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Abuso permessi Legge 104: licenziamento legittimo

Un lavoratore è stato licenziato per aver utilizzato i permessi retribuiti previsti dalla Legge 104/92 non per assistere la suocera disabile, ma per lavorare nell’attività commerciale della moglie. La Corte di Appello ha ritenuto legittimo il licenziamento e la Corte di Cassazione ha confermato tale decisione, dichiarando inammissibile il ricorso del lavoratore. La sentenza ribadisce che l’abuso dei permessi Legge 104 costituisce una grave violazione degli obblighi di buona fede e correttezza, tale da ledere irreparabilmente il rapporto di fiducia con il datore di lavoro.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Abuso permessi Legge 104: quando il licenziamento è inevitabile

I permessi retribuiti previsti dalla Legge 104/1992 rappresentano un fondamentale strumento di civiltà e sostegno per i lavoratori che assistono familiari con gravi disabilità. Tuttavia, il loro utilizzo deve essere conforme alla finalità per cui sono stati istituiti. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ha ribadito con forza le conseguenze di un abuso permessi Legge 104, confermando la legittimità di un licenziamento per giusta causa nei confronti di un dipendente che utilizzava tale beneficio per svolgere una seconda attività lavorativa. Analizziamo la vicenda e i principi di diritto affermati.

I fatti del caso

Un dipendente di una nota società di servizi fruiva regolarmente dei permessi previsti dalla Legge 104/92 per assistere la propria suocera. Sospettando un uso improprio di tali permessi, la società datrice di lavoro avviava delle indagini. Dalle verifiche investigative emergeva che il lavoratore, durante le ore di permesso, invece di dedicarsi all’assistenza, impiegava la gran parte del proprio tempo a lavorare presso l’agenzia di proprietà della moglie.

A seguito di questa scoperta, la società contestava formalmente la violazione dei principi di correttezza e buona fede e procedeva con il licenziamento per giusta causa, ritenendo che la condotta del dipendente avesse irrimediabilmente compromesso il vincolo fiduciario alla base del rapporto di lavoro.

Il percorso giudiziario e l’abuso dei permessi Legge 104

Il lavoratore impugnava il licenziamento. In un primo momento, il Tribunale gli dava ragione. Tuttavia, la Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, accoglieva le ragioni dell’azienda. I giudici di secondo grado, dopo aver riesaminato le prove, concludevano che il lavoratore aveva effettivamente abusato dei permessi. Sebbene l’assistenza al familiare non debba essere necessariamente continuativa per l’intera durata del permesso, essa deve comunque rimanere lo scopo principale del beneficio. Utilizzare quel tempo per svolgere un’altra attività lavorativa, secondo la Corte, integra una violazione grave che lede il rapporto di fiducia.
Il caso approdava così in Corte di Cassazione su ricorso del lavoratore.

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso del lavoratore inammissibile, confermando di fatto la legittimità del licenziamento. Le motivazioni della Corte sono prevalentemente di natura procedurale, ma rafforzano il principio di diritto sostanziale. I giudici hanno ritenuto i motivi di ricorso del lavoratore infondati perché:

1. Tentavano di ottenere un riesame dei fatti: Il ricorrente cercava di rimettere in discussione l’accertamento delle prove (come gli orari di lavoro e le risultanze delle indagini), un’attività che è riservata ai giudici di primo e secondo grado e non è consentita in sede di legittimità.
2. Erano formulati in modo generico: Le censure alla sentenza d’appello erano vaghe e non individuavano un chiaro errore nell’applicazione della legge, limitandosi a criticare la valutazione del giudice di merito.
3. Mescolavano impropriamente diverse tipologie di vizi: Il ricorso cumulava in modo confuso la denuncia di violazione di legge con quella di vizio di motivazione, rendendo le censure inammissibili.

Sostanzialmente, la Cassazione ha ritenuto corretta la valutazione della Corte d’Appello, la quale aveva chiaramente escluso che la condotta potesse essere punita con una sanzione più lieve (conservativa). L’aver impiegato il tempo destinato alla cura di un familiare disabile per un’altra attività lavorativa è stato considerato uno “sviamento” di grado talmente elevato da rompere in modo “irreparabile” il rapporto di fiducia con il datore di lavoro.

Le conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale ormai granitico: i permessi della Legge 104/92 sono un diritto finalizzato a un preciso scopo solidaristico. L’utilizzo di questo strumento per finalità diverse, e in particolare per svolgere un’altra attività, non rappresenta una semplice irregolarità, ma un grave inadempimento contrattuale. Tale condotta viola gli obblighi di correttezza e buona fede e mina alla base la fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel proprio dipendente, giustificando la sanzione più severa, ovvero il licenziamento per giusta causa.

È possibile utilizzare i permessi della Legge 104/92 per svolgere un’altra attività lavorativa?
No, la sentenza conferma che l’abuso dei permessi per svolgere un’altra attività lavorativa, anziché prestare assistenza al familiare disabile, costituisce una violazione grave degli obblighi di correttezza e buona fede, ledendo irreparabilmente il rapporto di fiducia e giustificando il licenziamento per giusta causa.

L’assistenza al familiare disabile deve essere continuativa per tutta la durata del permesso?
No, la giurisprudenza chiarisce che l’assistenza non deve essere necessariamente ininterrotta e prestata per l’intera giornata. Tuttavia, l’assistenza deve rimanere lo scopo primario e congruo del permesso, e il tempo non direttamente impiegato per la cura non può essere utilizzato per attendere ad altre attività, come un secondo lavoro.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso ‘inammissibile’?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando non rispetta i requisiti formali e sostanziali previsti dalla legge per essere esaminato. In questo caso, il lavoratore ha tentato di far rivalutare i fatti e le prove del processo, compito che spetta ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non alla Cassazione, la quale si limita a verificare la corretta applicazione delle norme di diritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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