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Abuso contratti a termine: no sanatoria da assunzione

La Corte di Cassazione ha confermato il diritto al risarcimento per un gruppo di lavoratori pubblici a seguito di un prolungato abuso di contratti a termine. La Corte ha stabilito che la successiva assunzione a tempo indeterminato, avvenuta tramite una procedura concorsuale autonoma, non costituisce una sanatoria per l’illegittimità pregressa. Il ricorso della Pubblica Amministrazione, che mirava a un riesame dei fatti, è stato dichiarato inammissibile, consolidando il principio secondo cui la stabilizzazione non cancella il danno derivante dall’abuso contratti a termine.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Abuso Contratti a Termine: l’Assunzione non Cancella il Danno

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale nel diritto del lavoro pubblico: la stabilizzazione non sana l’illecito. Quando la Pubblica Amministrazione reitera illegittimamente i contratti a tempo determinato, commette un abuso contratti a termine che genera un diritto al risarcimento per il lavoratore, anche se quest’ultimo viene successivamente assunto a tempo indeterminato. Analizziamo questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: Anni di Precariato nella Pubblica Amministrazione

Il caso ha origine dalla vicenda di numerosi dipendenti di un’amministrazione regionale, assunti inizialmente con contratti a termine per far fronte a esigenze istituzionali straordinarie. Tali contratti, tuttavia, sono stati prorogati ininterrottamente per oltre un decennio, senza che l’ente avviasse le procedure di stabilizzazione promesse e per le quali erano disponibili i fondi.

I lavoratori, ritenendo illegittima tale prassi, si sono rivolti al Tribunale, che ha accertato l’abusiva reiterazione dei contratti e ha condannato l’amministrazione al risarcimento del danno, quantificato in dodici mensilità dell’ultima retribuzione. La decisione è stata confermata in appello.

La Questione dell’Abuso Contratti a Termine e l’Efficacia Sanante

L’amministrazione ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo un unico motivo: l’avvenuta assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori avrebbe dovuto avere un’efficacia ‘sanante’. Secondo la tesi difensiva, la stabilizzazione, essendo strettamente correlata all’abuso commesso, costituiva la misura riparatoria adeguata, escludendo quindi ogni ulteriore pretesa risarcitoria.

In sostanza, l’ente pubblico sosteneva che l’aver finalmente offerto un posto fisso ai dipendenti cancellasse l’illecito commesso negli anni precedenti.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto categoricamente questa tesi, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno chiarito che l’argomentazione dell’amministrazione non era altro che una richiesta di riesaminare nel merito una valutazione già compiuta correttamente dalla Corte d’Appello.

La Corte territoriale aveva infatti già stabilito che l’assunzione a tempo indeterminato era avvenuta all’esito di una procedura concorsuale indipendente e non come misura riparatoria specifica per l’abuso subito. Pertanto, non esisteva quella stretta correlazione tra l’illecito e la stabilizzazione che avrebbe potuto, in astratto, conferire a quest’ultima un’efficacia sanante.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un punto cruciale: la distinzione tra la stabilizzazione e il risarcimento del danno. La stabilizzazione attraverso un concorso pubblico risponde al principio costituzionale di accesso al pubblico impiego (art. 97 Cost.) e garantisce al lavoratore un futuro lavorativo sicuro. Il risarcimento del danno, invece, ha una funzione compensativa per il pregiudizio subito a causa della precarietà e dell’incertezza patite in passato a causa dell’illegittima reiterazione dei contratti a termine, in violazione della direttiva europea 1999/70/CE.

La Cassazione ha ritenuto che il motivo di ricorso fosse una ‘affermazione tautologica’ e una ‘mera confutazione’ dell’apprezzamento già operato dal giudice di merito, il quale aveva correttamente escluso che la procedura di assunzione avesse natura riparatoria. Tentare di rileggere il bando di concorso in sede di legittimità per dimostrare il contrario costituisce un inammissibile tentativo di ottenere un nuovo giudizio sui fatti.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’assunzione a tempo indeterminato non costituisce, di per sé, una misura sufficiente a riparare il danno causato dall’abuso contratti a termine nel pubblico impiego. Il diritto del lavoratore a ricevere un indennizzo per il periodo di precariato illegittimo rimane integro, a meno che non si dimostri che la procedura di stabilizzazione sia stata concepita specificamente come misura sanzionatoria e riparatoria, con una correlazione diretta e inequivocabile con l’abuso pregresso. La pronuncia rappresenta un importante monito per le pubbliche amministrazioni a rispettare i limiti imposti dalla normativa sui contratti a tempo determinato, ricordando che la stabilizzazione futura non li metterà al riparo dalle conseguenze economiche di una gestione illegittima del personale.

L’assunzione a tempo indeterminato dopo una serie di contratti a termine illegittimi elimina il diritto al risarcimento del danno?
No. Secondo l’ordinanza, l’assunzione a tempo indeterminato non elimina automaticamente il diritto al risarcimento se è avvenuta all’esito di una procedura concorsuale indipendente e non come misura specificamente riparatoria per l’abuso pregresso.

Perché la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’Amministrazione?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché la tesi dell’Amministrazione si limitava a contestare la valutazione dei fatti già compiuta dalla Corte d’Appello, chiedendo un riesame nel merito che non è consentito in sede di legittimità.

Qual è la misura del risarcimento riconosciuta ai lavoratori per l’abuso dei contratti a termine?
La sentenza di merito, confermata dalla Cassazione, ha quantificato il risarcimento del danno in un’indennità pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in applicazione della normativa nazionale (art. 32 l. n. 183/2010).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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