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Attribuzione patrimoniale, convivente more uxorio

Nel caso esaminato, il ricorrente esponeva di aver citato, dinanzi al Tribunale di Udine, la sua ex compagna convivente, per ottenerne la condanna al pagamento di Euro 92042,01 o della diversa minor somma corrispondente a quanto pagato per eseguire una serie di lavori ed opere nell’immobile di sua proprietà. La conclusione della sentenza impugnata è coerente con l’affermazione della giurisprudenza della Suprema Corte, secondo la quale un’attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio può configurarsi come adempimento di un’obbligazione naturale allorché la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens (Cass.

Pubblicato il 08 August 2021 in Diritto di Famiglia, Giurisprudenza Civile

Nel caso esaminato, il ricorrente esponeva di aver citato, dinanzi al Tribunale di Udine, la sua ex compagna convivente, per ottenerne la condanna al pagamento di Euro 92042,01 o della diversa minor somma corrispondente a quanto pagato per eseguire una serie di lavori ed opere nell’immobile di sua proprietà.

Il Tribunale, con sentenza del 26 ottobre 2017, accoglieva la domanda attorea e condannava la ex convivente a corrispondere Euro 82.583,83, ritenendo gli esborsi effettuati dal ricorrente non riconducibili alla solidarietà conseguente alla comunanza di affetti, durata solo quattro anni, anche in considerazione delle ulteriori spese sostenute per il menage familiare, dell’esclusivo vantaggio ricavatone dalla proprietaria dell’immobile e dell’obiettiva consistenza della somma impiegata rispetto al reddito dell’attore e al suo complessivo patrimonio.

La Corte d’Appello accoglieva, invece, il gravame promosso dalla ex compagna, ritenendo che il convenuto avesse dato il consenso al verificarsi dello squilibrio patrimoniale, giacché aveva partecipato attivamente ai lavori di ristrutturazione, scegliendo in modo autonomo gli impianti e gli arredi da utilizzare nella casa della ex compagna destinata a residenza familiare, persino scontrandosi con la ex convivente che aveva dimostrato di aver reputato talune scelte eccessive, aveva volontariamente deciso di farsi carico di una parte delle spese di ristrutturazione dell’immobile; qualificava le prestazioni effettuate dal ricorrente come obbligazioni naturali, trovando esse giustificazione nei doveri di carattere morale e civile di solidarietà e di reciproca assistenza nei confronti della partner e della figlia e non travalicando i limiti di proporzionalità e di adeguatezza rispetto ai mezzi di cui l’adempiente disponeva e all’interesse da soddisfare (i redditi da lavoro dei due conviventi erano simili nell’ammontate, ma il patrimonio immobiliare e mobiliare del ricorrente nel 2013, anno di cessazione della convivenza, era risultato di 500.000,00 Euro).

La sentenza resa dalla Corte di Appello aveva affermato, con accertamento di fatto, non adeguatamente censurato, che l’importo delle operazioni effettuate dovesse essere ricondotto all’adempimento di un dovere morale e sociale, così da rientrare nella previsione di irripetibilità di cui all’articolo 2034 c.c., in quanto non esorbitante dalle esigenze familiari e rispettoso dei minimi di proporzionalità ed adeguatezza di cui alla medesima disposizione.

La conclusione della sentenza impugnata è coerente con l’affermazione della giurisprudenza della Suprema Corte, secondo la quale un’attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio può configurarsi come adempimento di un’obbligazione naturale allorché la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens (Cass. n. 3713 del 13/03/2003; Cass. n. 14732 del 07/06/2018; Cass. n. 11303 del 12/06/2020).

A monte vi è da considerare che “L’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un’obbligazione naturale.

E’, pertanto, possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza” (Cass. n. 11330 del 15/05/2009).

Corte di Cassazione, Ordinanza n. 18721 del 1 luglio 2021

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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