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Accordo Collettivo: legittima la scelta tra bonus

Un’azienda di trasporti ha modificato la struttura retributiva con un nuovo accordo collettivo, offrendo ai dipendenti la scelta tra mantenere un assegno personale o aderire a nuove indennità legate alla presenza. Una lavoratrice ha impugnato l’accordo, ma la Cassazione ha respinto il ricorso, ritenendo l’opzione legittima. La Corte ha stabilito che un accordo collettivo può modificare trattamenti preesistenti e che la rinuncia a un superminimo individuale è una scelta disponibile per il lavoratore.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Accordo Collettivo: È Legittima la Scelta tra Mantenere un Assegno Personale o Aderire a Nuove Indennità?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13512/2024, si è pronunciata su una questione cruciale nel diritto del lavoro: i limiti e la legittimità di un accordo collettivo che modifica la struttura retributiva, offrendo ai lavoratori una scelta tra il mantenimento di trattamenti individuali preesistenti e l’adesione a nuove forme di indennità. La sentenza chiarisce il delicato equilibrio tra l’autonomia contrattuale collettiva e la tutela dei diritti dei singoli lavoratori.

Il caso: la scelta tra assegno ad personam e nuove indennità

Una lavoratrice con la qualifica di quadro presso una grande azienda di trasporti pubblici aveva citato in giudizio il proprio datore di lavoro. La controversia nasceva da un accordo aziendale che aveva riorganizzato alcune voci retributive. In particolare, l’azienda aveva introdotto due nuove indennità (denominate ERA 1 ed ERA 2) che assorbivano precedenti indennità fisse, legandole però alla presenza effettiva in servizio.

L’accordo prevedeva una clausola specifica per i dipendenti che, come la ricorrente, beneficiavano di un ‘assegno ad personam’, ovvero un trattamento economico migliorativo individuale. A questi lavoratori veniva offerta una scelta:
1. Mantenere il proprio assegno ad personam, rinunciando però alle nuove indennità ERA 1 e ERA 2.
2. Rinunciare all’assegno ad personam, attraverso un accordo transattivo in sede protetta, per poter beneficiare delle nuove indennità.

La lavoratrice riteneva questa clausola illegittima, sostenendo che l’accordo collettivo avesse peggiorato il suo trattamento economico in violazione dei suoi diritti acquisiti. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano però respinto le sue richieste, portando la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

L’autonomia dell’accordo collettivo e la modifica dei trattamenti

Uno dei punti centrali della difesa della lavoratrice era che il nuovo accordo collettivo non potesse derogare ‘in pejus’ (cioè in senso peggiorativo) a un trattamento individuale già consolidato. La Cassazione ha affrontato questo tema richiamando principi consolidati in materia di successione tra contratti collettivi.

I giudici hanno chiarito che le disposizioni di un contratto collettivo non si ‘incorporano’ nel contratto individuale di lavoro, ma agiscono come fonte esterna che regola il rapporto. Di conseguenza, un nuovo accordo collettivo può legittimamente sostituire quello precedente, anche se introduce modifiche meno favorevoli per il lavoratore. L’unico limite invalicabile è quello dei ‘diritti quesiti’, ovvero diritti già entrati nel patrimonio del lavoratore in modo definitivo e non più legati alla vigenza del contratto collettivo che li aveva previsti.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della lavoratrice, ritenendo l’operazione negoziale posta in essere dall’azienda e dalle organizzazioni sindacali del tutto legittima. Le motivazioni si fondano su tre pilastri principali.

La legittimità della scelta offerta al lavoratore

La Corte ha osservato che l’accordo aziendale non ha eliminato d’imperio i trattamenti individuali, ma ha offerto una scelta chiara. Il lavoratore era libero di valutare, in base alla propria situazione personale ed economica, se fosse più conveniente mantenere il vecchio assegno ad personam o optare per le nuove indennità. Questa alternativa rimessa alla piena autonomia del singolo è stata considerata un elemento chiave per la validità dell’operazione.

La disponibilità del diritto

Un altro punto fondamentale è la natura del diritto in questione. L’assegno ad personam, essendo un ‘superminimo’ riconosciuto individualmente, costituisce un diritto disponibile. Ciò significa che il lavoratore può validamente rinunciarvi, a differenza dei diritti inderogabili stabiliti dalla legge o dai minimi tabellari dei contratti collettivi. L’accordo, prevedendo che la rinuncia avvenisse in ‘sede protetta’ (con l’assistenza sindacale), offriva un’ulteriore garanzia di consapevolezza e validità della scelta.

La finalità meritevole dell’accordo

Infine, la Cassazione ha riconosciuto che l’accordo collettivo perseguiva interessi meritevoli di tutela. L’obiettivo era quello di riordinare e omogeneizzare un sistema retributivo complesso (‘la giungla retributiva’), premiare la presenza in servizio e razionalizzare i costi per far fronte a una situazione di crisi aziendale. Queste finalità, volte a garantire la continuità aziendale e a salvaguardare l’occupazione, hanno contribuito a rendere la causa del contratto pienamente lecita.

Le conclusioni: cosa significa per lavoratori e aziende

La sentenza n. 13512/2024 ribadisce l’ampia portata dell’autonomia contrattuale collettiva, che può intervenire per riorganizzare la struttura della retribuzione anche con modifiche peggiorative, a condizione che non vengano lesi i diritti quesiti. La chiave di volta in questo caso è stata la struttura dell’accordo: non un’imposizione unilaterale, ma una scelta affidata al singolo lavoratore. Questa pronuncia offre un importante riferimento per le aziende che necessitano di ristrutturare i sistemi di compensation e per i lavoratori che si trovano a dover valutare opzioni alternative offerte dalla contrattazione aziendale.

Un nuovo accordo collettivo aziendale può peggiorare il trattamento economico dei lavoratori?
Sì, secondo la Corte di Cassazione un nuovo accordo collettivo può sostituire il precedente e introdurre modifiche meno favorevoli per il lavoratore. Il limite è costituito dai cosiddetti ‘diritti quesiti’, cioè quei diritti che sono già entrati definitivamente nel patrimonio del lavoratore e non dipendono più dal contratto che li ha generati.

Un lavoratore può rinunciare a un ‘assegno ad personam’ in cambio di altri benefici?
Sì. L’assegno ad personam, essendo un trattamento economico individuale che va oltre i minimi legali o contrattuali, è un diritto disponibile. Il lavoratore può quindi validamente rinunciarvi, specialmente se la scelta avviene in una ‘sede protetta’ che ne garantisce la consapevolezza, come previsto dall’accordo in esame.

Perché la Corte ha considerato legittimo l’accordo collettivo in questo caso?
La Corte lo ha ritenuto legittimo perché non imponeva una modifica unilaterale, ma rimetteva la scelta al singolo lavoratore tra il mantenimento del vecchio trattamento e l’adesione a uno nuovo. Inoltre, l’accordo perseguiva finalità meritevoli di tutela, come la razionalizzazione dei costi aziendali, l’omogeneizzazione delle retribuzioni e il superamento di una situazione di crisi, garantendo così la continuità aziendale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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