Abuso Contratti a Termine: Quando Scatta il Diritto al Risarcimento?
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32666/2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto del lavoro: l’abuso contratti a termine nel settore pubblico. Questa decisione stabilisce principi fondamentali sul diritto al risarcimento del danno, chiarendo che non è legato esclusivamente al superamento del limite massimo di durata di 36 mesi. L’ordinanza sottolinea come la violazione di qualsiasi disposizione imperativa possa generare il diritto a un indennizzo per il lavoratore.
Il Contesto del Ricorso: La Successione di Contratti a Tempo Determinato
Il caso trae origine dalla domanda di un lavoratore che aveva prestato servizio per una pubblica amministrazione attraverso una serie di contratti a tempo determinato. Il lavoratore lamentava un utilizzo abusivo di tale forma contrattuale, chiedendo il risarcimento del danno subito. La Corte d’Appello di Palermo aveva respinto la domanda, limitando la propria analisi alla sola verifica della durata complessiva dei rapporti, ritenendo che, non essendo stato superato il limite di 36 mesi, non vi fosse alcun abuso sanzionabile.
La Questione Giuridica: Oltre il Limite dei 36 Mesi
Il cuore della questione sottoposta alla Corte di Cassazione era se l’abuso contratti a termine potesse configurarsi anche in assenza del superamento del limite di durata complessiva di 36 mesi. Il ricorrente sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel ridurre l’intera questione a un mero calcolo matematico della durata, ignorando altri profili di illegittimità, come la mancanza di ragioni oggettive per la stipula dei singoli contratti.
L’Analisi sull’Abuso Contratti a Termine della Cassazione
La Suprema Corte ha accolto le doglianze del lavoratore, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’Appello di Palermo per un nuovo esame. I giudici di legittimità hanno ribadito che la tutela risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5, del D.Lgs. 165/2001 non è affatto condizionata a una reiterazione di contratti per un periodo superiore a 36 mesi.
La Violazione delle Norme come Fonte Diretta del Danno
Il principio cardine affermato è che il diritto al risarcimento del danno sorge come conseguenza immediata e diretta della violazione di disposizioni imperative. Questo significa che l’illegittimità può risiedere non solo nella durata, ma anche nella mancanza dei presupposti richiesti dalla legge per la stipula di un contratto a termine (come le ragioni oggettive previste dalla clausola 5 dell’accordo quadro europeo).
L’Errore della Corte d’Appello
La Corte di Cassazione ha censurato la decisione di secondo grado per aver limitato l’indagine al solo profilo della durata complessiva. Secondo i giudici supremi, il giudice di merito avrebbe dovuto verificare l’esistenza di un abuso sotto ogni aspetto, valutando la legittimità di ogni singolo contratto e la potenziale violazione delle norme che ne regolano l’apposizione del termine. Anche la valutazione di fatti antecedenti al recepimento della Direttiva europea può essere rilevante per delineare un quadro di abuso complessivo.
Le motivazioni
La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che l’interpretazione restrittiva della Corte d’Appello si poneva in contrasto con la normativa nazionale ed europea. Il diritto al risarcimento, hanno spiegato i giudici, è una misura sanzionatoria che mira a ristorare il lavoratore per la perdita di chance e per la precarietà subita a causa di un illegittimo ricorso al contratto a termine. Tale diritto sorge ogni qualvolta vi sia una violazione di norme imperative, a prescindere dal superamento di una soglia temporale predefinita. Limitare la verifica alla sola durata complessiva svuoterebbe di significato le tutele previste per il lavoratore, consentendo alla pubblica amministrazione di reiterare contratti illegittimi purché al di sotto del limite dei 36 mesi.
Le conclusioni
In conclusione, la Cassazione ha stabilito che per accertare l’abuso contratti a termine e il conseguente diritto al risarcimento, il giudice deve condurre un’analisi completa. È necessario verificare non solo la durata totale dei rapporti, ma anche la legittimità di ogni singolo contratto, incluse le ragioni oggettive che ne hanno giustificato la stipula. Questa pronuncia rafforza significativamente la posizione dei lavoratori precari nel pubblico impiego, ampliando il perimetro della tutela risarcitoria contro l’utilizzo illegittimo dei contratti a tempo determinato.
Il risarcimento per l’abuso di contratti a termine spetta solo se si superano i 36 mesi di lavoro?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il diritto al risarcimento del danno non è condizionato al superamento del limite di 36 mesi, ma sorge come conseguenza diretta della violazione di qualsiasi disposizione imperativa che regola i contratti a tempo determinato.
Cosa deve valutare un giudice per decidere se c’è stato un abuso di contratti a termine?
Il giudice non deve limitarsi a controllare la durata complessiva dei contratti, ma deve esaminare la legittimità di ogni singolo rapporto di lavoro. Ciò include la verifica delle ragioni oggettive che giustificano l’apposizione del termine, come previsto dalla normativa.
Qual è stata la decisione finale della Corte di Cassazione in questo caso?
La Corte ha accolto il ricorso del lavoratore, ha cassato (annullato) la sentenza della Corte d’Appello e ha rinviato il caso allo stesso tribunale, in diversa composizione, affinché riesamini la questione applicando i principi di diritto corretti, ovvero valutando tutti i possibili profili di abuso e non solo la durata complessiva.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32666 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32666 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
anche antecedenti al termine di recepimento della Direttiva, trattandosi di dare rilevanza ad un profilo di fatto (v. mutatis mutandis Cass. 16 luglio 2020, n. 15231) nei limiti in cui anche attraverso esso si determini l’illegittimità dei contratti stipulati dopo l’introduzione di quel limite massimo;
5.
è poi errato anche l’aver limitato la questione sulla legittimità o abusività dei contratti a termine al solo profilo della durata complessiva, in quanto l’art. 36 comma 5 secondo periodo d.lgs. n.165 del 2001 non condiziona affatto il diritto al risarcimento del danno alla reiterazione per un lasso di tempo superiore a trentasei mesi;
al contrario, il diritto al risarcimento del danno sorge quale conseguenza immediata e diretta della violazione di disposizioni imperative, sempre che non si sia in presenza di un unico contratto e venga in discussione l’applicazione delle misure previste dalla citata clausola 5, che include anche l’indicazione di ragioni oggettive per la stipula dei contratti a tempo determinato;
era anche da questo punto di vista che doveva quindi verificarsi l’esistenza o meno di un abuso, onde valutare su tale base la pretesa risarcitoria;
6.
la fondatezza del secondo e del terzo motivo comportano, in continuità con altri precedenti di questa S.C. (tra cui, Cass. 27 giugno 2024, n. 17815), la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro