Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34577 Anno 2019
Civile Sent. Sez. 5 Num. 34577 Anno 2019
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/12/2019
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. R.G.N. 10879/2013 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentata e difesa, come da procura speciale in atti, dagli Avv.ti Prof. NOME COGNOME e NOME COGNOME domicilio eletto presso lo studio dei predetti in Roma, INDIRIZZO – controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazi n. 55/22/2012, depositata il 27 febbraio 2012.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 settembre 20 dai Consigliere dott. NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procurat generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto ricorso;
udito l’Avv. dello Stato NOME COGNOME per la ricorrente e l NOME COGNOME per la controricorrente;
FATTI DI CAUSA 1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso, affidato a due motivi, la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale d Lazio, n. 55/22/2012, depositata il 27 febbraio 2012, che ha riget il suo appello incidentale, accogliendo quello principale d contribuente, avverso la sentenza della Commissione tributari provinciale di Roma, che aveva parzialmente accolto il ricorso NOME COGNOME contro l’avviso con il quale l’Ufficio aveva accert induttivamente, ai sensi degli artt. 39, secondo comma, d.P.R. settembre 1973, n. 600, e 55 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, Vanno d’imposta 2003, ai fini Irpef ed Irap, un reddito d’impresa ed valore della produzione netta pari ad euro 435.414,49; e, ai fini un volume d’affari, relativo ad operazioni non dichiarate, pari ad 755.685,59; rideterminando pertanto le relative imposte, con g interessi e l’irrogazione delle conseguenti sanzioni. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.1. GLYPH Ufficio, esaminata la dichiarazione Modello Unic Infatti, l’ 2004, relativa ai redditi di lavoro autonomo prodotti nel 2003 d predetta contribuente con l’attività di cui ai codice 7484B “Altre at ai servizi n.c.a.”, aveva inizialmente richiesto alla contribuent invito a comparire, rtt. 32, primo comma, num. 6, d.P.R. n. 600 ex a del 1973 e 51, primo comma, num. 6-bis, d.P.R. n. 633 de! 1972, di fornire chiarimenti in ordine all’elevata capacità di spesa manife nell’anno d’imposta 2003, con particolare riferimento alle spese incrementi patrimoniali, consistite nell’acquisto di due immobili
valore complessivo di euro 1.240.000,00) e di un’autovettura di lusso (dei valore di euro 51.500,00).
1.2. GLYPH vo contraddittorio, la contribuente aveva Nel relati giustificato le relative spese documentando il rimpatrio, nell’anno d’imposta accertato, mediante il c.d. scudo fiscale, di cui all’art. 14 comma 1, lett. a), d.l. 25 settembre 2001, n. 350, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 409 (e successivamente modificato da! d.l. 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73; e dal d.l. 24 dicembre 2002, n. 282, convertito dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27), della somma di euro 1.474.960,00.
1.3. GLYPH eva ritenuto la relativa documentazione idonea L’Ufficio av al fine di comprovare che il maggior reddito, sinteticamente determinabile in relazione alle spese per i predetti incrementi patrimoniali, fosse giustificato dal possesso dei redditi di capital detenuti all’estero e rimpatriati nell’anno d’imposta de quo.
1.4. Tuttavia, nel medesimo invito a comparire, e nel conseguente processo verbale dei contradditorio, l’Ufficio, a seguito dei controllo autorizzato degli estratti di quattro conti correnti bancar intestati alla stessa contribuente, aveva invitato quest’ultima, per i medesimo anno d’imposta 2003, a presentare la documentazione amministrativa-contabile idonea a giustificare le movimentazioni finanziarie effettuate.
1.5. GLYPH e non fosse stata fornita documentazione Ritenuto ch sufficiente a giustificare alcuni prelevamenti e versamenti, l’Agenzia ha quindi emesso – ai sensi sia degli art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973; sia dell’art. 55 d.P.R. n. 633 del 1972- l’impugnato avviso d’accertamento induttivo, imputando alla contribuente, per l’anno d’imposta 2003, ai fini Irpef ed Irap, un reddito d’impresa ed un valore della produzione netta non dichiarati, pari ad euro 435.414,49; e, ai fini Iva, un volume d’affari, relativo ad operazioni non dichiarate,
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pari ad euro 755.685,59; con ogni conseguenza in termini di imposte, interessi e sanzioni.
