Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2155 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 2155 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 5869-2023 proposto da:
L’RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente principale –
contro
COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
ricorrente incidentale nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
ricorrente principale – controricorrente incidentale –
Oggetto
Licenziamento
e permessi lege n. 104/92
ex
R.G.N. 5869/2023
COGNOME
Rep.
Ud.17/12/2024
CC
avverso la sentenza n. 8/2023 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI, depositata il 11/01/2023 R.G.N. 134/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
17/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Cagliari -sezione dist. di Sassari, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, in riforma della pronuncia di primo grado, ha annullato il licenziamento per giusta causa intimato dalla RAGIONE_SOCIALE a NOME COGNOME in data 20.3.2020, con le conseguenze reintegratorie ed economiche previste dal comma 4 dell’art. 18 St. lav. novellato;
la Corte territoriale, in sintesi, ha premesso di essere chiamata a verificare la legittimità del licenziamento disciplinare intimato alla Canu in quanto “nelle giornate del 12, 19 febbraio 2020 e 4 marzo 2020, non si è in alcun modo dedicata, nei giorni di permesso concessi dalla scrivente, a prestare assistenza in favore di suo padre, , bensì ad attività del tutto estranee alle prestazioni assistenziali per le quali ha usufruito dei predetti permessi, così eludendo le disposizioni normative contemplate dalla legge n. 104 del 5 febbraio 1992”; ha evidenziato che nella contestazione disciplinare, era stato addebitato: “Ella durante i periodi di permesso – e in particolare nelle giornate del 12, 19 febbraio 2020 e 4 marzo 2020 – svolto una molteplicità di attività manifestamente estranee, per la loro natura, alle finalità assistenziali perseguite dalla richiamata disciplina legislativa. In particolare, risulta evidente, come, nel corso delle predette giornate, Ella non si è dedicata all’assistenza del sig. , per la
cui cura Ella fruisce dei benefici della legge 104/1991 – e che risulta residente in Sassari in INDIRIZZO ma ad attività del tutto non riconducibili alle previsioni legali’;
la Corte ha, innanzitutto, accertato che il licenziamento si fondava su di un presupposto di fatto errato, ossia che il genitore della reclamante, necessitante dell’assistenza in quanto disabile, fosse residente in abitazione diversa da quella della figlia, ove, invece, il padre risiedeva;
acclarato ciò ed esaminate le emergenze processuali, all’esito la Corte ha ritenuto ostasse alla legittimità del licenziamento ‘sia la circostanza che la COGNOME ha prestato assistenza al padre disabile nei tre giorni per i quali ha fatto richiesta dei permessi in esame, sia la circostanza che detta assistenza si è protratta quanto meno per oltre 22 ore complessive’, con conseguente esclusione della ‘esistenza di un abuso dei permessi ex lege n. 104/1992’ e applicazione della tutela prevista dal comma 4 de ll’art. 18 legge n. 300 del 1970;
per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso, in via principale, la soccombente società con sei motivi; ha resistito con controricorso l’intimata, formulando ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi;
sono state comunicate memorie di entrambe le parti; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso principale possono essere esposti secondo la sintesi offerta dalla stessa difesa della società;
1.1. il primo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 33 L. n. 104/1992 (art. 360 n. 3 c.p.c.) in quanto la
Corte territoriale ha applicato i principi in tema di congedo parentale (o straordinario), istituto diverso dai permessi ex art. 33 L. n. 104/1992′;
1.2. il secondo motivo denuncia: ‘Nullità della sentenza, per violazione dell’art. 115 c.p.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.) in quanto la Corte territoriale ha considerato una ‘fascia oraria’, nell’ambito della quale valutare l’attività di assistenza al disabile, non risultante dagli atti e dalle prove acquisiti in giudizio, mai oggetto di discussione tra le parti, né considerata dai provvedimenti delle pregresse fasi di giudizio’;
1.3. il terzo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli art. 2697 e 2729 c.c. e degli art. 115 e 116 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) per avere la gravata sentenza posto in capo alla società l’onere di provare fatti addotti dalla lavoratrice ad esimente e che, quindi, competeva alla stessa provare, nonché violato i principi in tema di presunzioni’;
