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Contratto definitivo, unica fonte dei diritti

La sottoscrizione di un contratto in esecuzione dell’obbligo assunto con il preliminare determina la perdita di efficacia di tutte le clausole, diritti ed obblighi originariamente previsti dalle parti con il preliminare in ordine al futuro negozio (contratto definitivo). Nel caso esaminato, la Suprema Corte ha ritenuto che la quietanza circa l’avvenuto pagamento del prezzo, contenuta nell’atto notarile, costituiva confessione stragiudiziale e che non fosse stato allegato né l’errore di fatto, né la violenza al fine della revoca ex articolo 2732 c. c. .

Pubblicato il 21 June 2020 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

La sottoscrizione di un contratto in esecuzione dell’obbligo assunto con il preliminare determina la perdita di efficacia di tutte le clausole, diritti ed obblighi originariamente previsti dalle parti con il preliminare in ordine al futuro negozio (contratto definitivo).

Il contratto definitivo diventa così l’unica fonte della disciplina che regola il negozio concluso e ciascuna parte non può opporre all’altra diritti ed obblighi discendenti dal contratto preliminare e non riprodotti o diversamente disciplinati dal contratto definitivo.

Solo laddove sia stato espressamente previsto, le clausole del preliminare possono mantenere la loro efficacia.

In tal caso, la parte che intende far valere la sopravvivenza di queste clausole ha l’onere di provare l’esistenza di un accordo in tal senso, accordo che può risultare dallo stesso contratto definitivo o da un atto separato purché contestuale ad esso.

Ne deriva che non può costituire prova scritta il contratto preliminare, nel quale venne indicato un prezzo inferiore rispetto a quello stabilito nel contratto definitivo, in quanto è il contratto definitivo a costituire l’unica fonte dei diritti (Cass., Sez. II, 05/06/2012 n. 9063, Cass. Civ. Sez. II, 11/07/2007).

Nel caso esaminato, la Suprema Corte ha ritenuto che la quietanza circa l’avvenuto pagamento del prezzo, contenuta nell’atto notarile, costituiva confessione stragiudiziale e che non fosse stato allegato né l’errore di fatto, né la violenza al fine della revoca ex articolo 2732 c.c..

Il venditore non aveva infatti dedotto che la non rispondenza al vero della dichiarazione di quietanza dipendesse dall’erronea rappresentazione o percezione del fatto confessato o dalla coartazione della sua volontà, ma dalla consapevolezza dell’avveramento di un fatto – l’ottenimento del mutuo– che, invece, non era stato ottenuto dal compratore.

Non era, inoltre, ammissibile la prova per testi relativa alla simulazione della quietanza, così come quella per presunzioni; vi osta, infatti, l’articolo 2726 c.c., che, estendendo al pagamento il divieto sancito dall’articolo 2722 c.c., di provare con testimoni patti aggiunti o contrari al contenuto del documento contrattuale, esclude che con tale mezzo istruttorio possa dimostrarsi l’esistenza di un accordo simulatorio concluso allo specifico fine di negare l’esistenza giuridica della quietanza, nei confronti della quale esso si configura come uno di quei patti, anteriori o contestuali al documento, che, appunto, il combinato disposto dei citati articoli 2722 e 2726 c.c., vieta di provare con testimoni in contrasto con la documentazione scritta di pagamento (ex multis Cassazione civile sez. II, 31/08/2015, n. 17329).

Corte di Cassazione, Sezione Seconda, Sentenza n. 10466 del 3 giugno 2020

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