano dall’esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077
cod. civ.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo ed individuale’ (cui adde sentenza n. 21234 del 10/10/2007).
12.Nel caso in esame, peraltro, l’accordo sindacale non ha abolito le indennità accessorie, ma le ha rese alternative rispetto alla fruizione degli emolumenti ad personam.
Questa la seconda operazione giuridica, pure contemplata dall’accordo citato, che è stata rimessa per intero alla scelta del lavoratore che fruisce dell’ad personam; ed è pure essa legittima alla luce degli artt. 2099, 2103 e 2113 c.c. essendo sempre possibile che le parti, dopo aver stabilito in un accordo individuale l’erogazione di un superminimo, ne prevedano con un accordo successivo l’eliminazione totale o parziale.
Costituiscono in generale diritti disponibili quelli ulteriori e di miglior favore rispetto alle previsioni legali e della contrattazione collettiva, riconosciuti con il contratto individuale. Al lavoratore è perciò sempre data la facoltà di rinunciare validamente al trattamento economico individuale, che non riguardi l’applicazione di disposizioni inderogabili stabilite dalla legge o dai contratti collettivi, né diritti indisponibili ex art. 2113 c.c.
13.- Nel citato verbale sindacale del 27.6.2014 è stato inoltre previsto l’accordo in sede protetta ex art. 2113 c.c. qualora la scelta del lavoratore vada a cadere sulla fruizione delle nuove ERA 1 ed ERA 2; ciò allo scopo di corroborare la validità della rinuncia all’ad personam e garantire nel contempo la sua fungibilità attraverso l’acquisto del nuovo trattamento collettivo.
Al lavoratore è stata quindi affidata la scelta (che presuppone ovviamente una valutazione personale, non solo di natura economica) se riacquistare le indennità accessorie che sono cambiate nella loro natura (e legate alla presenza rendendole meritocratich e) perdendo però l’ad personam mediante
accordo assistito in sede protetta; oppure se perderle definitivamente mantenendo l’ad personam .
14.- La perdita delle indennità accessorie è stata quindi disposta direttamente dall’accordo sindacale con la loro trasformazione da elemento accessorio legato al rapporto, ad elemento accessorio legato alla presenza; tutti i lavoratori senza ad personam possono perciò percepire detto elemento accessorio alle condizione stabilite nell’accordo; non lo percepisce chi ha, ed intende conservare, l’ad personam.
15. -Deve essere pertanto condiviso il corretto ragionamento effettuato dai giudici di merito, il quale essendo ben motivato e rispondente ai principi dell’ordinamento ed alle norme citate, si sottrae a tutte le censure sollevate con i predetti motivi di ricorso.
16.- Ed invero le complesse valutazioni, anche economiche, effettuate dalle parti anche collettive che hanno stipulato gli accordi appaiono del tutto legittime e devono ritenersi insindacabili in questa sede giurisdizionale nel momento in cui hanno inciso sul trattamento economico accessorio di fonte collettiva.
Quanto al trattamento economico operante sul piano individuale, la valutazione di merito è stata interamente rimessa al lavoratore beneficiario ed è pure essa, come già detto, del tutto rispondente ai principi stabiliti dall’ordinamento.
17.- Nemmeno sono rinvenibili disparità di trattamento, o discriminazioni di sorta ai danni di chi percepisce l’ad personam; posto che l’accordo collettivo non è intervenuto su tale emolumento concordato a livello individuale.
18.- Inoltre, come affermato dalla gravata sentenza, il punto 6 dell’accordo sindacale aziendale in esame non costituisce alcuna frode alla legge ed in particolare agli artt. 36 Cost., 2077, 1372, 2103 c.c. e, lungi dall’intaccare unilateralmente i trattamenti individuali riconosciuti ai singoli, ha solo
disciplinato le modalità di erogazione delle nuove indennità accessorie, così come riordinate, in un’ottica di omogeneizzazione delle retribuzioni e di premialità della presenza al lavoro; tutto ciò alla luce dell’esigenza, ritenuta meritevole di tutela dalle parti sociali, di operare una riduzione dei costi equilibrata e coerente con la situazione di crisi aziendale, superando stratificazioni retributive distorcenti, al fine di garantire la continuità aziendale e scongiurare possibili ricadute negative sul piano economico ed occupazionale. E nel complessivo disegno di riordino, di quella che è stata definita, la giungla retributiva dei dipendenti RAGIONE_SOCIALE, le parti sociali hanno voluto ristrutturare le voci retributive accessorie e legarle in ogni caso alla presenza in servizio; ed in tale ottica, unita a quella del conseguimento di un risparmio di spesa per il personale, la clausola 6 è certamente da ritenersi valida.
Peraltro, come opportunamente rimarcato nella stessa sentenza di appello -con accertamento anche in fatto non censurabile in questa sede – , discutendosi di voci retributive accessorie, esse fuoriescono dall’ambito della garanzia di sufficienza e di proporzionalità ex art. 36 Cost. ed altresì dall’ambito della garanzia di tutela della professionalità, che è stata niente affatto incisa.
20.- Giova ribadire, infine, che la causa dell’accordo sindacale in esame non è affatto illecita anche perché persegue interessi meritevoli di tutela: come il riordino del sistema retributivo, la razionalizzazione della spesa per il personale, il conseguente migliore monitoraggio del costo del lavoro ed un possibile risparmio di spesa.
21.- In conclusione, sulla scorta dei motivi fin qui esposti, il ricorso deve essere respinto.
22.- Le spese del giudizio di cassazione possono essere interamente compensate tra le parti ex art 92 c.p.c. in considerazione della assoluta novità della questione trattata;
segue il raddoppio del contributo unificato, ove spettante, nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in camera di consiglio, all’adunanza del 14.2.2024