2.La CTP adita aveva solo parzialmente accolto il ricorso della contribuente, ritenendo che la documentazione fornita da quest’ultima fosse idonea soltanto a giustificare una riduzione del reddito imponibile accertato.
3. Proposto appello principale dalla contribuente, l’adita CTR lo ha accolto, ritenendo che:
– l’opposizione del c.d. scudo fiscale avrebbe precluso, ai sensi dell’ art. 14, comma 1, lett. d.l. n. 350 del 2001, n. 350, convertito, a), con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 409, ogni accertamento tributario, facendo venir meno i presupposti per procedere all’accertamento induttivo del reddito d’impresa fondato sulla movimentazione dei conti correnti bancari e sulle conseguenti presunzioni legali;
– non era possibile distinguere analiticamente, tra gli importi risultanti dagli estratti bancari esaminati dall’Ufficio, quelli deriva dai rimpatrio di capitali sia da quelli versati e prelavati dal contribuente per motivi estranei alla sua attività lavorativa, sia da quelli che sarebbero pertinenti invece a quest’ultima. Tale lacuna probatoria era da imputare, secondo la CTR, all’Ufficio, e comportava l’infondatezza della pretesa impositiva.
4.Contestualmente, la CTR ha rigettato, per gli stessi motivi, l’appello incidentale dell’Agenzia, che evidenziava come, a differenza di quanto erroneamente ritenuto dai giudice di prime cure, l’avviso impugnato non avesse natura sintetica e non fosse fondato sul c.d. redditometro, essendo induttivamente derivato dall’esame dei conti correnti bancari della contribuente, che ne! contraddittorio non aveva giustificato adeguatamente i versamenti ed i prelievi contestati.
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5. Proposto dall’Ufficio ricorso per la cassazione della sentenza d’appello, affidato a due motivi, la contribuente si è costituita con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, il ricorrente Ufficio denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 5, cod. proc. civ., l’insufficiente e contraddittoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, assumendo:
– sia che il giudice a avrebbe frainteso il presupposto giustificativo quo dell’accertamento impugnato, individuandolo nel controllo preliminare sintetico sulla coerenza degli incrementi patrimoniali acquisiti dalla contribuente con il reddito da lavoro autonomo dichiarato da quest’ultima, piuttosto che nell’omessa giustificazione delle movimentazioni bancarie sulle quali si basava la ricostruzione induttiva del reddito d’impresa ex art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973 ed ex art. 55 d.P.R. n. 633 del 1972;
– sia che, anche in conseguenza di tale fraintendimento, la stessa CTR avrebbe dato per posto, o per dimostrato, che i capitali c.d. scudati coincidessero con quelli oggetto delle movimentazioni bancarie considerate dall’accertamento non giustificate, sebbene la stessa contribuente avesse spiegato diversamente versamenti e prelievi in questione, facendo riferimento a titoli estranei alla sua attivit lavorativa ed al reddito imponibile.
2.Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 3, cod. proc. cìv., la violazione degli artt. 32, comma 1, n. 7, d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, anche con riferimento all’art. 2697 cod. civ. ed all’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973; falsa applicazione dell’art. 14, comma 1, lett. a), d.!. n. 350 del 2001, n. 350, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 409, per avere il giudice a quo:
– ritenuto che l’effetto preclusivo dell’accertamento, proprio del c.d. “scudo fiscale”, operi automaticamente, a prescindere dalla riconducibilità, anche astratta, degli imponibili accertati alle somme detenute all’estero e rimpatriate dal contribuente;
– imputato peraltro all’Ufficio l’onere di provare tale riconducibilità t imponibile accertato e capitali “scudati”.
