Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13512 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13512 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 29286-2020 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliata in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in RAGIONE_SOCIALEINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 601/2020 della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 15/04/2020 R.G.N. 6/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/02/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME.
Oggetto
R.G.N. 29286/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 14/02/2024
CC
La Corte di appello di Roma aveva rigettato l’appello proposto da NOME avverso la decisione con cui il tribunale aveva rigettato la domanda dallo stesso proposta nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, diretta ad accertare la nullità della clausola di cui al punto 6) dell’accordo aziendale 27.6.2014 con condanna dell’RAGIONE_SOCIALE a pagargli la retribuzione mensile aziendale a partire da quella di novembre 2014 con inclusione delle indennità ERA 1 ed ERA 2 ; la nullità dell’accordo transattivo 10.2.2014 per grave inadempimento della società e la condanna della società alla restituzione quanto non erogato per i titoli in questione.
La corte d’appello chiariva che la ricorrente, quale quadro con incarico di posizione, in virtù di accordo 21.2.2015 contenente l’incarico, riceveva una indennità annua legata al raggiungimento di particolari obiettivi, come previsto dall’accordo aziendale 30.11.2011, nonché un assegno ad personam. Successivamente era intervenuto un accordo aziendale 27.6.2014, con cui si ristrutturavano le voci retributive anche dei quadri e veniva istituita una indennità ERA 1 ed ERA 2 in cui confluivano tutte le indennità fisse che divenivano legate alla presenza.
La società aveva invitato il personale beneficiario di assegno ad personam (quale il ricorrente), a sottoscrivere apposita transazione entro il 24.10.2014, e, in caso di rifiuto avvertiva che i dipendenti, pur potendo sottoscrivere successivamente la transazione, non avrebbero, medio tempore, ricevuto l’indennità ERA 1 e ERA 2.
La corte di merito, su tali premesse, in sostanza riteneva infondate le pretese della lavoratrice, valutando che, pur essendo condivisibile il principio secondo cui in presenza di un incarico aggiuntivo lo stesso meriti un riconoscimento specifico per tutelare la specifica professionalità, tuttavia , nel caso in esame la nuova contrattazione aziendale aveva valutato equivalenti i diversi trattamenti ad personam prima esistenti, con le nuove indennità ERA 1 ed ERA 2 ed aveva dato la possibilità di scegliere se conservare il precedente assegno ad personam oppure optare per le nuove indennità. La corte escludeva la fondatezza delle doglianze relative alla illegittimità della
clausola di cui al punto 6) dell’accordo aziendale ed alla ritenuta validità ed efficacia erga omnes dell’accordo stesso.
Avverso detta decisione la lavoratrice proponeva ricorso cui resisteva con controricorso RAGIONE_SOCIALE. Entrambe le parti depositavano memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1)-Con primo articolato motivo è dedotta la violazione di legge ex art. 360 co.1. c.p.c., dell’art. 2077 co.2 e dell’art. 1372 e 1362 c.c. in riferimento all’accordo aziendale 27.6.2014, punto 6). Il ricorrente lamenta la valutazione della corte territoriale circa la configurazione, nel caso in esame, di successione tra accordi collettivi, trattandosi, invece di accordo collettivo che deroga in pejus ad un accordo individuale;
2)La seconda censura denuncia la violazione dell’art. 2103 c.c., dell’art. 3 CCNL Autoferrotranvieri e dell’accordo aziendale del 25.7.2015, in relazione all’art. 360, co.1 n. 3 c.p.c.: violazione del principio di irreducibilità della retribuzione.
3)Violazione e falsa applicazione dell’art. 1322 co.2, art. 1342, art. 1344 e art. 2077 c.c., relazione all’art. 1366 cc 1175 c.c. con riferimento al punto 6) dell’accordo aziendale. Il ricorrente lamenta una interpretazione del contratto contro buona fede.
La censura, muovendo dalle regole di correttezza e buonafede ritenute violate, ha sostenuto che la nuova indennità sia radicalmente diversa dall’assegno ad personam poiché quest’ultimo si aggiungeva comunque alla retribuzione mentre la nuova indennità è correlata e dipendente dalla presenza. Si sarebbe dunque violato l’art. 2077 c.c. avendo, il punto 6) dell’accordo, previsto un trattamento peggiorativo del precedente trattamento individuale. L’interpretazione del contratto come effettuata dai giudici del merito sarebbe pertanto violativa del principio di buona fede.