1.4. il quarto motivo denuncia: ‘Omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento al telelavoro/orari di lavoro e alle ore di assistenza al padre (art. 360 n. 5 c.p.c.) in quanto la Corte d’Appello non ha considerato che la sig. COGNOME operava in telelavoro e di norma dalle ore 10,30 del mattino alle 13,30 e poi dalle 16,30 alle 20,30′;
1.5. il quinto motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) non essendo stati considerati i costanti principi di codesta Ecc.ma Corte, in tema di rilevanza dell’elemento soggettivo e che, ove sino contestati plurimi addebiti, anche se risulta provato un solo fatto, ma questo sia idoneo a ledere il vincolo fiduciario, il licenziamento è legittimo’;
1.6. il sesto motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c. e 18 L. n. 300/1970 (art. 360 n. 3 c.p.c.) per avere la Corte di merito applicato l’art. 18, 4° comma S.L., nonostante fossero risultati provati tutti i fatti contestati’;
il Collegio reputa che il ricorso della società non possa trovare accoglimento;
2.1. il primo motivo è da respingere;
la sentenza impugnata risulta coerente con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il nesso causale tra la fruizione del permesso e l’assistenza alla persona disabile non può essere inteso in senso così rigido da imporre al lavoratore il sacrificio, in correlazione col permesso, delle proprie esigenze personali o familiari in senso lato, ma piuttosto quale chiara ed inequivoca funzionalizzazione del tempo liberato dall’obbligo della prestazione di lavoro alla preminente soddisfazione dei bisogni della persona disabile, senza automatismi o rigide misurazioni dei segmenti temporali dedicati all’assistenza in relazione all’orario di lavoro; entro tale perimetro funzionale, è stato peraltro precisato che l’assistenza non può essere intesa riduttivamente come mera assistenza personale al soggetto disabile presso la sua abitazione, ma deve necessariamente comprendere lo svolgimento di tutte le attività che il soggetto non sia in condizioni di compiere autonomamente; l’abuso quindi va a configurarsi solo quando il lavoratore utilizzi i permessi per fini diversi dall’assistenza, da intendere in senso ampio, in favore del familiare (cfr. Cass. n. 12679 del 2024; Cass. n. 6468 del 2024; Cass. n. 25290 del 2022; Cass. n. 1394 del 2020; Cass. n. 21529 del 2019; Cass. n. 30676 del 2018; Cass. n. 8784 del 2015), atteso che l’interesse primario cui è preposta la legge n. 104/1992 è quello di assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell’assistenza al disabile
che si realizzano in ambito familiare, attraverso una serie di benefici a favore delle persone che se ne prendono cura, pur dovendosi scongiurare utilizzi fraudolenti della normativa (così Cass. n. 20243 del 2020 e, da ultimo, v. Cass. n. 26514 del 2024);
inoltre, Cass. n. 12679 del 2024 ha anche evidenziato la pertinenza del richiamo alla giurisprudenza (in particolare Cass. n. 19580 del 2019, richiamata anche da Cass. n. 12032 del 2020) che, pur formatasi con riguardo al diverso istituto del congedo straordinario ex art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151/2001, presenta indubbi elementi di ‘contiguità’;
in ogni caso, la verifica in concreto, sulla base dell’accertamento in fatto della condotta tenuta dal lavoratore in costanza di beneficio, dell’esercizio con modalità abusive difformi da quelle richieste dalla natura e dalla finalità per cui il congedo è consentito appartiene alla competenza ed all’apprezzamento del giudice di merito (in termini: Cass. n. 509 del 2018; v. anche Cass. n. 29062 del 2017; Cass. n. 30676 del 2018; Cass. n. 21529 del 2019), sicché la pretesa di un sindacato di legittimità sul punto esorbita dai poteri di questa Corte (ancora di recente: Cass. n. 25290 del 2022; Cass. n. 7306 del 2023; Cass. n. 8306 del 2023; Cass. n. 17993 del 2023);
2.2. il secondo motivo è inammissibile;
si denuncia un ‘travisamento’ della prova, evocando precedenti di legittimità oramai superati dall’arresto delle Sezioni unite di questa Corte (v. SS.UU. n. 5792 del 2024), secondo cui: «Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in
concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale»;
inoltre, la pronuncia citata ha pure evidenziato che, ‘se si ammettesse la ricorribilità per cassazione in caso di travisamento della prova, , rendendo pervio l’articolo 115 c.p.c. ben oltre il significato che ad esso è riconosciuto (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), il giudizio di cassazione obbiettivamente scivolerebbe verso un terzo grado destinato a svolgersi non sulla decisione impugnata, ma sull’intero compendio delle «carte» processuali, sicché la latitudine del giudizio di legittimità neppure ripristinerebbe l’assetto ante riforma del 2012, ma lo espanderebbe assai di più’, assegnando ‘alla Corte di cassazione il potere di rifare daccapo il giudizio di merito’;