2.1. GLYPH i sono strettamente connessi e vanno trattati I due motiv congiuntamente, avendo come oggetto comune la determinazione (sotto il profilo del contenuto e dell’onere probatorio) del presupposto oggettivo dell’effetto preclusivo dell’accertamento, derivante dal rimpatrio dei capitali scudati, con particolare riferimento alla questione della coincidenza o meno di questi ultimi con il maggior reddito imponibile accertato.
Al riguardo, l’art. 14, comma 1, lett. l. n. 350 del 2001, così a), d. dispone:« 1. Salvo quanto stabilito dal comma 7, il rimpatrio delle attività finanziarie effettuato ai sensi dell’articolo 12 e nel rispetto d modalità di cui all’articolo 13:
a) preclude nei confronti dei dichiarante e dei soggetti solidalmente obbligati, ogni accertamento tributario e contributivo per i periodi d’imposta per i quali non è ancora decorso il termine per l’azione di accertamento alla data di entrata in vigore del presente decreto, limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio; ».
Premesso che, per quanto ancora rileva in questa sede, l’operatività dello “scudo fiscale” e del suo eventuale effetto preciusivo non è contestata riguardo ad altri presupposti (procedimentali, cronologici o soggettivi) diversi da quelli oggetto dei predetti motivi, e fatto sal quanto in fra si dirà specificamente in materia d’Iva, !a questione che si pone è quella del significato da attribuire all’espressione normativa « limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme L.] oggetto di rimpatrio».
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E’ evidente come, con tale formula, il legislatore abbia inteso circoscrivere in senso oggettivo l’effetto , he non costituisce pteCiusivuc ovviamente un titolo di generale ed ingiustificata (quindi costituzionalmente illegittima ai sensi degli artt. 3 e 53 Cost. esenzione soggettiva attribuito al contribuente, per mero effetto del ricorso di quest’ultimo alla procedura di rimpatrio dei capitali detenuti all’estero.
Deve tuttavia escludersi che la limitazione oggettiva si esaurisca nella sola corrispondenza quantitativa tra le somme rimpatriate e qualsiasi imponibile oggetto di possibile accertamento, come se l’importo di cui alla dichiarazione riservata rappresentasse una sorta di franchigia, opponibile, sino a concorrenza, dal contribuente all’Amministrazione finanziaria, rispetto a qualunque tipologia di reddito successivamente accertato ed a prescindere da qualsiasi uI teriore collegamento, nOrr semplicemente numerico, tra quest’ultimo e le attività rimpatriate, fornendo così una sorta di lasciapassare per tutte le evasioni eventualmente compiute dal contribuente entro un certo pia ond. f
Infatti, tale interpretazione, oltre a non essere sorretta dalla lette della legge (il riferimento agli imponibili «rappresentati» dalle somme non esprime direttamente una mera e neutra equivalenza quantitativa tra importi rimpatriati ed accertati), apparirebbe poco ragionevole (anche in relazione agli artt. 3 e 53 Cost.), prestandosi a precludere l’accertamento anche riguardo ad imponibili in ipotesi non riconducibili, neppure astrattamente, alle somme rimpatriate.
Inoltre, la stessa relazione al disegno di legge di conversione del decreto, precisando che lo “scudo” opera con riferimento agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività finanziarie rimpatriate e limitatamente agli importi indicati nella dichiarazione stessa, aggiunge che nessun effetto preclusivo si realizza per gli importi accertati eccedenti quelli dichiarati nella dichiarazione riservata, «o
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comunque non riconducibili ai capitali rimpatriati, con riferiment quali l’azione degli organi competenti prosegue».
2.2. GLYPH raltro rilevato in dottrina che neppure potre E’ stato pe accogliersi un’interpretazione, eccessivamente rigorosa, della pred espressione normativael senso che ali imponibili in questione ; n debbano essere identificabili con le somme rimpatriate, all’esit un’indagine analitica sulla fonte di queste ultime. Infatt argomentato, ciò sarebbe in contrasto logico con lo stesso conten necessario della dichiarazione riservata del contribuente, di c modello applicabile ratione temporis, nella quale le somme oggetto di emersione vanno esposte complessivamente e senza indicazione delle loro fonti.
