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Abuso permessi legge 104: licenziamento illegittimo

Una società editoriale ha licenziato una dipendente per un presunto abuso dei permessi previsti dalla legge 104/92, sostenendo che non avesse assistito il padre disabile. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’azienda, confermando l’annullamento del licenziamento. La Corte ha stabilito che l’assistenza non richiede una presenza costante e che l’onere di provare l’abuso dei permessi legge 104 grava interamente sul datore di lavoro. Poiché l’abuso non è stato provato, il licenziamento è stato ritenuto illegittimo con diritto alla reintegrazione.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Abuso permessi legge 104: quando il licenziamento è illegittimo secondo la Cassazione

L’abuso permessi legge 104 è un tema delicato che spesso conduce a contenziosi tra datore di lavoro e dipendente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui confini tra uso legittimo e abuso, chiarendo quando un licenziamento disciplinare possa essere considerato illegittimo. La Corte ha ribadito che l’assistenza al familiare disabile non implica un obbligo di assistenza continua e ininterrotta, e che l’onere di provare l’uso improprio dei permessi spetta esclusivamente al datore di lavoro.

I Fatti del Caso: Licenziamento per Sospetto Abuso

Il caso ha origine dal licenziamento per giusta causa di una lavoratrice da parte di una società editoriale. L’azienda contestava alla dipendente di aver usufruito di tre giornate di permesso ai sensi della Legge 104/92 senza dedicarsi all’assistenza del padre disabile. Secondo il datore di lavoro, la dipendente avrebbe svolto attività del tutto estranee alle finalità assistenziali, eludendo le normative.

La Corte di Appello, in riforma della decisione di primo grado, aveva annullato il licenziamento, ordinando la reintegrazione della lavoratrice. I giudici di secondo grado avevano accertato che l’azienda si era basata su un presupposto di fatto errato: credeva che il padre della lavoratrice risiedesse in un’abitazione diversa, mentre invece viveva con la figlia. Inoltre, era emerso che la lavoratrice aveva effettivamente prestato assistenza per un totale di oltre 22 ore nei giorni contestati, escludendo così l’esistenza di un abuso.

La società ha quindi presentato ricorso in Cassazione, basandolo su sei motivi, tra cui la violazione della legge 104/92 e vizi procedurali relativi alla valutazione delle prove.

L’abuso dei permessi legge 104 e l’onere della prova

La Suprema Corte ha respinto il ricorso dell’azienda, ritenendolo infondato in tutti i suoi motivi. I giudici hanno colto l’occasione per ribadire alcuni principi fondamentali in materia di abuso permessi legge 104.

Il Concetto di Assistenza

La Cassazione ha chiarito che il nesso tra il permesso e l’assistenza non deve essere interpretato in modo rigido. Non si richiede al lavoratore di sacrificare ogni esigenza personale o familiare, ma di assicurare una “chiara ed inequivoca funzionalizzazione” del tempo libero alla soddisfazione dei bisogni del disabile. L’assistenza non è solo quella personale e diretta, ma comprende tutte le attività che il soggetto disabile non può compiere autonomamente. L’abuso si configura solo quando i permessi sono usati per scopi completamente diversi e non riconducibili, neanche in senso ampio, all’assistenza.

L’Onere della Prova

Un punto cruciale della decisione riguarda l’onere della prova. La Corte ha specificato che spetta integralmente al datore di lavoro dimostrare la fondatezza dell’addebito. Nel caso di specie, la società contestava alla dipendente di non essersi “in alcun modo” dedicata all’assistenza, un’accusa basata sul presupposto errato della diversa residenza. Una volta dimostrato che il presupposto era falso e che un’assistenza vi era stata, l’intero impianto accusatorio è crollato. I tentativi dell’azienda di ribaltare l’onere probatorio o di contestare la valutazione dei fatti da parte dei giudici di merito sono stati ritenuti inammissibili.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha smontato uno per uno i motivi del ricorso. Ha giudicato inammissibili le censure relative a un presunto “travisamento della prova” e alla violazione delle norme sulla valutazione delle prove (artt. 115, 116 e 2697 c.c.), ricordando che il giudizio di Cassazione non è un terzo grado di merito e non può riesaminare i fatti, se non entro limiti molto stretti. Anche il motivo relativo all’orario di lavoro in telelavoro della dipendente è stato giudicato irrilevante, poiché la giurisprudenza non richiede una precisa coincidenza temporale tra le ore di permesso e le ore di assistenza.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione è di fondamentale importanza. Stabilisce che, se il giudice di merito accerta che la condotta del lavoratore non integra un abuso o uno sviamento dalle finalità della Legge 104/92, il fatto contestato deve considerarsi “insussistente” dal punto di vista disciplinare. Di conseguenza, trova applicazione la tutela reintegratoria piena prevista dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. La Corte ha quindi respinto il ricorso principale, condannando la società al pagamento delle spese processuali e confermando il diritto della lavoratrice a essere reintegrata nel posto di lavoro.

È necessario assistere il familiare disabile per l’intera durata del permesso ex legge 104/92?
No, la giurisprudenza della Corte di Cassazione chiarisce che il nesso tra il permesso e l’assistenza non deve essere inteso in modo rigido da imporre al lavoratore il sacrificio delle proprie esigenze personali. È sufficiente una chiara funzionalizzazione del tempo liberato alla soddisfazione dei bisogni della persona disabile, senza misurazioni rigide dei segmenti temporali dedicati all’assistenza.

Su chi ricade l’onere di provare l’abuso dei permessi della legge 104?
L’onere di provare la fondatezza dell’addebito, e quindi l’effettivo abuso dei permessi da parte del dipendente, ricade integralmente sul datore di lavoro. Se il datore di lavoro non riesce a dimostrare che il lavoratore ha utilizzato i permessi per finalità completamente estranee all’assistenza, l’addebito disciplinare non può reggere.

Cosa succede se il licenziamento per abuso dei permessi legge 104 viene dichiarato illegittimo perché il fatto è insussistente?
Se il giudice accerta che la condotta del lavoratore non costituisce un abuso, il fatto contestato è ritenuto insussistente sotto il profilo disciplinare. In questo caso, deve essere applicata la tutela reintegratoria prevista dall’art. 18, comma 4, della Legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), che comporta la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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