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Giurisprudenza Penale

Colloqui congiunti: inclusi suoceri e cognati

Un detenuto si è visto negare i colloqui con suoceri e cognata perché non conviventi. La Cassazione ha annullato la decisione, stabilendo che per il diritto ai colloqui congiunti, la nozione di ‘prossimo congiunto’ ex art. 307 c.p. si applica e include anche gli affini dello stesso grado, come suoceri e cognati, a prescindere dalla convivenza.

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Revoca confisca: prova nuova non decisiva

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso per la revoca confisca di alcuni immobili. La richiesta si basava su nuove prove (foto aeree) che avrebbero dovuto dimostrare la preesistenza dei beni al periodo di pericolosità sociale del proposto. La Corte ha ritenuto le prove non “decisive”, in quanto mostravano solo la sagoma degli edifici e non il loro completamento, confermando così la legittimità della misura di prevenzione patrimoniale.

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Disegno criminoso: quando non c'è continuazione

Un uomo, condannato per due tentati furti in abitazione a 13 giorni di distanza, ha richiesto l’applicazione del reato continuato, sostenendo un unico disegno criminoso. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando che la somiglianza dei reati e la vicinanza temporale non sono sufficienti a dimostrare un piano preordinato, distinguendolo da una generica scelta di vita criminale.

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Riciclaggio e prova: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione conferma la condanna per il reato di riciclaggio a carico di quattro persone accusate di aver alterato il numero di telaio di un miniescavatore. La sentenza chiarisce importanti principi sulla sufficienza della prova logica del delitto presupposto e sulla legittimità dell’uso di intercettazioni disposte in un altro procedimento, se connesso. Viene inoltre ribadito che la Corte d’Appello può riformare una sentenza di assoluzione senza rinnovare l’istruttoria se la sua decisione si basa su una diversa valutazione di prove documentali e non sulla credibilità dei testimoni.

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Opposizione a confisca: nullità senza udienza

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che respingeva un’opposizione a confisca senza aver prima tenuto un’udienza. Il caso riguardava somme di denaro sequestrate a un individuo condannato per reati di droga. La Suprema Corte ha ribadito che, in fase di esecuzione penale, l’opposizione a confisca deve sempre essere decisa dopo aver garantito il contraddittorio tra le parti in un’apposita udienza. La decisione presa ‘de plano’, cioè basata solo sugli atti, costituisce una violazione del diritto di difesa e comporta la nullità assoluta del provvedimento.

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Reato continuato: la pena base secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato condannato per esercizio abusivo dell’attività di parcheggiatore, il quale contestava il calcolo della pena per il reato continuato. La Corte ha confermato la legittimità della decisione della Corte d’Appello di individuare come reato più grave, e quindi come pena-base, una violazione diversa e più severamente punita rispetto a quella usata in precedenti sentenze irrevocabili. È stato inoltre confermato il diniego della sospensione condizionale della pena, data la pluralità di precedenti specifici.

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Prova indiziaria: quando non basta per la condanna?

La Corte di Cassazione conferma l’assoluzione di un uomo accusato di lesioni stradali gravissime. Nonostante fosse il proprietario dell’auto pirata e il veicolo presentasse tracce biologiche della vittima, la prova indiziaria è stata ritenuta insufficiente. Gli indizi raccolti non hanno permesso di stabilire, oltre ogni ragionevole dubbio, che fosse lui alla guida al momento dell’incidente, validando così l’ipotesi alternativa che il veicolo potesse essere condotto da terzi.

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Reato continuato: calcolo pena e recidiva qualificata

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso sul calcolo della pena per reato continuato. La Corte chiarisce che l’aumento per i reati satellite, in caso di recidiva qualificata, non può essere inferiore a un terzo della pena base, rendendo infondata la doglianza su una presunta illogicità del calcolo.

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Giudizio abbreviato: utilizzabili atti noti alla difesa

La Corte di Cassazione si è pronunciata sulla validità degli atti processuali nel contesto del giudizio abbreviato. La sentenza analizza il caso di un documento probatorio acquisito materialmente solo dopo la richiesta di rito abbreviato da parte dell’imputato. La Corte ha stabilito che se l’atto, pur non essendo fisicamente nel fascicolo, era comunque noto alla difesa perché richiamato in altri provvedimenti, esso è pienamente utilizzabile. La conoscibilità effettiva prevale sul mero deposito formale, salvaguardando il diritto di difesa. Di conseguenza, i ricorsi degli imputati, basati anche su vizi nella determinazione della pena, sono stati dichiarati inammissibili.

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Ingiusta detenzione: quando la colpa la esclude?

La Corte di Cassazione ha annullato una decisione che concedeva un risarcimento per ingiusta detenzione. Il caso riguardava un uomo, assolto dall’accusa di estorsione, che aveva accompagnato la vittima dall’estorsore. La Suprema Corte ha stabilito che la “colpa grave”, che esclude il diritto al risarcimento, non va intesa come colpa penale, ma va valutata oggettivamente. Il giudice deve verificare se la condotta dell’assolto, analizzata ex ante, abbia creato una situazione in cui l’intervento dell’autorità giudiziaria fosse prevedibile, a prescindere dall’intenzione di commettere un reato.