2.3. GLYPH ri dell’Agenzia delle Entrate n. 99/E del Le circola dicembre 2001 e n. 43/E del 10 ottobre 2009 (quest’ultima invocat dalla stessa controricorrente), in parte qua coincidenti, a proposito della limitazione oggettiva dell’effetto preclusivo, precisano che opera con riferimento ad « accertamenti relativi ad “imponibili” siano riferibili alle attività oggetto di emersione. A tal fine si pre la preclusione opera automaticamente, senza necessità di prov specifica da parte del contribuente, in tutti i casi in cui sia p anche astrattamente, ricondurre gli imponibili accertati alle somm alle attività costituite o detenute all’estero oggetto di rimpat regolarizzazione ».
Anche sulla base di tali prassi, si è quindi propugnata in do un’interpretazione intermedia, secondo la quale io “scudo” dovrebb operare automaticamente e senza necessità di specifiche prove d parte del contribuente, ma solo nei casi in cui sia possibile, astrattamente, ricondurre gli imponibili accertati Alle somme n AHe attività costituite o detenute all’estero, oggetto di rimpatr regolarizzazione. Invece, ove non possa essere riscontra dall’Amministrazione finanziaria una connessione, quanto meno
astratta, tra imponibili accertati e attività oggetto di emersione, l relativa prova, secondo tale interpretazione, sarebbe a carico del contribuente.
Successivamente, l’Agenzia, con la circolare n. 52/E dell’ 8 ottobre 2010, ha in parte corretto tale orientamento, assumendo che la carenza di prove che le attività dichiarate non fossero già detenute in epoca antecedente al periodo d’imposta oggetto di controllo, determinerebbe l’inutilizzabilità dell’effetto preclusivo.
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imponibile, l’onere di dimostrare che la situazione o la pendenza tributaria siano state definite con l’adempimento di tutte le prescrizioni previste dalla legge sul condono).
L’attribuzione al contribuente di tale onere, peraltro, è coerente altresì con il cd. principio di vicinanza della prova, rispetto ai dati necessari dare conto della correlazione tra gli imponibili in questione e le somme o le altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio, rientrano nella disponibilità del primo (e che, proprio in ragione del limitato contenuto necessario della dichiarazione riservata del contribuente, non sono parimenti conosciuti immediatamente dall’Amministrazione).
In questo senso, del resto, questa Corte si è espressa, proprio con specifico riferimento allo “scudo fiscale”, in materia penale ed ai fin dell’ applicazione della speciale causa di non punibilità introdotta dall’art. 13-bis, d.l. lio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, -1 lug dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come ulteriormente modificato dal d.l. 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141, chiarendo che è preciso onere dell’interessato indicare gli specifici elementi e le circostanze dai quali poter desumere che le somme rimpatriate o regolarizzate corrispondano a quelle oggetto della condotta incriminata o comunque abbiano attinenza con il reato contestato, potendo non esser sufficiente, a tal fine, la mera presentazione della dichiarazione integrativa (Cass. 06/10/2015, n. 2221, in motivazione).
2.5. GLYPH i contenuto dei predetto onere, deve ritenersi Quanto poi a che la limitazione normativa agli «imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio» richi la dimostrazione di una concreta correlazione oggettiva (quanto meno di compatibilità, se non di immediata derivazione, oltre che cronologica e quantitativa) tra il reddito accertato e la provenienza delle somme o dei beni rimpatriati o regolarizzati, nel senso che il reddito non
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dichiarato, oggetto di accertamento, deve essere collegato alle somme o ai beni emersi a seguito dei rimpatrio, restando pertanto escluse dall’efficacia inibente dello “scudo” tutte quelle fattispecie i cui l’accertamento abbia ad oggetto componenti estranei rispetto alle attività “scudate” e con essi non compatibili.