Violazione art.2077 co.2 c.c. e art. 8 DL n. 138/2011 in relazione all’art. 360 co.1n. 3 c.p.c., per aver la corte d’appello, ritenuto che la rinuncia al trattamento ad personam di cui alla clausola 6)
dell’accordo, non determinasse illiceità della causa, avendo ad oggetto diritti indisponibili.
5)- Si premette che la clausola n. 6 dell’accordo aziendale del 27 giugno 2014 tra RAGIONE_SOCIALE e le RAGIONE_SOCIALE disponeva che ‘coloro che alla data odierna beneficiano di trattamenti riconosciuti esclusivamente a livello individuale in aggiunta a quanto previsto dalla contrattazione collettiva matureranno il diritto al riconoscimento delle voci ERA1 ed ERA2 solo con decorrenza dal definitivo superamento di detti accordi individuali e dei corrispondenti trattamenti da perfezionare con accordo sottoscritto nelle sedi e con le modalità di cui all’art. 2113 ultimo comma c.c.’
5.a)- In sostanza l’accordo sindacale del 27 giugno 2014 ha operato su due diversi piani giuridici; perché, anzitutto, ha modificato talune indennità accessorie di natura contrattuale collettiva e le ha rese fruibili solo in caso di presenza in servizio (accorpandole in ERA 1 ed ERA 2), come pure risulta dalla stessa sentenza impugnata.
6)- Questa operazione negoziale appare del tutto legittima perché rientra tra le prerogative dell’autonomia contrattuale collettiva ex art. 2077 c.c. Deve ribadirsi, come già in precedenti pronunce affermato da questa Corte, che il lavoratore non può pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da fonte collettiva che più non esiste perché caducata o sostituita da altra successiva, ciò in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contratto individuale, ma operano dall’esterno come fonte eteronoma, concorrente con la fonte individuale.
In tal senso è appunto la giurisprudenza consolidata di questa Corte la quale afferma (sentenza n. 13960 del 19/06/2014) ‘Nell’ipotesi di successione tra contratti collettivi, le modificazioni “in peius” per il lavoratore sono ammissibili con il solo limite dei diritti quesiti, dovendosi escludere che il lavoratore possa pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente, in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, ma operano dall’esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché le
precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077 cod. civ.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo ed individuale’ (cui adde sentenza n. 21234 del 10/10/2007).
7)Nel caso in esame, peraltro, l’accordo sindacale non ha abolito le indennità accessorie, ma le ha rese alternative rispetto alla fruizione degli emolumenti ad personam. Non risulta pertanto corretta l’affermazione contenuta nel primo motivo di censura circa la mancata consequenzialità del ragionamento della corte d’appello circa la affermata correlazione tra professionalità più elevata del quadro che ricopre un incarico aggiuntivo e remunerazione, poi di fatto, negata nel prosieguo della decisione finale di rigetto della pretesa del lavoratore. La corte d’appello, invero, ha chiarito che è stata data una scelta al lavoratore tra mantenimento del pregresso trattamento e nuova indennità.
Questa la seconda operazione giuridica, pure contemplata dall’accordo citato, che è stata rimessa per intero alla scelta del lavoratore che fruisce dell’ad personam; ed è pure essa legittima alla luce degli artt. 2099, 2103, 2013 c.c. essendo sempre possibile che le parti, dopo aver stabilito in un accordo individuale l’erogazione di un superminimo, ne prevedano con un accordo successivo l’eliminazione totale o parziale.
Costituiscono in generale diritti disponibili quelli ulteriori e di miglior favore rispetto alle previsioni legali e della contrattazione collettiva, riconosciuti con il contratto individuale. Al lavoratore è perciò sempre data la facoltà di rinunciare validamente al trattamento economico individuale, che non riguardi l’applicazione di disposizioni inderogabili stabilite dalla legge o dai contratti collettivi, né diritti indisponibili ex art. 2113 c.c.