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Riparazione ingiusta detenzione e colpa grave

La Corte di Cassazione annulla un’ordinanza che negava la riparazione per ingiusta detenzione. La Corte ha chiarito che un reato diverso e successivo a quello per cui si è subita la custodia cautelare non può, da solo, costituire motivo di colpa grave per escludere il risarcimento, a meno che il giudice non motivi specificamente il nesso causale tra tale condotta e l’adozione della misura originaria.

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Riparazione ingiusta detenzione e colpa grave del reo

Un uomo, detenuto per oltre 18 mesi con accuse di associazione camorristica ed estorsione e poi pienamente assolto, si è visto negare la riparazione per ingiusta detenzione. La Corte d’Appello aveva ritenuto il suo linguaggio rude una “colpa grave”. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, stabilendo che la valutazione della colpa grave deve essere rigorosa, contestualizzata e non può basarsi su meri comportamenti “poco urbani”, soprattutto in caso di “ingiustizia formale” della misura cautelare. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Esigenze cautelari: la detenzione non le esclude

La Corte di Cassazione ha stabilito che lo stato di detenzione di un individuo per una determinata condanna non comporta automaticamente l’annullamento delle esigenze cautelari, come gli arresti domiciliari, per un altro procedimento. Il mero decorso del tempo e la detenzione in corso non sono sufficienti a dimostrare una diminuzione del pericolo di reiterazione del reato, specialmente in presenza di un profilo di elevata pericolosità sociale. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

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Ingiusta detenzione: quando la colpa la esclude

Un uomo, assolto in via definitiva dall’accusa di associazione mafiosa, si vede negare la riparazione per ingiusta detenzione. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, stabilendo che la sua condotta, caratterizzata da frequentazioni ambigue e coinvolgimento in affari poco chiari con un familiare condannato, integrava una ‘colpa grave’. Tale comportamento, pur non costituendo reato, ha contribuito a creare l’apparenza di colpevolezza che ha portato alla sua detenzione, escludendo così il diritto all’indennizzo.

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Ingiusta detenzione: negata per colpa grave

La Corte di Cassazione ha confermato il diniego della riparazione per ingiusta detenzione a un cittadino, nonostante la sua piena assoluzione. La decisione si fonda sul principio che la condotta gravemente colposa dell’interessato, consistita nel frequentare assiduamente un noto luogo di spaccio, ha contribuito a creare una legittima apparenza di colpevolezza, giustificando così l’originaria misura cautelare e escludendo il diritto all’indennizzo.

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Custodia cautelare in carcere: quando è legittima?

Un individuo condannato per spaccio di droga, dopo aver violato ripetutamente misure cautelari meno afflittive come il divieto di dimora e l’obbligo di firma, si è visto aggravare la misura in custodia cautelare in carcere. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il suo ricorso, ritenendo la decisione del Tribunale logica e ben motivata, data la totale inaffidabilità del soggetto e l’assenza di alternative valide come gli arresti domiciliari.

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Misure cautelari sostitutive: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro l’applicazione dell’obbligo di dimora. Questa misura cautelare sostitutiva era stata disposta dopo la scadenza dei termini della custodia in carcere. La Corte ha chiarito che per l’applicazione di tali misure è sufficiente la ‘sussistenza’ delle esigenze cautelari originarie, interpretando il concetto in modo estensivo e non richiedendo una loro immutata ‘permanenza’.

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Ingiusta detenzione: colpa grave e risarcimento

Un individuo, assolto dall’accusa di associazione a delinquere, si vede negato il risarcimento per ingiusta detenzione. La Corte di Cassazione conferma la decisione, ritenendo che la sua condotta, caratterizzata da frequentazioni ambigue e conversazioni sospette, configuri una colpa grave che ha contribuito a creare l’apparenza di reato, escludendo così il diritto all’indennizzo.

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Ingiusta detenzione: quando la colpa grave la nega

Un soggetto, assolto dall’accusa di associazione mafiosa, si è visto negare il risarcimento per ingiusta detenzione. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, ritenendo che i suoi comportamenti, caratterizzati da una stretta e ambigua vicinanza a membri del clan (incluso il padre latitante), costituissero una “colpa grave”. Tali condotte, creando una falsa apparenza di colpevolezza, hanno dato causa diretta alla misura cautelare, escludendo così il diritto all’indennizzo.

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Riparazione ingiusta detenzione e colpa grave

Un individuo, assolto dall’accusa di aver favorito un latitante, ottiene in appello la riparazione per ingiusta detenzione. Il Ministero competente ricorre in Cassazione, sostenendo la colpa grave dell’individuo, che aveva falsamente dichiarato di essere alla guida di un’auto per coprire un’altra persona. La Cassazione accoglie il ricorso, annullando la decisione. Spiega che la valutazione della colpa grave non coincide con quella per l’assoluzione penale, ma va condotta con un giudizio ex ante, verificando se la condotta negligente abbia prevedibilmente indotto in errore l’autorità giudiziaria, causando così la detenzione.

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