2.6. GLYPH specie, la sentenza impugnata non ha fatto Nel caso di corretta applicazione di tali principi, laddove, con riferimento all’avvis d’accertamento oggetto del contenzioso ( emesso artt. 39, comma ex 2, e 40 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 55 del d.P.R. n. 633 del 1972 e fondato sull’analisi dei movimenti bancari) ha ritenuto automaticamente operante il contestato effetto preclusivo dello “scudo fiscale” opposto dalla contribuente, omettendo di verificare in maniera adeguata se, nel caso concreto, fosse possibile ricondurre gli imponibili accertati alle somme oggetto di rimpatrio, ciò che l’Ufficio aveva escluso (come risulta dal relativo appello, trascritto in parte qua nel ricorso).
Contemporaneamente, e quindi anche in contraddizione con l’assunto motivazionale che precede, il giudice a quo ha poi fondato l’accoglimento dell’appello della contribuente anche sull’assunta impossibilità di “distinguere analiticamente”, ai fini della decisione, t i capitali “scudati”, i movimenti bancari oggetto dell’accertamento e !e somme giustificate altrimenti dalla contribuente. Erroneamente, pertanto, la CTR ha imputato all’Ufficio la mancata dimostrazione che l’accertamento de quo fosse precluso perché relativo ad “imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero oggetto di rimpatrio”, mentre il relativo onere, per quanto già argomentato, grava invece sul contribuente.
La sentenza impugnata va quindi cassata, e la causa va rinviata a! giudice d’appello affinché, effettuati i predetti accertamenti in fatto e applicati i principi sinora esposti, provveda a nuova decisione di merito.
Tale conclusione, esaustiva rispetto ai capi della sentenza attengono l’accertamento in materia di imposte dirette, necessita invece, relativamente all’ accertamento in materia d’Iva, degli ulteriori chiarimenti che saranno esposti nei paragrafi che seguono.
3.L’atto impositivo controverso ha infatti per oggetto anche l’Iva ed è necessario, in questa sede, verificare se pure il potere di accertamento relativo a tale imposta sia, o meno, inibito dall’applicazione dello “scudo fiscale” di cui all’art. 14, comma 1, lett. a), d.l. 25 settembre 2001, n. 350, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 409 (e successivamente modificato dal d.l. 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73; e dal d.l. 24 dicembre 2002, n. 282, convertito dalla legge 21 febbraio 2003,n. 27), nella versione applicata ratione ternporis, nella quale la preclusione è riferita testualmente ad «og accertamento tributario e contributivo».
Ed invero, solo successivamente il d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, all’art. 8, comma 16, lettera i), ha esplicitamente stabilito che, anche ove il contribuente utilizzi lo “scudo fiscale”, «non è comunque precluso l’accertamento dell’imposta sui valore aggiunto».
Come è stato sottolineato dalla pressoché unanime dottrina, oltre che dalla stampa specializzata di settore, la restrizione dell’effetto inibente dello “scudo” ha palesato l’intenzione del legislatore nazionale di conformarsi ai dettami della giurisprudenza europea in materia di pratiche interne “condonistiche” e di scongiurare la probabile apertura di una procedura d’infrazione verso l’Italia, sollecitata da alcuni europarlamentari italiani, proprio per i! possibile contrasto della preesistente disciplina dello “scudo” con la disciplina armonizzata dell’Iva.