il che è quanto sollecitato dalla censura in esame che, peraltro, rispetto al ‘fatto sostanziale’ della ‘fascia oraria’ neanche prospetta, col motivo in esame, il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.;
2.3. parimenti inammissibile il terzo mezzo di gravame, che deduce impropriamente la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., oltre che dell’art. 2729 c.c.;
come ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020, richiamata anche dalla più recente Cass. SS.UU. n. 5792 del 2024 prima citata), per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il
giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre);
parimenti la pronuncia rammenta che la violazione dell’art. 116 c.p.c. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura era consentita ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nel testo previgente ed ora solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati da questa Corte fin da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014;
circa la violazione dell’art. 2697 c.c., essa è prospettabile ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui
il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018); in realtà il motivo in esame trascura di considerare che incombeva integralmente sulla parte datoriale l’onere di provare la fondatezza di quanto addebitato alla COGNOME che -come ricordato nello storico della lite -consisteva nel non essersi dedicata, ‘in alcun modo’, nelle tre giornate contestate, all’assistenza del padre disabile, sul fuorviante presupposto, rivelatosi poi errato, che il genitore non risiedesse nella medesima abitazione della figlia;
2.4. è inammissibile anche il quarto motivo che denuncia il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. ben oltre i limiti segnati dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014;
in particolare, la circostanza che la COGNOME ‘di norma’ lavorasse in certi orari, da casa, in regime di telelavoro non ha alcuna valenza decisiva di fatto che, se fosse stato esaminato, avrebbe condotto, con prognosi non di mera possibilità, ad un esito diverso della lite, avuto riguardo alla ratio decidendi , coerente con la giurisprudenza di questa Corte, che non postula una esatta collocazione temporale dell’assistenza nell’orario liberato dall’obbligo della prestazione lavorativa (cfr. Cass. n. 7306/2023 cit.);
2.5. il quinto motivo è inammissibile;
sia per novità della questione, che non risulta affrontata dalla sentenza impugnata, mentre è costante insegnamento di questa Suprema Corte che, laddove una determinata questione
giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza gravata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (cfr. Cass. SS.UU. n. 34469 del 2019), di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. SS. UU. n. 2399 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 25546 del 2006; Cass. n. 3664 del 2006; Cass. n. 6542 del 2004; Cass. n. 32084 del 2019; Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 27568 del 2017); oneri nella specie non adeguatamente assolti;
sia perché la doglianza si fonda sull’assunto che sarebbe stato provato un singolo addebito, quando invece la Corte ha escluso radicalmente la ‘esistenza di un abuso dei permessi ex lege n. 104/1992’, sicché parte ricorrente denuncia impropriamente un error in iudicando fondato sulla base di una diversa ricostruzione dei fatti;
2.6. il sesto motivo è infondato;
questa Corte ha avuto già modo di statuire che, ove il giudice del merito giunga alla conclusione che la condotta posta in essere dal lavoratore nella fruizione dei permessi ex lege n. 104 del 1992 non integri un abuso o uno sviamento dalle finalità del beneficio, il fatto contestato è da ritenersi insussistente perché privo di rilievo disciplinare, dovendo trovare applicazione la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4, della legge
300/1970, come modificato dalla legge 92/2012 (cfr. Cass. n. 7306 del 2023);
pertanto, il ricorso principale deve essere respinto nel suo complesso, con assorbimento del ricorso dichiaratamente condizionato, con spese che seguono soccombenza liquidate come da dispositivo;
incidentale la ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna la società al pagamento delle spese liquidate in euro 5.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della sola ricorrente in via principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 17 dicembre