8)- Nel citato verbale sindacale del 27.6.2014 è stato inoltre previsto l’accordo in sede protetta ex art. 2113 c.c. qualora la scelta del lavoratore vada a cadere sulla fruizione delle nuove ERA 1 ed ERA 2; ciò allo scopo di corroborare la validità della rinuncia all’ad personam e garantire nel contempo la sua fungibilità attraverso l’acquisto del nuovo trattamento collettivo.
Al lavoratore è stata quindi affidata la scelta (che presuppone ovviamente una valutazione personale, non solo di natura economica) se riacquistare le indennità accessorie che sono cambiate nella loro natura (e legate alla presenza rendendole meritocratiche) perdendo però l’ad personam mediante accordo assistito in sede protetta; oppure se perderle definitivamente mantenendo l’ad personam.
9)- La perdita delle indennità accessorie è stata quindi disposta direttamente dall’accordo sindacale con la loro trasformazione da elemento accessorio legato al rapporto, ad elemento accessorio legato alla presenza; tutti i lavoratori senza ad personam possono perciò percepire detto elemento accessorio alle condizioni stabilite nell’accordo; non lo percepisce chi ha, ed intende conservare, l’ad personam.
10)Deve essere pertanto condiviso il corretto ragionamento effettuato dai giudici di merito, il quale essendo ben motivato e rispondente ai principi dell’ordinamento ed alle norme citate, si sottrae a tutte le censure sollevate con i predetti motivi di ricorso.
11)- Ed invero le complesse valutazioni, anche economiche, effettuate dalle parti anche collettive che hanno stipulato gli accordi appaiono del tutto legittime e devono ritenersi insindacabili in questa sede giurisdizionale nel momento in cui hanno inciso sul trattamento economico accessorio di fonte collettiva.
Quanto al trattamento economico operante sul piano individuale, la valutazione di merito è stata interamente rimessa al lavoratore beneficiario ed è pure essa, come già detto, del tutto rispondente ai principi stabiliti dall’ordinamento.
12)Nemmeno sono rinvenibili disparità di trattamento, o discriminazioni di sorta ai danni di chi percepisce l’ad personam; posto che l’accordo collettivo non è intervenuto su tale emolumento concordato a livello individuale.
13)- Inoltre il punto 6 dell’accordo sindacale aziendale in esame non costituisce alcuna frode alla legge ed in particolare agli artt. 36 Cost., 2077, 1372, 2103 c.c. e, lungi dall’intaccare unilateralmente i trattamenti individuali riconosciuti ai singoli, ha solo disciplinato le modalità di erogazione delle nuove indennità accessorie, così come
riordinate, in un’ottica di omogeneizzazione delle retribuzioni e di premialità della presenza al lavoro; tutto ciò alla luce dell’esigenza, ritenuta meritevole di tutela dalle parti sociali, di operare una riduzione dei costi equilibrata e coerente con la situazione di crisi aziendale, superando stratificazioni retributive distorcenti, al fine di garantire la continuità aziendale e scongiurare possibili ricadute negative sul piano economico ed occupazionale. E nel complessivo disegno di riordino, di quella che è stata definita, la giungla retributiva dei dipendenti RAGIONE_SOCIALE, le parti sociali hanno voluto ristrutturare le voci retributive accessorie e legarle in ogni caso alla presenza in servizio; ed in tale ottica, unita a quella del conseguimento di un risparmio di spesa per il personale, la clausola 6 è certamente da ritenersi valida. 14)Peraltro, discutendosi di voci retributive accessorie, fuoriescono dall’ambito della garanzia di sufficienza e esse di proporzionalità ex art. 36 Cost. ed altresì dall’ambito della garanzia di tutela della professionalità, che è stata niente affatto incisa.
15)- Giova ribadire, infine, che la causa dell’accordo sindacale in esame non è affatto illecita anche perché persegue interessi meritevoli di tutela: come il riordino del sistema retributivo, la razionalizzazione della spesa per il personale, il conseguente migliore monitoraggio del costo del lavoro ed un possibile risparmio di spesa. In conclusione, sulla scorta dei motivi fin qui esposti, il ricorso deve essere rigettato.
16)- Le spese del giudizio di cassazione possono essere interamente compensate tra le parti ex art 92 c.p.c. in considerazione della assoluta novità della questione trattata; segue il raddoppio del contributo unificato, ove spettante, nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese processuali Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in camera di consiglio, all’adunanza del 14.2.2024