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Tanto premesso, occorre quindi chiedersi se anche la legislazio nazionale precedente all’art. 8, comma 16, lettera i), d.l. n. 16 de – ed in particolare , per quanto qui interessa, l’art. 14, comma 1 a), d.l. n. 350 del 2001, applicabile al caso di specie – con comunque ad escludere la copertura dell’Iva dagli effetti dello “sc fiscale”, in ragione di un’interpretazione di tale norma interna ch orientata al rispetto dei dettami comunitari in materia di t armonizzati, compresi quei principi che, in tema di condoni est già diverse pronunce della Corte di Giustizia dell’Union europea hanno ribadito, sicché, ai fini della decisione di q controversia, non necessitano di ulteriore chiarificazione. all’Iva,
3.1. GLYPH i Giustizia, con le sentenze C-132/06 del 17 La Corte d luglio 2008 e C-174/07 dell’ 11 dicembre 2008, sancendo l’illegittim degli artt. 8 e 9 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, in mater sanatoria fiscale, ha dichiarato che l’Italia è venuta meno agli obb derivanti dalla sesta direttiva Iva, in quanto la rinuncia es all’accertamento ed alla riscossione dell’imposta contrasta con gli 2 e 22 della direttiva, inficia il meccanismo sostanziale di applica del tributo, privato di ogni deterrente ed affidato esclusivamente buona volontà del contribuente e compromette le garanzie di riscossione di risorse proprie della Comunità: «prevedendo conseguenza una rinuncia generale e indiscriminata all’accertament delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di pe d’imposta, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che essa incombono in forza delle disposizioni deiVart.2,n.1, iett. a) d), e degli artt. 193-273 della direttiva del Consiglio 28 nove 2006, 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valor aggiunto, che hanno sostituito, da! 1° gennaio 2007, gli arti. 2 P della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relat
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alle imposte sulla cifra d’affari- Sistema comune di imposta sul va aggiunto: base imponibile uniforme, nonché dell’arti° CE.».
3.2. La successiva giurisprudenza di questa Corte ha ritenu che il principio di cui alla sentenza della Corte di Giustizia 17 2008, in causa C-132/06 – secondo cui è in contrasto con gli obblig di cui agli artt. 2 e 22 della sesta direttiva del Consiglio 17 1977, 77/388 CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degl Stati membri relative ali’ I.V.A., la previsione di una rinuncia gen e indiscriminata all’accertamento delle operazioni imponibili effett nel corso di una serie di periodi di imposta, così pregiudic seriamente il corretto funzionamento del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto – ha una portata generale, estesa a qualsiasi mi nazionale, sia essa di carattere legislativo o amministrativo, c quale lo Stato membro rinunci in modo generale o indiscriminato, all’accertamento e/o alla riscossione di tutto o parte dell’im dovuta, oltre che delle sanzioni per la relativa violazione, trattan misure di carattere dissuasivo e repressivo, la cui funzione è quel determinare il corretto adempimento di un obbligo nascente dai dirit comunitario (Cass. 18/09/2009, n. 20068; cfr. altresì, ex plurimis, Cass. 09/12/2009, n. 25701; Cass. 23/09/2011, n. 19546; Cass 26/10/2011, n.22250; Cass. 27/07/2012, n. 13505; Cass. 07/02/2013, n. 2915; Cass. 29/11/2017, n. 28586). E la conseguente disapplicazione di norme interne in contrasto con gli obblighi prev dagli artt. 2 e 22 della VI direttiva del Consiglio 17 maggio 1977 77/388 CEE, secondo l’interpretazione resa dalla Corte dì giustizia ne sentenza 17 luglio 2008, causa C-132/06, è stata ritenuta rilevabi prescindere da specifiche deduzioni di parte e senza che possan ostarvi preclusioni procedimentali o processuali, quali i! cara “chiuso” del giudizio di cassazione (Cass. 26/09/2014, n. 20435; Cas 24/07/2018, n. 19661. Cfr. altresì Corte Cost., sentenza n. 247 2011, in motivazione, in ordine all’obbligo del giudic Corte di Cassazione – copia non ufficiale
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dell’amministrazione finanziaria di non applicare le norme nazionali relative al condono ritenuto dalle predette decisioni della Corte di Giustizia in contrasto con l’ordinamento comunitario).
Tuttavia, è stato precisato che il principio espresso dalla predetta sentenza della Corte di giustizia 17 luglio 2008, causa C-132/06 riguarda esclusivamente quelle misure che si risolvano in una definitiva rinuncia all’accertamento e alla riscossione dell’imposta sul valore aggiunto,, prevenendo (e, poi, impedendo, per effetto del condono, definitivamente) l’esercizio del potere accertativo dell’amministrazione: « si tratta, nei casi disciplinati d richiamate norme, di una iniziativa volontaria del contribuente che, mediante una dichiarazione integrativa, che corregge la sua precedente reticenza, o un pagamento forfetizzato, definisce un determinato periodo di imposta, prevenendo (e, poi, impedendo, per effetto del condono, definitivamente) l’esercizio del potere accertativo dell’amministrazione.» (Cass., Sez. U, 17/02/2010, n. 3676, in motivazione). Pertanto, è stato deciso che « In tema di condono fiscale, l’art. 16 della legge n. 289 dei 2002, nella parte in cui prevede la definizione delle liti pendenti e le relative condizioni, nonché l sospensione dei termini di impugnazione, non comporta una rinuncia dell’Amministrazione all’accertamento dell’imposta (già effettuato e contestato nella sua legittimità), bensì la definizione di una lite in cors con il contribuente, in funzione della riduzione del contenzioso in atto, secondo parametri rapportati allo stato della lite al momento della domanda di definizione, garantendo la riscossione di un credito tributario incerto, sulla base di un trattamento paritario tra contribuenti. Esso, pertanto, nella parte in cui si riferisce al controversie in materia di IVA, non può essere disapplicato per contrasto con la VI direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, neppure a seguito della sentenza della Corte di Giustizia CE del 17 luglio 2008, in causa C-132/06, con la quale, in esito ad una Corte di Cassazione – copia non ufficiale
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procedura di infrazione promossa dalla Commissione Europea, è stata dichiarata l’incompatibilità con il diritto comunitario (in particola gli artt. 2 e 22 della VI direttiva cit.) degli artt. 8 e 9 della legge, nella parte in cui prevedono la condonabilità dell’IVA condizioni ivi indicate, dovendo tale pronuncia essere interpre restrittivamente.» (Cass., Sez. U, 17/02/2010, n. 3676,cit.).
Nello stesso senso, a proposito della non contrarietà alla sentenza Corte di giustizia 17 luglio 2008, nella causa C-132/06, della definiz agevolata delle liti tributarie pendenti di cui all’art. 3, comma 2 bis, d.l. n. 40 del 2010, convertito, con modifiche, dalla legge n. 73 del 2 poiché manca una «rinuncia generale ed indifferenziata alla verif delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di p d’imposta», si è pronunciata la Corte di giustizia con le sentenze d marzo 2012, nelle cause C-500/10 e C-417/10.
3..3. GLYPH ve. e definitiva rinuncia indifferenziata del La preventi Stato all’accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel c di una serie di periodi d’imposta , e quindi alla riscossione dell’i sul valore aggiunto, costituisce allora il dato determinante per ri l’incompatibilità della normativa interna con il diritto comunitario, particolare con riferimento ai principi di neutralità fisca riscossione equivalente dell’imposta in tutti gli Stati membri Ue, d agli artt. 2 e 22 della VI direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, d maggio 1977. E tale rinuncia, nella forma della definitiva preclusi all’accertamento ed al recupero dell’imposta (anche sul val aggiunto) evasa in relazione alle attività “scudate”, sarebbe pre anche in materia di “scudo fiscale” ( nella versione, applicabile ratione temporis, antecedente al d.l. n. 16 del 2012, che ne esclude inve espressamente l’applicazione all’accertamento delrva), laddove l’ 14, comma 1, lett. d.l. n. 350 del 2001, venisse interpretato nel a), senso che il rimpatrio delle attività finanziarie, effettuato dell’articolo 12 e nei rispetto delle modalità di cui all’arti
precluda nei confronti del dichiarante e dei soggetti solidalmente obbligati, «ogni accertamento tributario» anche in materia d’iva.
Si impone, pertanto, un’interpretazione restrittiva della ridetta disposizione, che sia orientata al rispetto dei richiamati princip comunitari ed escluda dalla copertura dello “scudo fiscale” gli accertamenti in materia d’Iva, consentendo sia il recupero dell’imposta evasa sui capitali “scudati” che l’irrogazione delle relative sanzioni.
Interpretazione restrittiva che ( sia pur con riferimento a declinazioni normative dello “scudo fiscale” successive alla versione qui applicabile ratione temporis, ma comunque antecedenti al d.l. n. 16 del 2012, e quindi precedenti all’espressa esclusione normativa dell’Iva dalla copertura dello “scudo”) trova corrispondenza anche nella giurisprudenza in materia penale di questa Corte, nella quale viene affermata la necessaria simmetria tra le somme rimpatriate e l’ambito della regolarizzazione fiscale, limitato alle imposte dirette, collocando pertanto le violazioni in materia di imposte indirette al di fuo dell’ombrello protettivo dello “scudo fiscale”, in conformità dunque ai richiamati principi comunitari.
E’ stato infatti affermato che: « La causa di non punibilità prevista dall’art. D.L. n. 103 del 2009, conv. con modd., in I. n. 141 del 2009 1 (legge sul cosiddetto scudo fiscale) si riferisce alle sole condotte afferenti i capitali oggetto della procedura di rimpatrio e si applic esclusivamente ai delitti in materia di dichiarazione, fraudolenta o infedele, al delitto di omessa dichiarazione nonché a quello di occultamento o distruzione dì scritture contabili. (In motivazione la Corte ha precisato che lo “scudo fiscale” non determina un’immunità soggettiva in relazione a reati fiscali nella cui condotta non rilevin affatto i capitali trasferiti e posseduti all’estero, e successivament oggetto di rimpatrio, sicché non è comunque esclusa la punibilità per delitti diversi, quali l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, indebite compensazioni o, come nella fattispecie, l’omesso versamento
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dell’IVA)» (Cass. pen. 05/05/2011, n. 28724.; conf. Cass. pe 02/07/2014, . 41947). n
Ed è stato ulteriormente precisato che l’interpretazione restrittiva effetti dello “scudo fiscale” in materia penale, secondo cui non c’è effetto espansivo esterno nel senso di un’immunità soggettiva relazione a reati fiscali nella cui condotta non rilevino affatto i trasferiti e posseduti all’estero e successivamente oggetto di rimpa «trova un puntuale riscontro nella espressa previsione dell’art comma 4, che predica l’applicabilità dell’esonero della responsabi penale “limitatamente al rimpatrio ed alla regolarizzazione di cu presente articolo”. Li Quindi analogamente può dirsi che solo riferimento ai capitali rimpatriati c’è il c.d. scudo fiscale con la immunità penale per i reati fiscali previsti sia dall’art. 14 cit. si 8 cit.; mentre per il resto rimane l’ordinaria rilevanza pen condotte che – come nella fattispecic in esame – nulla hanno a che vedere con il trasferimento ed il possesso all’estero di capital sentenza Sez. 3, Sentenza n. 28724/2011 cit.).» (Cass. p 02/07/2014, n. 41947, cit., in motivazione).
3.4. GLYPH sso, nel caso controverso, lo “scudo fiscale” Tanto preme era a priori GLYPH inidoneo ad inibire l’accertamento controverso relativamente ai rilievi in materia d’Iva, cosicché alla cassazione sentenza impugnata consegue la prosecuzione del giudizio di rinvio, in parte qua, limitatamente alle questioni rimaste assorbite dall decisione d’appello cassata.
Deve pertanto essere formulato il seguente principio di diritto: tema di “scudo fiscale”, l’art. 14, comma 1, lett. n. 350 del a), del d.l. 2001, convertito dalla I. n. 409 del 2001, deve essere interpretat coerenza con gli artt. 2 e 22 della VI direttiva n. 77/388/CEE e co giurisprudenza comunitaria in materia di imposte sulla cifra d’affari senso che il rimpatrio dei capitali “scudati” preclude, per i p d’imposta per i quali non è ancora decorso il termine per l’azion
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accertamento alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, accertamento tributario limitatamente alle imposte dirette ed a imponibili che il contribuente dimostri oggettivamente correlati con somme costituite all’estero e rimpatriate, e comunque non olt l’importo di queste ultime».
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione e cassa in rela la sentenza impugnata, rinviando alla Commissione tributaria regional del Lazio, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio legittimità.
Così deciso in Roma il 26 settembre 2019
Il Consigliere estensore
Dott. NOME COGNOME
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